mercoledì 31 dicembre 2008

Piera Mattei – Dell'immutabilità dei concetti e dei valori

Pensavamo di aver chiuso per quest'anno. Eppure, proprio oggi, 31 dicembre, l'anno allo stremo ce ne propone un'altra.
L'immutabilità, l'immobilità.
Già Galilei aveva avuto a che fare con questi concetti.
"Eppur si muove!" sembra abbia esclamato.

Ma se d'immutabilità si deve parlare,
che rapporto c'è tra la chiesa di oggi, la sua ricchezza, il suo potere, le sue guardie del corpo, i suoi cappelli bordati d'ermellino
e i semplici amici e discepoli di Cristo, paghi e presi dal suo esempio e dalla sua parola, così come ce li descrivono i Vangeli?

giovedì 25 dicembre 2008

Piera Mattei - OGGI, 25 DICEMBRE 2008

Sono nati di sesso maschile i bambini che hanno fatto tremare il mondo di gioia.
Eppure la novità di un sacro bambino è apportatrice di mutamenti non incruenti. Un bambino sacro trascina nel suo manto regale il sole e le stelle, ma anche la sfera del mondo.
Chi quella sfera guardasse dall'alto vedrebbe il rosso di cui si tinge il corpo volatile intorno. Rosso del sangue che, ogni giorno, quasi dovunque, cola dai corpi di creature delle quali la vita col sangue si versa. Nei mattatoi (ah, con quale sicurezza d'innocenza!) e, con variate ammissioni di colpa, sulle strade, nei cantieri, nei bracci stretti di mare, infine nelle città, sui ponti e le strade, sotto le bombe, corpi viventi mirati da fucili o pistole, impiccati.
Tutto quel sangue esala e si specchia nella nostra rossa atmosfera. Al di sotto di quella, dalla solida sfera del mondo, si solleva il grido orgoglioso. Anche nel nome del sacro bambino, con santità ipocrita gridano: " Io sono il migliore, il più forte, il più nobile e ricco. Io combatterò per il Bene, in nome di Colui che è il Santo. Combatterò quelli che non sono simili a me e combatterò anche quelli simili, perché sia evidente che io sono il migliore."

In nome del Santo?

Il sacro bambino non sa dire, la sua bocca non articola suoni. E tuttavia è riconoscibile anche dal pianto. Perché il bambino sacro, se ha fame, ha un solo modo per chiedere. Un pianto già degno di profondo rispetto.

Una stella mossa da quelle note di infantile richiesta, devia dal suo percorso. Da capitali diverse si mettono in cammino i tre re astronomi. Il cielo racconta la corrispondenza tra i moti degli astri e gli eventi del mondo. Ma i maghi non sono paghi del racconto. Con pupille ansiose vogliono vedere. Anche se presto la morte cancellerà in loro il ricordo. Sono vecchi, sono giovani, i re maghi? Sempre presto giunge la fine e cancellare i ricordi.
Un'immagine resterà di loro, adulti e gravi, genuflessi a un bambino. L'orgoglio, le ginocchia dolenti non impediranno quel gesto. Davanti a un neonato s'inginocchiano. Intorno al capo gli dispongono un'aureola di luce. Il bambino è sereno. Mai, durante la lunga stupita adorazione, ride infantilmente o infantilmente si compiace dei doni che profumano e brillano.
La madre – deve mantenere un segreto – lo guarda mentre succhia il suo latte. Il suo bambino, neonato, ha nella struttura qualcosa di completo. Presto articola parole, senza sbagliare.
Alla circoncisione esplode in un grido, poi più nulla, neppure quel calmo pigolare che emettono i bambini per farsi coraggio. Perché della legge lui sa, che bisogna obbedirle. Un bambino a cui la madre amorosa deterge il sangue sul piccolo pene.


Anche la nascita di Maria si era annunciata eccezionale, perché allietava la vita di due vecchi.
L'iconografia ha descritto, parlando di quella nascita, la premura delle donne, l'accoglienza femminile degli interni. Le fasce, i bacili, il letto, nessuna miracolosa presenza, nessun estraneo che da lontano sappia, riconosca l'eccezionalità dell'evento.
Poi il fidanzamento, la visita dell'Angelo. Il segreto. Perché non poteva gridare, annunciare lei stessa di chi fosse figlio suo figlio? Un destino tutto e solo femminile. Il figlio che tiene al seno. Quante tele la ritraggono in quell'atteggiamento, non solo di nutrice, ma di colonna, sulle gambe salde un bambino robusto incapace di camminare, ancora incapace, per molti mesi, e nudo. Poi lo ritroviamo, il divino fanciullo, disobbediente, allontanato dalla vista dei genitori: "vedi, tua madre e io ti andavamo cercando..."

Tua madre.
Lei, più tardi, da sola, accanto al figlio a suggerire, a spingere al passo di denunciarsi al mondo, nella sua identità assoluta. "Vinum non habent". Coraggio, aiutali, che bevano tutti gli invitati alla festa di nozze. Perché la madre è ancora così prossima? Suggerisce comportamenti al figlio già adulto. E lui perché non si sposa? Lui che benedice le nozze di altri.
Una madre si pone queste domande con un misto di orgoglio e paura: perché il figlio non si allontana? Perché si fa notare con la madre, ai banchetti?

Presto di lei si dimentica. Mai di lei fa cenno nei discorsi con cugini e discepoli. Lei non è presente alla cena, quando consapevole della tragedia imminente, con i suoi lui condivide il pane e il vino.
Lo ritrova su una croce, punito con morte di croce, tra due malviventi. Torna a tenerlo in braccio livido e senza vita.
Non è con le donne che lo hanno visto risorto. Nelle immagini medioevali, il figlio tornerà quando lei si troverà sul letto di morte, per accogliere tra le braccia l'anima di lei: l'anima di sua madre, una bambina in fasce. E allora finalmente la madre potrà riposare, tornata piccola e protetta, figlia del suo stesso figlio.

sabato 13 dicembre 2008

Socrates – L'editore, le problematiche

Ho conosciuto da qualche tempo una donna intelligente e coraggiosa e anche, non in ultimo, giustamente ambiziosa. Il suo nome è Louise Read ed è l'editrice Socrates. Forse il requisito dell'intelligenza potrebbe sembrare scontato, imprescindibile, per una categoria che si occupa dell'industria culturale. Purtroppo non è così. Molti degli editori che nascono ogni giorno, vogliono essere più che intelligenti, astuti, e con questa scelta finiscono per tradire la cultura.
A Louise Read piace scovare i suoi libri, e scavare intorno a temi scottanti. Uno dei più recenti è un'indagine sull'uso della tortura nei paesi così detti "civili", o meglio, di punta nella civiltà occidentale. Metodi d'interrogatorio "irresistibili" elaborati purtroppo anche nell'ambito delle università. Ma Socrates pubblica anche libri di più facile lettura, seleziona e acquista diritti di traduzione per romanzi che uniscono, alla piacevolezza della scrittura, critiche indirette e non banali delle società che sottintendono.
Mi riferisco in particolare al libro di Kathleen Ferguson, un'autrice contemporanea irlandese, "Storia di una perpetua", nella traduzione di Roberto Bertoni. La voce narrante è quella di una ragazza, educata in un orfanotrofio. Uscita di lì, per trentatré anni è la perpetua di un prete che protegge e platonicamente ama, quasi come fosse un figlio. Fino a che la demenza del suo "Padre" non la fa ritrovare senza casa e senza lavoro, ma finalmente, per la prima volta, mentalmente e fisicamente libera. E' un libro che parla di un cattolicesimo stantìo, in zona di confine confessionale – il confronto è sempre con la responsabilità individuale della mentalità protestante. Infatti protestante è il padre della perpetua, un uomo passionale che contro la moglie che lo esasperava col suo fanatismo cattolico ha usato la violenza fino a procurarne la morte e paga la sua colpa ormai in un manicomio criminale, lucido tuttavia abbastanza per analizzare le sue colpe e quelle della società in cui vive.
E' di questo personaggio una battuta che mi è sembrata in qualche modo adattarsi a quella che è ancora oggi, ma forse più violenta che mai, la polemica cattolica sulla famiglia. Dice l'uomo:
"Non hanno il coraggio di fare dei figli, perciò tengono sotto controllo i figli degli altri".
Direi, più ampiamente, la fertilità degli altri.

Pensavo al libro della Ferguson ieri, mentre ascoltavo alla radio l'espressione "sterminio di bambini non nati", registrando mentalmente un raro esempio di logica ossimorica. Come si può infatti uccidere, o addirittura sterminare, chi non è nato? E sono sopratutto le donne, queste sterminatrici, le nostre madri e nonne, noi stesse forse?
Volendo essere conseguenti, se l'imperativo morale è quello della riproduzione, dovrebbe valere per tutti. Nessuno dovrebbe pensare più conveniente per sé, addirittura più giusto e più santo, di astenersi dalla vita riproduttiva, per stabilirne poi le leggi valide per gli altri, come anche afferma, nel romanzo, il personaggio di Mr. Keen. Kantianamente insomma la massima delle azioni del singolo dovrebbe poter valere come legge universale.


Nel libro della Ferguson il cattolicesimo è una pesante coperta gettata sulla mente e la sensibilità dell'individuo in formazione, un obbligo che ha motivazioni fuori della responsabilità individuale e risiede nell'obbedienza a un ordine di cose di cui la protagonista conosce, dal di dentro e dettagliatamente come domestica di un prete, tutta la falsità.
Un bel libro, triste, ma anche, con tutta naturalezza, umoristico. Serve a riflettere sulla mentalità "educatrice" cattolica, che pretende di essere, dalle sue gerarchie, la voce stessa di Dio.
Piera Mattei