domenica 17 aprile 2011

Anima e tematiche dell'ultimo libro di Lea Canducci–di Piera Mattei



Nella foto: all'Aleph, giugno 2009: Lea Canducci è la prima a sinistra accanto a Claudia Pagan
Lea Canducci – Debole questa notte – Terre sommerse 2010

I libri immediatamente precedenti Questo è per Lea Canducci il quarto libro di poesie dall'inizio del nuovo millennio e accostandolo agli altri si nota come, nell'unità di stile, ognuno abbia una fisionomia particolare, anche una tematica a sé.
Nell'opera compresa nella pubblicazione del Premio Alvaro, la ultima che ho letto, il tono predominante è lo scherzo, l'ironia, anche se già lì per la prima volta compaiono alcune delle poesie che vanno a comporre la prima sezione di questo libro.
Terre nere era invece concentrato sulla tragedia dei campi di sterminio, che si connettono alle vicende personali di Lea.
Anche le poesie di Schermaglie di frodo, erano spesso speziate d'ironia, il titolo indica l'intenzione di essere anche una sorta di prontuario per la sopravvivenza. La natura, lì come altrove, sempre presente.
La terra e, ora, l'acqua Mi colpisce che lì la natura circostante a cui si faceva riferimento fosse soprattutto la terra, una terra petrosa e aspra, mentre qui lo sguardo è soprattutto rivolto a un cielo meteorologico, azzurro, grigio, vento e nubi, e all'acqua, di fiume, di mare di pioggia.
Questo mi pare voler dire che la scabrosità del reale, delle pietre e dei sassi si è in parte disciolta in un fluido movimento equoreo. Ho contato in questo libro moltissimi riferimenti all'acqua nella duplice valenza di elemento vitale di forza tremenda, della natura e al cielo, nella sua mobilità e nel suo incombere. Talvolta un cielo che grida, che fraintende il gioco dei fanciulli (pag. 19):
…i fanciulli
giocano nell'acqua, le grida
dell''acqua, le grida dei fanciulli
si scontrano nel cielo e nelle nubi.
La storia e il tempo Rimane l'attenzione acuta ai fatti della storia, anche se l'ironia pungente si è in parte smorzata senza mai giungere all'arresa accettazione :
E ancora giorni impoveriti
da autunni e inverni
di guerre e ipocrisie.
Li vediamo gli spiriti ingrassati
senza sudore camminare
nel punto nero del potere.(pag. 44)

Possiamo guarire il tempo
malato di antico e di futuro
che non parla al presente
[…]
Se sapiente è la vita e la seguiamo
nelle giuste cadenze
nel suo giusto respiro. (pag. 29)
Quindi Lea non smette di spiare dove possa sprigionarsi "la spinta propulsiva", non smette di "dubitare sorridendo" (pag. 47), di cercare "le giuste cadenze" che permettano di sopravvivere. Non smette di gustare i piaceri semplici della vita, che siano un buon bicchiere di vino, o molluschi appena pescati per preparare un sugo saporito.
Il tempo, qui occulto o svelato protagonista, con una mano ha dato, nuove sicurezze affettive, esistenziali, dall'altro ha tolto, non troppo tuttavia e soprattutto quanto il suo passaggio, in modo del tutto naturale, comporta. La malattia, lo smarrimento, della persona con cui si è divisa la vita sono un avviso di chiamata. Ma ancora spiace alla femminile vanità di Lea, la perdita di nettezza dei contorni del viso. E riuscire a dirlo, è la giusta medicina per lenire la ferita di Narciso:
Un'improbabile storia ancora
mi racconto: abissi astrali
o colpevoli angosce dell''infanzia.
Non è la prima volta
che lo specchio mi rimanda
la mia faccia distorta e irrobustita
perché così stupita e grigia
mi compiango o disincanto. (pag.36)

Un'immagine critica: la ragazzina, la brava studente-lavoratrice
Proprio perché di passaggio del tempo stiamo parlando, occorre qui un'osservazione. Quando un nome s'affaccia, un'identità intuitiva, globale si fa presente. Forse non ha l'universalità delle idee platoniche, ma è totale e onnicomprensiva nella mente di ciascuno. Non voglio entrare in un neoplatonismo alla Hillman, no voglio piuttosto fare riferimento al metodo critico che ho enunciato nel volume L'immaginazione critica, alla certezza che se un poeta non eccita in qualche modo l'immaginazione del suo lettore-critico non si può attuare quel miracolo di empatia e distacco che porta a un' analisi vera, originale di quell'autore, di quel libro. L'immagine con la quale la personalità e il lavoro di Lea Canducci diventano per me cosa viva e insieme si coniugano alla mia immaginazione è un punto preciso della sua storia così come l'ho registrato nella mia mente.
Per me, ogni volta che la sua personalità di Lea Canducci mi si fa incontro, dietro l'immagine contingente, i colori dei suoi baschi e dei suoi cappellini, delle sciarpe e delle collane con cui rischiara il viso, vedo il sorriso, il volto di una ragazzina che, neppure sedicenne rientra col buio a casa dal lavoro, o dalla scuola che frequenta come studente-lavoratrice. E fila dritta, perché sa che il male s'annida dovunque, di male ha avuto precoce e tragica esperienza. Ma sa anche che arriverà a casa sana e salva perché suo dovere è la vita, far crescere in sé e rispettare la vita, come risposta energica all'altra vita sottratta precocemente ai suoi genitori, anche per precise responsabilitàdella storia: la guerra, i campi di concentramento. Se vedo quella ragazzina è perché Lea me ne ha parlato più volte, con tenerezza, con stima, come fosse la sua creatura diletta. In quella riconosco la sua anima, così come la può riconoscere, intuire chi nella immortalità delle anime, in senso teologico, non crede.
La sensibilità di quella ragazzina che precocemente ha conosciuto la morte e che sa che la vita deve essere rispettatala leggo a pag. 23:
La giovinezza domina
la vita, la negazione
della morte è la molla della vita
……. Noi esitiamo
alla fine, ma indegno è arrestarsi
La Natura indifferente e non matrigna Una condizione esistenziale di solitudine, di privazione di una madre benevola e amante ha trovato nella natura terribile e indifferente con cui si confronta l'Islandese leopardiano il prediletto strato teoretico della propria poesia. Mi riferisco qui a una precisa terminologia dove la Natura è simile al leopardiano brutto/ poter che, ascoso, a comun danno impera (A se stesso):
il volere ignoto ai soliti / mortali (pag. 72)
… i cieli si sconvolgono
i mari e le terre s'innalzano
e s'inabissano senza chiederci scusa(pag. 17)

e dalla poesia a pag. 27
il dio
sonante al di sopra delle chiese
…il suo passato
e il suo futuro sempre dominanti,
morboso cibo per noi
piccoli uomini coronati di spine.

Le regole Per sopravvivere quindi occorre forte volontà e conoscere e rispettare le regole, utilizzarle per costruire un proprio forte progetto, sempre portandosi nell'area dove non si bara, non si fanno imbrogli, non si accetta di venire corrotti.
Più volte in questa raccolta compare la parola "regola", anche come regola del gioco, come se tutta la realtà, la realtà nella sua materialità fosse sospesa su una superficie sottile, su una fragile scacchiera e che non solo nelle azioni umane ma persino nelle variazioni metereologiche, sempre, ci siano vinti e vincitori.
p. 15:
… A rovescio
le regole d'amore e morte
[…]
un giocare
a carte coperte senza vincitori
p. 17:
Precipizio di toni e lampi
in un ammasso di nuvole nere,
ma la pioggia non cade.
L'altra parte del cielo si schiarisce,
Vince o perde?

La poetessa psicologa Accanto alla ragazzina che si batte coraggiosamente per la vita, nell'idea che ho di Lea c'è naturalmente anche la poetessa-psicologa. Le due identità non sono separate, proprio perché è il rispetto per la vita chel'ha portata a conoscere le strade adatte a evitare l'attrazione dell'abisso, e a additarle anche agli altri.
Nella poesia a pag. 25 alcuni versi dicono assai bene questo intreccio di sensibilità e conoscenza, perché si comincia con l'indicare il ruolo della poesia come conoscenza e riconoscimento, per concludere, "insegnando" quanto si è già trovato utile per sé, cioè che lo specchio riflette un'immagine bella solo quando se ne spolvera via il Narciso. Notiamo intanto che per la seconda volta ritorna il motivo dello specchio:
Il poeta sprofonda e risorge
dagli abissi per fermarsi
ad osservare se un fiore
è un fiore o un nido un nido,
ma è lo specchio delle sue brame
che sorride quando si affossano
Narciso e le sue trame.
Qui nell'espressione un fiore è un fiore si può leggere un'eco di Gertrude Stein, non so quanto volontaria, e il gusto del gioco della rima. Altri echi involontari e giocosi, o meglio che raggiungono la mente e la poesia per circuiti spontanei si possono ascoltare in queste pagine.
Altrove poesia è risposta a uno stimolo autonomo che di nulla ha bisogno se non della sua stessa vitalità:
Non c'è bisogno del mondo
per suonare una musica
né del cielo per una poesia,
sto su un basso pendio
e scrivo parole. Il cuore va piano
e gli occhi ritornano
verdi come quando bambina
guardavo mia madre.
La madre Qui il continuo rapporto di Lea con la bambina che è stata torna evidente, col rimpianto della creatura dagli occhi verdi che era, e della sua vera madre che guardava. Doveva apparire bella, come bella appare ogni giovane madre agli occhi dei figli piccoli. Ma della madre, si noti, non c'è alcun ricordo fisico, non un tratto, come fosse solo un'idea, forse perché quasi tabù, tanto precoce ne è stata la privazione.

Questa poesia è molto importante, e cruciale per dimostrare il punto di vista espresso in queste note, cioè la fedeltà dell'autrice alla sua immagine fanciulla. Infatti prosegue:
Non c'è tempo da perdere, le cose
che so sono superabili,
il giorno si dilegua e io conforme
ai miei desideri, da prima della
classe, restauro il programma di domani.
Prima della classe, per riuscire a riprendere il passo col diritto alla vita, all'autoaffermazione, alla ricerca, che intimamente è pressante, di "verità", che si sanno sempre parziali.
La ricerca Ricerca che è il vanto e la condanna dell'uomo: alla pulsione a riflettere incessantemente, il tempo non ha dato risposte, e non può darne. La domanda viene dal suo daìmon direbbe Hillman, da quella voce interna, da quella volontà di superarci, non fermarci, che sempre ci muove verso un oltre che sappiamo mai raggiungibile:
Mi faccio domande
ma per poche ho pronte risposte.
E' servito solo a me il mio
elucubrare, il mio dubitare?(pag. 31)

Lo stile La ricerca e lo stile. La poesia è sempre ricerca, cioè è la risposta a quel daimon che impone di dire, quando un'intuizione trafigge, dire per rapide intuizioni quanto neppure con un trattato si riuscirebbe a dire. Questa capacità è lo stile. Più puntualmente sullo stile si Lea Canducci scrive Donato Di Stasi nella bella introduzione che"viene disincentivata la forma retorica della metafora per apposizione"e ancora"costruisce la profondità del discorso con le componenti minime e superficiali della paratassi". Infatti obbiettivo di questa scrittura non è la preziosità linguistica. E' una poesia di idee, anche spesso con accentuazione gnomica, come abbiamo sopra accennato, come si evince dall'inserimento di miti come quello di Arianna oltre al già citato Narciso, dall'uso non infrequente dell'imperativo, anche se spesso rivolto al proprio doppio educabile. Il verso scorre breve e senza abbellimenti al verso successivo, intento a seguire per un sentiero balenante, rischiarato da un intento sincero, il concetto che vuole esprimere: come in una cascata d'acqua, appunto in questo libro naturalmente immagini e pensieri si compongono e avanzano.

giovedì 7 aprile 2011

A due anni dal terremoto: a (e da) Marco Iovenitti, neolaureato in fisica, originario di Tempera (AQ)


Piera Mattei a Marco Iovenitti

Caro Marco,

siamo appena rientrati da Milano, dove ho presentato un paio di miei piccoli libri, traduzioni e saggi di Plath e Dickinson. L'ho
presentati proprio il giorno 6 aprile, data strettamente legata al terremoto dell'Aquila, e poi alla nostra dolorosa visita a Tempera, giusto il sabato successivo al disastro.
Avevo il rimorso, essendo in viaggio e lontana dal mio computer, di non avere ancora ricordato quest'anno la ricorrenza su "Lucreziana 2008", come mi sono ripromessa di fare, fino a che qualcosa nel volto di Tempera non farà pensare a una rinascita.

Con un giorno di ritardo sulla triste ricorrenza pubblico la tua lettera in cui parli del tuo dolore e della tua rabbia, e, nonostante m'immedesimi in quel dolore e in quella rabbia, della tua lettera ti ringrazio: mi viene in soccorso per mantenere la promessa.

Il mondo sta conoscendo in questo periodo infinite tragedie, ma questo non può farci dimenticare i luoghi e le persone che hanno attraversato il nostro cammino, che ci sono in qualche modo più prossimi.
Quella notte, ricordo, era ancora fresco l'olivo benedetto della Domenica delle Palme. Quest'anno siamo prossimi alla Pasqua una festa che per me ha soprattutto una valenza simbolica, universale, di rinascita.
Cercando d'oppormi al senso d'impotenza che ci stringe, faccio gli auguri più affettuosi a te, alla tua famiglia e a tutta la piccola comunità di Tempera,

Piera Mattei

Marco Iovenitti a Piera Mattei

Gentile dott. Piera Mattei,

sono Marco Iovenitti, l'ormai "ex" studente del prof. Bianconi alla Sapienza, il ragazzo di Tempera (AQ).

Sicuramente si ricorda di me, come del resto io non posso e non potrò mai dimenticare lei e il mio professore.

Oggi, 06 aprile 2011 ricorrono due anni dalla fatidica data che ha cambiato per sempre le nostre vite ed i nostri animi, per questo mi sentivo di doverle scrivere poche righe, giusto per un ricordo di ciò che è stato fatto e ciò che NON è stato fatto.

Affinché l'attenzione sul dramma che si vive qui nell'aquilano non continui a precipitare nel già profondo e scuro dimenticatoio dove è ora.

E' inevitabile che il pensiero torna a rivivere quella notte del "lontano" ma così vicino 2009. Sembra ieri, il ricordo è vivo, presente, brucia ancora nella mia mente.
Le grida, la devastazione, la distruzione, la morte. Tutto così lontano, tutto così attuale.
I miei amici che non ci sono più; compagni dei giochi d'infanzia, compagni di arrampicate, compagni e colleghi di università e di liceo. Perché loro? Nessuno saprà mai dare una risposta a questa domanda.
Ieri sera, dalle ore 23 30, c'è stata una fiaccolata lungo le vie principali della "città" L'Aquila; la fiaccolata terminava in piazza del Duomo, alle 03 30 e alle 3 32, 309 rintocchi di campane hanno ricordato le vittime del terremoto.
Ma tante altre persone sono morte nei mesi dopo quell'aprile 2009, persone forti, anziani con ancora tanta voglia di vivere, di godere degli ultimi anni rimasti, si sono lasciati andare, forse straziati da un dolore troppo forte. E così Guido, Pasquale, Vero, Maria, se ne sono andati: lo "zoccolo duro" del mio paese va assottigliandosi sempre di più.

E' tremendo rendersi conto che una realtà già difficile come L'Aquila prima del 2009, ora è un presente fatto di macerie, di assenza di lavoro. Ma soprattutto di assenza di gioia, di serenità, di felicità.
Quella bella città alle pendici del mio amato Gran Sasso non ha più un'identità, non ha un futuro. Il lavoro da queste parti è assolutamente assente.
Io, studente neolaureato, sono (o sarò) costretto ad abbandonare la mia terra tanto amata a cui sono tanto legato soprattutto in questo momento. Staccarsi da questi posti, soprattutto dopo tanto dolore, è difficile.
Dove posso fare domanda per lavorare? Quale ente di ricerca potrebbe assumermi? A L'Aquila non c'è nulla. Sono costretto ad abbandonare la mia terra in questo momento quando, invece, ci sarebbe bisogno di tutti noi.

E questo fa rabbia....tanta rabbia...

Oggi qui a Tempera splende il sole, come due anni fa; illumina le macerie del mio paese (e non solo) quasi a voler ricordare che da quel giorno poco o nulla si è fatto per avere un futuro migliore.

Splende il sole, vero. Ma nel mio cuore ancora non si è aperta l'alba.
E non credo sia ancora buio solo nel mio cuore.

Un carissimo saluto,

Marco

P.S. Gli anni di studio a Roma, la serenità di svegliarmi la mattina ed andare alla Sapienza a seguire lezioni mi mancano moltissimo.

lunedì 4 aprile 2011

Vincenzo Ananìa: l'agonia della Terra


Nella foto da destra: Vincenzo Anania, Piera Mattei, Norman Mozzato
Vincenzo Ananìa è personalità di rilievo nell'ambito della poesia italiana. Di origini siciliane e pugliesi vive da molti anni a Roma dove dirige e pubblica dal 1991 il quadrimestrale di poesia internazionale "pagine", da lui fondato.
Ha pubblicato quattro raccolte di poesie: Nell'arco (Crocetti 1992), Le ali di Darwin (Loggia de' Lanzi 1999), Noi (Zone 2003), Biblioteca (Zone 2007).

Una nuova raccolta è pronta per la pubblicazione. Ne diamo l'annuncio presentando alcune poesie dall'ultima raccolta. La nostra scelta verte su una tematica che sentiamo molto congeniale a questo poeta: quella dell'amore per le origini della vita speculare al dolore per l'agonia della Terra.

Salgono in superficie i pesci
dal mare che mi fluttua dentro,
hanno le bocche aperte
come a dire, e soffi
mi sembra di sentire
gorgoglii, bisbigli,
germogli di canti.
I suoni che da tanto
speravo di afferrare?
prove dei primissimi poeti,
un padre-pesce magari
o madre-mare, i sospiri
dei loro amori, o invocazioni
dai fondali al sole?
***



Da una finestra assolata
scopro il pallore della Terra esanime
e i tanti al capezzale a rianimarla
soffiarle in bocca dragare le vene,
e aghi nei capezzoli, nel ventre,
sanguisughe sul cuore,
bisturi e trivelle
a svellere radici, chiome.
Nelle incubatrici,
con un po' di batticuore,
le superstiti uova.
***



La testa ha sollevato
dal piatto:– che ora è? –
vòlto alla sala vuota
ai resti del banchetto
putrefatti, sazio,
sazio finalmente,
scomparsi gli alberi
gli uccelli, le colline
intorno – che giorno,
quale anno? –
***



Di schianto si aprirà
la memoria e in bell'ordine,
su un tavolo di fòrmica
o di amianto, le buone cose
in fretta divorate:
fiumi, bestie, foreste,
l'idea di una lucciola,
d'angelo.

Qualcuno salderà
la crepa, lucida
crosta la coprirà.
E in quella, come vera,
un'erba smemorata,
incommestibile.
***


Il Potere su noi,
in tutta la sua forza.
Vivere bisogna, amico
che dai fendenti ti ripari
con le mani, comunque
vivere – anche di occhiate,
sussurri, cenni.
O né vivere né morire:
fermi, appena schiusi,
lembi di uno squarcio.