lunedì 10 gennaio 2022

Le sculture di Annalisa Ramondino tra arte raffinata e gioco un incontro di Piera Mattei



Per qualche motivo che non so spiegarmi, il breve articolo, che dedicavo qui su Lucreziana 2008 ad Annalisa Ramondino lo scorso 8 marzo, non figurava più su questa rivista-blog. Lo riproduco pertanto in omaggio a un talento  originale e gentile.




Ieri sono andata a trovare Annalisa Ramondino, all'ultimo piano senza ascensore di una tipica casetta di Trastevere, e ho fotografato alcune delle sue opere e anche alcuni giocattoli che i bambini africani usavano realizzare nei decenni passati con fili di ferro e materiali di scarto, che lei tiene esposti, gli uni accanto agli altri, in lunghe mensole a muro. 

Anche Annalisa s'innamora di piccoli oggetti senza utilità e senza valore, vecchie tavole, ferri e altri materiali, li taglia dà loro una nuova forma, una nuova vita.  Mi mostra un oggetto strano, un termometro dei Tuareg, mi dice, del mercurio ben chiuso nella parte finale del contenitore di una penna bic, adattato a ciondolo da mettere al collo dei bambini, per vedere se il mercurio si dilata e verificare così se il bambino ha la febbre. Mi mostra anche piccoli tavolini, dalle gambe lunghe e sottili, con piani ricavati da specchi antichi, che scrostandosi formano disegni originali, sui quali lei lavora.

Per isolare la piccole sculture  e poterle fotografare individualmente o in piccoli gruppi le ho collocate sulla scaletta che porta a un soppalco. Perché la casa è tutta lì, un'ampia stanza d'ingresso-con un angolo cucina, una piccola camera da letto e quel soppalco.

Annalisa mi mostra anche la terrazza, dove, mi dice, la vite americana si è ammalata, motivo per cui dovrà trovare un nuovo rampicante che crei un riparo dal sole d'estate. Vedo in un grande vaso una pianta d'agrumi e narcisi in fiore. 

In questa stagione ancora fredda una luce bellissima penetra in quell'appartamento sui tetti e accende i colori degli oggetti, collocati con amorosa armonia non solo sulle mensole, ma anche sulla tavola dove mi serve un caffè, sul radiatore del riscaldamento e in ogni altro angolo della casa, che tuttavia conserva un perfetto ordine.

Annalisa è nata a Palma di Majorca, dove il padre, un diplomatico, era console, ma nella sua voce la cadenza di Napoli, la città dove è vissuta a lungo è ancora sensibile. Le dico che il 27 aprile sarò a Napoli, per presentare un mio libro e lei mi risponde che a Napoli ormai va poco, solo per salutare vecchi amici. 

Cerco allora di ricordare quanto Fabrizia Ramondino, sorella maggiore di Annalisa e raffinata scrittrice nata a Napoli, scriveva di quella città:

Napoli, dove è così difficile vivere e che invoglia tanto a partire, che è così difficile abbandonare e che costringe sempre a tornare, diventa, più di molti altri, il luogo emblematico di una generale condizione umana nel nostro tempo: trovarsi su un inabitabile pianeta, ma sapere che è l'unico dove per ora possiamo star di casa. 

Annalisa mi dice che ormai, per lo più vive a Itri, luogo che era stato molto amato anche da sua sorella, alla quale Annalisa somiglia nella grande passione per i viaggi, per l'appartenenza a luoghi diversi. Ma come Fabrizia negli ultimi anni, così Annalisa adesso ama vivere con il suo compagno a Itri, dove Fabrizia è sepolta.




martedì 4 gennaio 2022

Espressività matura nella raccolta d'esordio di Rosaria Ragni Licinio "Interno rosso Marte", Gattomerlino edizioni






TRE POESIE DA "Interno rosso Marte" 

Rinascere sarà domani

e sulla bilancia

una coscienza enorme

per le lancette di Dio;

 

ma ritrovare oggi il passo,

il piede affossato

in un tempo e lo sguardo

come un binocolo,

 

è volare lontano,

è restare presente.

 

 

 

 

Ho allacciato le scarpe

senza spezzare le ossa

cumulo di cellule indurite.

 

Sono nata quando

ho toccato le stelle e

il serpente

 

ora nell’uovo già schiuso 

riconosco lo stordimento

di essere al mondo.

 

 

 

 

Quarantadue anni,

l’elmo sulla testa,

i pensieri compressi

ma mi tace la guerra. 

 

Nel mese di marzo

dico solo quello che vedo:

l’odore del sale,

la tua finestra e

i pesci d’oro, fuori corrente.

 

So benissimo che si muore

solamente d’estate

coi capelli baciati dal sole

e l’arsura che parla,

 

ma qualcosa mi brucia

anche il cuore,

qualcosa qui accende

un mare 

di memoria e di zinco.


 

La raccolta d’esordio di Rosaria Ragni Licinio si pone come una coraggiosa opera di spoliazione e disvelamento dei vissuti, in cui viene rigettato il cliché della poesia consolatoria o lirica, giungendo a un’espressività matura, a tratti cruda, cupa, sporca.(dalla nota critica di Mara Venuto)

 

 

 

 

In quest’opera prima di Rosaria Ragni Licinio, tutta la poesia è forza concentrica ed espressione di materia nervosa. Infatti se da un lato i versi tendono a riorganizzare la memoria generatrice con lo scopo di “far quadrare” la realtà attraverso fotogrammi precisi, dall’altro una coscienza meditativa offre al lettore un’ampia gamma di riflessioni sulla vita e sulla morte. (dalla nota critica di Antonio Bux)