domenica 20 gennaio 2013

Parlare di Cina per costruire un' Italia diversa di Claudio Marcelli



Leggo i giornali mentre volo a più di 11.000 metri di quota verso la Cina. Lascio un paese in pieno dibattito elettorale che si avvia preoccupato verso le prossime elezioni. Sto tornando a Hefei per completare il mio periodo di visiting professor alla USTC. Questa università della Chinese Academy of Science è oggi l'università cinese con il più alto livello di high citation papers. Con i suoi circa 7200 undergraduate, più di 8800 graduate e ben più di 6300 Master è la prima università della Cina nel Nature Publication Index del 2011. Per capire la competizione per accedere a questa Istituzione, gli studenti accolti alla USTC sono un numero compreso tra il tre e il cinque per mille degli high-school graduate che applicano ogni anno attraverso un concorso nazionale.

L’interesse cade immediatamente su un articolo di Keith Bradhser in prima pagina sull’International Herald Tribune di oggi 18 gennaio, dal titolo “La Cina pensa che il prossimo boom siano i laureati”. Un paese che in poco più di un decennio è passato dal 7% a quasi il 15% del PIL mondiale, che contribuisce oggi per più di un terzo alla crescita mondiale e che presto sarà la prima economia del mondo, deve far riflettere se decide che il suo prossimo obiettivo è investire sull’istruzione. La decisione di cambiare il sistema di istruzione per renderlo più simile e possibilmente anche migliore di quelli oggi esistenti negli Stati Uniti e in Europa pone delle domande sulle conseguenze che potrà avere nel prossimo futuro non solo in Cina, ma sull’intero pianeta.

L’attuale piano quinquennale Cinese che terminerà nel 2015 è concentrato su sette priorità tra le quali ovviamente troviamo l’energia, la protezione dell’ambiente, le biotecnologie e le tecnologie dell’informazione. Saranno investiti circa due trilioni di Euro (1 trilione di Euro equivale a un milione di miliardi di Euro!) per sostenere le industrie che lavorano in questi settori strategici. Una politica di questo tipo richiede ovviamente investimenti umani adeguati e poiché la Cina oggi diploma in media solo tre studenti su cinque, una percentuale analoga a quella che gli Stati Uniti avevano intorno alla metà degli anni 50 del secolo scorso, si è pianificato di incrementarla fino a raggiungere in meno di un decennio, l’attuale percentuale degli Stati Uniti. La quantità non può essere considerata un parametro di qualità, e a certi livelli molto dipende dalla qualità dei docenti, tuttavia i numeri sono impressionanti. Ora questo immenso paese laurea nei suoi campus universitari e college circa otto milioni di studenti l’anno e intorno alla fine di questo decennio il numero dei laureati cinesi sfiorerà dunque i 200 milioni: un quarto della popolazione europea e più della metà della popolazione degli Stati Uniti!

Mentro penso, continuo a sfogliare i giornali e a pagina 48 del Corriere della Sera trovo il commento di Edoardo Segantini “Non più soltanto la fabbrica del mondo. La Cina prepara il boom dei laureati” probabilmente, anche lui colpito dai numeri pubblicati già qualche giorno fa dal New York Times. La Cina investe quasi 2500 miliardi di dollari nel capitale umano e nel suo sistema di high education basato su circa 2500 università. Certamente queste strutture non sono tutte uguali e nemmeno egualmente competitive, ma tutte sono sicuramente fondamentali per continuare ad alimentare la crescita economica e sociale di questo paese. Se paragoniamo la Cina a un veicolo e l’intelligenza al suo motore, non è difficile ipotizzare che tra pochi anni questo paese avrà un veicolo con “molti cavalli” in grado di spingerlo molto in avanti.
La sfida della “democrazia” dell’istruzione è una gigantesca sfida, forse la più grande mai affrontata dalla Cina, ma la macchina è ormai accesa e presto capiremo se sarà una Formula uno come gli Stati Uniti o il Regno Unito o magari ancora solo una utilitaria. Mi viene in mente ovviamente la Ferrari e il pensiero corre all’Italia, un paese forse uscito dal baratro di una gravissima crisi economica frutto di politiche scellerate, ma oggi alle prese con inevitabili tagli alla spesa pubblica e ovviamente anche all’istruzione. Privatizzare, tagliare, scegliere, chiudere, investire ….. quali saranno le parole d’ordine nel futuro del nostro paese per il sistema dell’istruzione? Oggi possiamo solo dire che la macchina è ferma ai box in attesa di benzina, accesa solo dalla passione di molti educatori che quotidianamente in “frontiera” continuano a insegnare e parlare di cultura ai nostri figli. Noi siamo certamente il paese della Ferrari, dell’alta moda o della pizza, ma soprattutto dell’arte e della cultura. In Italia sono nate le prime università, l’intero pensiero scientifico si fonda sul pensiero Galileiano e ancora oggi il nostro paese continua a produrre eccellenze. I nostri giovani non hanno quasi mai difficoltà a trovare posizioni all’estero ma ancora per quanto tempo sarà così? E’ necessario trovare risorse per alimentare il motore della nostra Ferrari. Pensiamoci andando a votare il 24 e 25 febbraio.

Nella foto Claudio Marcelli