giovedì 25 aprile 2013

Adele Cambrìa – Istanbul – Il doppio viaggio – Donzelli 2012



Adele, Adone, un cane femminista e Istanbul
divagazioni critiche di Piera Mattei


Chi crederà che forze accoglier possa / animetta sì picciola cotante? / e celar tra le vene e dentro l’ossa /  tanta dolcezza un atomo sonante?  /O ch'altro sia che da liev'aura mossa / una voce pennuta, un suon volante? / e vestito di penne un vivo fiato, / una piuma canora, un canto alato?

Adele Cambrìa non è dedita al canto, almeno, in lunghi anni di frequentazione, non l'ho mai sentita cantare. Neppure in senso metaforico canta, cioè non scrive poesie: Adele Cambrìa, per quei pochissimi che non la conoscessero, è un'assai nota  giornalista di costume e di fatti politici, una femminista storica.
È vero. Si è occupata anche di moda, ma nell'insieme il suo profilo professionale è tutt'altro che grazioso, e il suo temperamento piuttosto combattivo che dolce. Eppure a lei associo la sopra citata strofa del canto VII dell'Adone di G. B. Marino, strofa che sigilla un'esplosione di bravura dalla lunga scia, con la definizione bizzarra, cioè in definitiva "barocca", dell'essenza concettuale dell'usignolo.
Pensando a Adele mi torna soprattutto in mente "atomo sonante". Il motivo per questa costante connessione deve risiedere certo in quella sproporzione tra una struttura fisica minima, graziosa, e la grande determinazione del suo carattere, la sicurezza della  sua voce.

Adele, dopo aver pubblicato poco più d'un anno fa quella che possiamo considerare la sua autobiografia sotto il profilo del tumultuoso rapporto avuto con varie testate – che con allusione erotica-ironica che le è propria ha intitolato " Nove dimissioni e mezzo" – esce, ancora una volta per Donzelli, con il libro "Istanbul – Il doppio viaggio". Il sapore aggiunto in questo libro, come si può evincere dal titolo, per lei e quindi anche per il lettore, è dato dal valore di riscatto da un rifiuto ricevuto per il diario di un viaggio nella stessa città, scritto negli anni '80, precisamente nel 1983, che, nonostante l'avesse proposto a più giornali, non era riuscita a pubblicare. Qui finalmente lo inserisce (ancora nei caratteri di una vecchia Olivetti), per operare un confronto tra ieri (trent'anni fa) e oggi.
Oggi le sembra che la città si sia risvegliata più consapevole della sua bellezza e dei suoi tesori. Quella piazza dell'Ippodromo che era allora, allo sguardo deluso di Adele, solo uno squallido giardinetto, è oggi in tutto degna di una  civiltà che ha veduto nascere e crollare imperi, restando i suoi splendidi obelischi confitti al suolo, con sovrana indifferenza.

Certo sbarcare all'areoporto era più facile trent'anni fa. Oggi il turismo di massa e, non contraddittoriamente, la diffidenza verso chiunque e qualsiasi cosa (le scarpe che suonano, la bottiglia dello sciroppo, la cintura e le chiavi) obbligano ai lunghi tormentosi serpentoni degli sbarchi e delle partenze. E possono nascere complicazioni se il compagno di Adele, W., si trova ad avere il passaporto rilasciato da una nazione (l'Olanda) che a sua volta non semplifica per i cittadini turchi le procedure d'entrata nei suoi confini. 
Tuttavia il viaggio a Istanbul si configura soprattutto come pretesto per compiere un più complesso viaggio tra i libri, i film, la storia  e la viva esperienza della città attuale, zigzagando tra le vite dei grandi poeti del passato, gli scrittori di oggi, finendo così per realizzare quasi una piccola enciclopedia ragionata dei luoghi, delle memorie personali e riflesse. Un procedimento paratattico dove c'è spazio per ogni evento e ogni problematica in regime, azzarderei, di assoluta parità, d'identico diritto all'interesse, alla curiosità, al raffronto.
Certamente i temi che più appassionano Adele sono quelli che riguardano la condizione delle donne e i rapporti talvolta tragici con le minoranze, i curdi e gli armeni, d'altro lato storicamente acerrimi nemici tra loro. Proprio con una finale agnizione di una donna curda, conosciuta anni prima, ai tempi del suo ingresso clandestino nel nostro paese (Aveva viaggiato con un tir fino a Trieste, tra le merci del trasportatore) si conclude il libro. Un libro, ripeto, che così come è concepito, rimane un testo aperto, che, quando l'autrice lo volesse, potrebbe essere aggiornato e arricchito ancora con mille fatti, riferimenti, legami, richiami.
nella foto: uno splendido cane femminista alla manifestazione delle donne in Piazza del Popolo, Roma, 13 marzo 2011

lunedì 22 aprile 2013

Su "Diario Ottuso" di Amelia Rosselli – Parte seconda




Scrivere per imparare a dire

Esaminando quindi dall'inizio i capitoletti, brevi e brevissimi di "Prime prose italiane": i primi due riproducono un'atmosfera di periferia neorealista, i colori della terra, delle case, del cemento sono in bianco e nero, in grigio, come quelli  delle pellicole del tempo, ma un fuoco d'erbe accese ne spezza il numero, la periodicità. Sembra avvertire nel silenzio un'inquietudine la cui espressione è affidata ad aggettivi, degni dell'inferno dantesco, da selva dei suicidi: viali appena inalberati, cespugli torti, case violente. E la luna incomoda, ha le dita prese dal fastidio, è notte, ma intanto la collina sciupa il nodo al sole. Ritmo musicale, endecasillabi che si ritagliano, mentre lo sguardo tenta di definire lo spazio. Infine uno sbarramento, uno squarcio della strada: come nelle  fiabe un divieto di andare oltre:

Non so quale nuovo rigore m'abbia portato a voi, case del terreno nero. La stesura dei campi vi spinge sul limite dei viali appena inalberati. Tra i cespugli torti le case s'innalzano violente. Rompe il numero un fuoco d'erbe accese.
Ha le dita prese dal fastidio la luna, piena la notte, incomoda giù per i balconi nuovi. è tremante il quartiere d'ingiuria. La collina sciupa il nodo del sole.

*
Il ponte è perfettamente bianco e si stende perfetto sul fiume appena mosso. Le costruzioni pallide si rincorrono fino alla sponda. In là varca un ponte grigio.
Oltre lo squarcio della strada non andare, se questo è l'ultimo paesaggio.

Era dunque "l'ultimo paesaggio" e ora Rosselli ci conduce in interni. Dentro una trattoria un oste che sembra ricordare le intriganti figure manzoniane. Lui è pericoloso, sa tutto. In quel "tutto" c'è la disperazione, la persistente manìa di persecuzione di Amelia, che presta a chi non ama e non la ama, alla società fredda e aggressiva, il ruolo di aguzzini. Per contrasto un giovane cameriere che corre per le camomille è un angelo salvatore, anzi il personaggio più nobile, il re d'Italia:

Che strana trattoria possibile che qui sanno tutto? Mi accoglie l'oste grasso pericoloso con occhio sapiente. Era molto tempo sapeva. Mia esistenza dove m'hai buttata!

*
Bellissimo cameriere tu sei il re d'Italia tu che pazientisci e corri per le camomille.

Il quinto capitoletto è dedicato a un'invocazione-deprecazione di Roma, dove amore e risentimento si mescolano. La bellezza e l'eternità del luogo implicando un obbligo di servitù e sudditanza da parte di chi la abita, porta a covare la ribellione, il risentimento. Lei, Roma, è come una donna ancora bella (i tuoi seni bianchi e lustri), una conquistatrice stanca delle sue conquiste: ora siedi, riposi assestata:

Roma città eterna che silenziosamente di notte ti bevi il tuo splendore hai tu nulla da predire. Ti sei fatta principessa e languisci. Nulla ti vieta. Arrotonda pure i tuoi seni bianchi e lustri. Le massaie si sono stancate di portarti le acque piovane. Tu hai succhiato latte di volpe hai rubato hai  saccheggiato e ora siedi riposi assestata.

In questo paragrafo si è inserito il tema dell'acqua, che, come in una partitura musicale si svolge nei due capitoletti successivi con variazioni: dal fiume al mare, all'acqua piovana, all'incontro della corrente con l'immensità equorea. Il paragrafo si apre su una similitudine che nella sua stranezza tuttavia ci riconduce al regno di quanto è umido: L'acqua è una grande rana.
Ma poi l'acqua acquista una valenza etica, caritatevole. Il  fiume è anche un'entità esteticamente affascinante : è lentigginoso, perché una brezza muove il riflesso del sole sulla corrente. Nella sua agilità è una pantera, è feroce, selvaggio e solitario, ma è anche una donna, che dovrebbe prepararsi adeguatamente all'incontro col mare, mentre lungo la sua corrente, presenze invisibili di morti sfiorano e forse attraggono le donne lungo le rive.
Anche al mare compete un'analogia strana, presa dal basso mondo animale: Sei una grande bestia lumaca, e poi ancora altre analogie quasi inafferrabili che si chiudono tuttavia su un'affermazione forte e chiarissima: Sei ... una forte tomba.
Dalla distesa d'acqua all'acqua piovana, cui sono dedicate due o tre righe di grande efficacia, dove la ripetizione e l'assonanza (tu cammini dolente tu cammini dolente e lenta) rendono il senso del malinconico incedere sotto la pioggia leggera.
Nel terzultimo capitoletto compare un colore, il blu della solita Maria, in un contesto barocco,
di cui Rosselli sottolinea la valenza erotica: nudo scandalosamente il Cristo attraente alle bambine. Cristo Jesù legno che non marcisci con lo cuore spinoso, dove viene fatto di chiederci perché quella sostituzione dell'articolo "il" con "lo", ma poi l'orecchio prova a dare la sua risposta: lo cuore
è certamente più spinoso che non il romanticamente abusato "il cuore".
Quindi il paragrafo più breve e più enigmatico, che torna all'assenza di colore:
Erba nera che cresci segno nero tu vivi.
A conclusione ritorna il fiume, il Tevere, il luogo delle sue passeggiate, dei paesaggi e delle impressioni catturati per la poesia. Qui non è più pantera, né più minaccia. È bello come può essere bello un cadavere, tranquillo come il cane che siede sulla sponda (Siedi come un cane), che col il fiume, con la sua pace cadaverica, s'identifica. Torna qui il tono che abbiamo definito infantile, con l'adozione dell'aggettivo "bello"in funzione esclamativa, con l'uso dei diminuitivi (Bello che sei fiumicino cadaverino). Un uso storpiato, giocoso, se non fosse macabra in sé l'idea di un fiume già del tutto morto.

La seconda brevissima raccolta di prose, compresa nella seconda sezione del libretto, Nota, comprende scritti che vanno – sembrerebbe però programmatico – dal primo gennaio '67 al 30 dicembre '68. Così ne scrive Rosselli con riferimento ancora una volta a modi e tempi di scrittura, (a mano o a macchina) aggiungendo stavolta  anche un breve cenno all'accoglienza ricevuta durante le letture:
É prosa difficile, interiore quanto la poesia, ma vorrebbe riflettere, come in uno specchio curvo, il razionale. L'ho letta in pubblico una volta, invece di leggere poesie e l'attenzione era forse maggiore.
Come si deforma il razionale, riflesso in uno specchio curvo? Focalizza la realtà, dilata i tratti, i  contorni? È forse questo il modo più consueto di riflettere, non la realtà, sia chiaro, ma la ragione, che porta avanti la scrittura di Amelia Rosselli?
Di questa raccolta ci colpisce in particolare un paragrafo che afferma la sopraggiunta consapevolezza, la forza della propria volontà: Io decidevo di esprimermi con maestà e furore anche se le parole assumevano a volte un contegno più che irrispettoso. Dove colpisce la forza del verbo, irritualmente preceduto dal pronome di prima persona e quei due complementi di modo, di una forza assoluta. Ma ancora più contraddistingue questa voce, quel far ripiegare tanta violenza nell'ironico contegno "irrispettoso" delle parole. Le parole sono avvertite come strumento ribelle, oppositivo, persino ironico, di quella espressione forte e altera.
Proprio nell'ultima prosa di Nota, quella che porta la data del 30 dicembre 1968, compare, con le due iniziali maiuscole, il nome "Diario Ottuso", che in senso stretto compete all'ultima raccolta del libretto:
Fingendo i benpensanti d'essere così luminosi mi misi a stringere nella mano questo Diario Ottuso.
Tra queste varie prose solo Diario Ottuso è scritto in terza persona, ma soltanto simula una vera narrazione oggettiva. Ritroviamo qui, ancora più esplicita, quella voce, quella sensibilità infantile a cui abbiamo fatto riferimento più avanti. Qui, si racconta di una partenza, di un distacco, non desiderati, compiuti in obbedienza a un ordine. E di quale ordine si tratterà se non dell'ingrato obbligo di diventare adulta, di finirla con l'innocenza, con l'immaturità, verso quella completa assunzione di responsabilità alla quale gli altri, i cosiddetti adulti, ci spingono? Maturità di cui, come nelle tradizionali iniziazioni, occorre dare, e la voce narrante sfida sé stessa a dare, concrete prove:
Ora farò vedere che sono cresciuta fino alla età che avevate voi quando mi avete messa al mondo!
Più avanti un tormentone sul tema della partenza e del partire, del volere e non volere lei stessa o altri che lei partisse. In sette righe, con bravura funambolica che rende l'intima dissociazione, il verbo partire è coniugato in differenti tempi e forme ben tredici volte, senza che una sola volta suoni superfluo:
Partì senza dire a nessuno perché partiva: partiva ed era obbediente agli altri nel partire, essi che preferivano che lei partisse. Partì, e fu come togliersi la giacca, tutta indaffarata nel partire, e pensare: perché sono partita? perché mi hanno fatto partire?
Non so perché sono partita, si disse, e nemmeno voglio sapere perché essi hanno voluto ch'io partissi, si disse, e ora non ho nemmeno voglia di partire, pensò partendo.
Il racconto dello strappo continua: il treno conduce la protagonista in un luogo dove avrebbe finalmente imparato a vivere. Gli incontri, l'amicizia, un giovane forte "fratello" hanno l'opposizione di maestri furbastri, espressione che torna più d'una volta, ancora una volta ingenua, quasi da vocabolario di scolara ribelle.
Ma, tornando al legame forte tra la donna e un uomo:
 L'uomo non fu mai uomo pienamente e l'altra rifiutò di essere donna. L'uno morì, l'altra se ne pentì. [...]Giocò, come tutti, con la  vita, ma non più infantilmente: con graffi sui tavoli degli osti meravigliati del suo improvviso ritorno con faccia angolosa.[...] Fucilò il resto della sua forza; fucilò il fuoco della verità che trapelava di tra le ciglia chiuse dell'infante sbalordita, del mondo ricurvo che voleva mostrarsi quadrato.
Ecco dunque: due volte è pronunciato quel concetto "infantilmente", "infante". Quella creatura che balbetta e che grida la sua inadeguatezza al mondo, che Rosselli sta descrivendo, è lei stessa disperata di aver ormai deciso di fingere l'età adulta. Torna anche l'immagine dello specchio curvo del razionale, sopraffatto dalla minacciosa ottusità di quanto si mostra di misura perfetta, squadrato.
Non mancano nella storia della protagonista di Diario Ottuso, alter ego di Amelia, i momenti luminosi, semplice felicità nella natura, accanto all'amico fratello. I "maestri furbastri", ora che lui non c'è più, consiglierebbero di dimenticare, lei non può e non vuole e si aggira sperduta e chiusa nella sua solitudine.
Era partita, ma vorrebbe fuggire ormai, tornare indietro – rifugiarsi nuovamente nel buio di un utero accogliente? Questo non è possibile, non c'è ritorno :
Nessun ponte ostacolava la sua andata ma il ritorno era frastagliato di disinterrate mine, e molti piccoli ponti grigiastri collassavano nelle rupi bidestre, maldestre, asciutte, tetre.
Qui il cerchio si chiude, il romanzo brevissimo si conclude, non rimane che quell'illuminazione, di apparente rinuncia, quasi di sapienza orientale, quella luce esatta sulla sua "dimensione vitale": il non sapere, il non vedere, il non capire.
Piera Mattei

martedì 16 aprile 2013

Homero Aridjis – Diario dei sogni – Traduzione di Emilio Coco – Giuliano Ladolfi editore, 2013




Homero Aridjis – Diario dei sogni – Traduzione di Emilio Coco – Giuliano Ladolfi editore, 2013



L'uomo è l'animale più crudele
di Piera Mattei

Senza l'attività di traduttore dallo spagnolo di Emilio Coco, il lettore italiano avrebbe certamente una conoscenza più limitata della poesia che si produce oggi nell'ambito di quell'immensa cultura linguistica. Infatti Diario di sogni è uscito in Messico soltanto nel 2011 e già, molto tempestivamente, nel gennaio di quest'anno ne è pronta la traduzione italiana, con un'ampia introduzione dello stesso Emilio Coco.


L'autore del libro, Homero Aridjis, è una personalità culturalmente complessa e interessantissima: romanziere, saggista, autore di testi teatrali e di libri per l'infanzia, nonché ambasciatore negli Stati Uniti e in diversi stati dell'Europa. È inoltre molto noto e attivo nell'ambito della politica ambientalista. Ha infatti ricevuto premi internazionali per questa sua militanza, ma soprattutto è riconosciuto e si riconosce come poeta.

Questo libro, che comprende poesie scritte dal 1986 a oggi, è dedicato alla moglie Betty Ferber, traduttrice e ambientalista statunitense e alle figlie Chloe e Eva Sofia, anche loro intellettuali e artiste di notevole spicco: la prima, premiata a Londra per il suo romanzo d'esordio, in lingua inglese, la seconda molto nota in Messico, a New York dove risiede, e anche in Europa, come regista per pellicole d'impegno sociale e di realismo fantastico.

Il riferimento alle figlie e alla moglie è necessario non solo per rendere l'idea di un ambiente colto e cosmopolita di cui Homero è il capostipite, ma anche perché il libro può essere letto come un continuo dialogo con loro, una riflessione sui ricordi e le radici, un diario dei sogni alle figlie lontane, o talvolta anche un racconto del sogno alla moglie, appena al risveglio. In contrasto con l'idea di un cerchio familiare che quasi si nutre e si sostiene in modo autosufficiente, in una dialettica fitta di stimoli e rimandi, la data e il luogo dove la poesia è nata, scritti a fondo pagina, sono il documento di un continuo viaggiare. Ci sentiremmo di concludere che, variando il mondo intorno, l'unico vero bagaglio sia lì, non solo nella famiglia, ma nell'intima riflessione e nel ricordo, in quel proiettore di sogni / più antico e fantastico del mondo: la testa, come il poeta scrive in una poesia dedicata alla figlia Chloe.

Per Homero Aridjis tuttavia l'incrocio di culture è già nel suo proprio DNA. Quel nome greco, che più greco non si potrebbe, gli viene da un padre, esule da Smirne in un villaggio del Messico, dove aveva aperto un negozio di biancheria, mentre la madre, messicana, è il seme del profondo, anche se oppositivo, radicamento nella mitologia azteca. La forza degli antichi miti, dall'uno e dall'altro continente si fanno humus dove far crescere rigogliosa la poesia, ma non la speranza se è vero che, citando titoli di poesie: la violenza cominciò con gli dei e siamo figli di dèi crudeli. Dell'una e dell'altra tradizione vengono riprese le favole più cruente, i miti che non conoscono la pietà e l'amore. Apollo e le altre divinità della bellezza non ci sono più, sono rimasti re Mida e la Mamma Coatlicue, madre che detesta tutti i suoi figli tranne il vendicatore e sanguinario Huitzilopochtli:

Il lago sacro dove Apollo vide la luce / più non esiste, / la bocca che proferì l'oracolo a Delfi / più non esiste, / il mercato di schiavi di Delo / più non esiste, / la ninfa che guardava le greggi / più non esiste,
*
Nella città non c'era acqua, / ma Mida nella sua piscina olimpica nuotava / come se tutta l'acqua della città fosse sua. / Aveva contato i guadagni del giorno,/ e era felice perché pensava che la gente / fosse felice perché egli aveva accumulato un altro milione / e perché con i suoi affari aveva creato più poveri / e adesso poteva aiutare i poveri.
*
Questa sfinge dei colli messicani, / è la madre di tutte le frustrazioni, / partorì l'uomo solo per cavargli il cuore / e appenderlo alla sua collana di mani infilzate [...] È lei che uccide alle spalle l'amico / e fa cadere la ragazza che sfugge allo stupro. / Confondendosi col buio punta col dito / scarnito l'uomo che deve morire. / È lei che affila i coltelli del macellaio / e maneggia le pistole e le mitragliette / di criminali, soldati e poliziotti.

A proposito della madre crudele, come non collegare a quel mito il culto della Santa Morte, religione che si va espandendo in Messico soprattutto tra i marginali, e venera immagini femminili di lugubri scheletri, sontuosamente vestiti, e le prega di concedere una morte subitanea. Homero Aridjis ha scritto un racconto che ha, come personaggi, fedeli di questo culto, mentre il documentario che di questa devozione mostra le immagini, che ha fatto il giro del mondo ed è stato premiato al festival del cinema di Trieste, porta la firma di sua figlia Eva Sofia Aridjis.

Nell'ultima tra le citazioni che precedono, tratta da una delle due poesie che hanno come titolo Mamma Coatlicue, i coltelli affilati che squartano miti animali domestici sono posti su un piano di crudeltà paragonabile a quello di pistole e mitragliette spianate contro gli uomini. Perché infatti l'animale è nostro simile, è fratello, come il cavallo dell'omonima poesia:

Collo lungo / sotto il quale correvano strade // Occhi grandi / che divoravano soli // Zampe veloci / che raddoppiavano ombre // Cavallo fratello appeso a un gancio / nella macelleria dell'uomo

L'uomo è l'animale più crudele, anche con chi lo ama incondizionatamente, sembra banale dirlo. Ma non è certo detto banalmente, anzi è espresso con identificazione profonda nell'animale, nella poesia dedicata a la Cagna abbandonata su un'isola, che non riesce a capire l'amicizia tradita.

Un tema o un sogno sono più volte riproposti in successione, in poesie dallo stesso titolo. Poesie riconosciute d'identico tema, talvolta con variazioni che non ne mutano la sostanza, hanno a protagonisti non solo i Mida o i feroci dèi aztechi, ma anche un padre che, tornato in sogno, l'ultimo giorno dell'anno entra con lui in una chiesa gelida. Altra volta uno stesso titolo compare prima nella forma di poesia e, a distanza di pagine, in forma di prosa, con date, documentazioni, racconti relativi all'evento che la poesia canta, in qualche modo prendendo su quella il sopravvento. È il caso di I fichi bianchi di Smirne, i frutti che hanno portato nell'orto del padre il profumo di quella terra, dove, dopo la partenza in età molto giovane, non è mai più tornato.

Lo stile di Homero Aridjis, come si evidenzia nelle citazioni, è semplice, la forma della scrittura è quella stessa del pensiero, senza complesse mediazioni letterarie. Ma il pensiero sottinteso da questa poesia è forte. Coerente appare anche la forma del diario, per quanto dilatato ed esteso per oltre vent'anni. Contribuiscono a rendere quella forma non solo l'indicazione frequente del "dove e quando", come abbiano notato, ma persino alcune brevissime composizioni che hanno l'aria di veri e propri appunti, ancora in attesa di essere riconosciuti e illuminati. "Diario dei sogni" contiene molta poesia: versi che rimangono incisi nella memoria, segno evidente che Aridjis – hanno saputo agitarvi immagini originali e potenti fantasmi.
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Miro, il cane nella foto non è un cane abbandonato, ma è orfano dalla nascita, per questo ha spesso uno sguardo molto triste










sabato 6 aprile 2013

TEMPERA 2013





TEMPERA dov'è?

Tempèra, villaggio montano, attraversato dal fiume Vera, in provincia di L'Aquila, era la casa di circa mille persone, fino alla notte tra il 5 e il 6 aprile 2009.

Quella notte tutto il centro storico di  Tempèra è andato  distrutto.

6 aprile 2013






martedì 2 aprile 2013

dalla Cina 4 – Guanxi, che cos'è? di Claudio Marcelli


Guanxi nella cultura e nell'economia cinese

Nel quadro della crisi internazionale (e purtroppo anche strettamente nazionale) che stiamo vivendo, lo scenario è in continua evoluzione e notizie quali le ultime previsioni dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) confermano il rallentamento della crescita cinese, ma certificano anche come l’economia di questo paese abbia resistito alla crisi economica e finanziaria globale degli ultimi anni, molto meglio di qualsiasi altro paese occidentale.

Già nel marzo 2007, il presidente cinese Wen Jiabao in una conferenza stampa dopo il Congresso Nazionale del Popolo aveva definito il modello economico della Cina "instabile, sbilanciato, scoordinato e insostenibile” e il suo successore Hu Jintao aveva sottolineato in numerosi discorsi l'importanza dell'innovazione per la crescita della società cinese. Critiche al modello economico e di sviluppo principalmente basato sull’export e principalmente legato a modelli di produzione nelle ricche province sulla costa, che non poteva infatti alimentare da solo una crescita equilibrata e sostenibile.

Molti in questi ultimi anni, soprattutto in USA, si sono domandati se e come la Cina sarebbe riuscita a promuovere con successo un sistema basato sull’innovazione guidato dallo Stato e destinato a favorire le industrie nazionali, o se avrebbe scelto un sistema più aperto, collaborativo, basato sul mercato e in grado di integrare conoscenza e competenze provenienti da ogni parte del mondo.
Oggi, dopo oltre tre decenni di crescita sorprendente, attraverso un modesto aumento delle esportazioni, ma anche della domanda interna, associata a un consistente miglioramento degli standard di vita, e nella previsione di un ulteriore quarto decennio di crescita, a cavallo tra il 2016 e il 2017, probabilmente la Cina raggiungerà e scavalcherà la prima economia mondiale: gli Stati Uniti.

Viene naturale pensare che ormai, dopo circa quarant’anni, la rincorsa della Cina agli Stati Uniti si sia finalmente conclusa con la sconfitta di questi ultimi, quantomeno dal punta di vista economico. Tuttavia, poichè sia la Cina sia gli Stati Uniti si trovano a competere sul mercato globale, l’aspetto economico è molto più complesso: entrambi i paesi condividono enormi interessi nella promozione della scienza e della tecnologia necessari per risolvere le sfide della crescita economica, della salute e dell’ambiente. Non possiamo infatti dimenticare che gli Stati Uniti e la Cina non sono solo i due principali investitori in ricerca e sviluppo, ma anche, di gran lunga i due maggiori responsabili delle emissioni di gas a effetto serra, oltre il 40 per cento delle emissioni a livello mondiale. Allo steso modo, entrambi devono e, dovranno affrontare enormi problemi sociali legati all’invecchiamento della popolazione, della lotta contro il cancro e di altre malattie croniche.

Eppure un’analisi della crescita della società cinese basata solo sulla crescita economica, non può essere semplicemente interpretata come la vittoria del Dragone nei confronti dell’America, anzi il modello Americano sembra giorno dopo giorno espandersi a macchia d’olio in questo paese.
Uno degli aspetti più evidenti di questa americanizzazione strisciante è associata alla diffusione dei beni cosiddetti di consumo, alla scomparsa purtroppo inevitabile delle abitazioni e degli stili di vita caratteristici della società cinese e al loro modo di fare business. La cultura cinese si distingue infatti enormemente dalla cultura occidentale, in particolare per come viene condotto il rapporto d'affari.
Uno dei caratteri distintivi della società cinese è infatti il Guanxi (关系 / guānxi). Questo termine è usato per descrivere le relazioni che coinvolgono positivamente due partner che comprendono scambi di favori e/o "connessioni". È sicuramente uno degli elementi più importanti nella cultura cinese, basata su una rete di relazioni che ha radici profondissime nella società.

Un giusto Guanxi può aprire molte porte e minimizzare ostacoli in tutti i rapporti di lavoro. È sicuramente basato, anche se questa è ovviamente una forte semplificazione, sulla fiducia reciproca legata a precedenti esperienze e non solo o semplicemente, a scambi economici o favori personali che comunque sono ben conosciuti nel mondo cinese e non avversati. Il confine con la corruzione è spesso molto labile, anche se le due cose non possono essere confuse o semplicemente essere associate tra loro.
La mancanza di Guanxi è certamente per uno straniero il maggiore ostacolo per iniziare un business. Infatti, dietro questo termine troviamo soprattutto il rispetto reciproco, costruito nel tempo. Attraverso la creazione di questo rapporto, entrambe le parti accettano implicitamente di essere a disposizione in caso di necessità e hanno a disposizione una moneta alternativa da scambiare, e che comunque può esaurirsi.

I regali sono spesso utilizzati per stabilire o riequilibrare un Guanxi, ma se si riceve un regalo non si deve necessariamente restituire il dono e non tutti i regali hanno motivazioni particolari. Molto spesso i regali esprimono semplicemente la gratitudine e i cinesi preferiscono sempre trattare con persone che conoscono e di cui hanno fiducia. Sebbene a prima vista, questa interazione tra partner possa sembrare simile a quella esistente nel mondo occidentale, in realtà, l’enorme dipendenza da questo rapporto implica che gli occidentali in Cina devono farsi conoscere molto bene e soprattutto, il rapporto non è semplicemente tra imprese, ma soprattutto a livello personale in un processo continuo che inizia ben prima del contratto economico vero e proprio. Ogni azienda deve mantenere costantemente questo rapporto se vuole iniziare e mantenere relazioni d'affari con i cinesi, in quanto loro si sentono sempre obbligati a fare affari prima con i loro amici.

Le società con un Guanxi riconosciuto hanno molto spesso prestazioni molto migliori rispetto a quelle dotate con poca o nessuna relazione con i cinesi. La natura reciproca del Guanxi e delle sue obbligazioni implicite è la ragione principale per cui i cinesi sono reticenti a impegnarsi in relazioni profonde con persone che non conoscono.

Eppure anche la Cina sta rapidamente cambiando. La sua antica “cultura” sta progressivamente e profondamente modificandosi assorbendo giorno dopo giorno modi e stili del mondo occidentale. Vivere in una grande città cinese ormai non è ormai molto diverso da una città americana. Le indispensabili tecnologie delle società occidentali come i telefonini e gli smartphone sono ormai nelle mani di milioni di cinesi. Dalla televisione compaiono le stesse immagini patinate e si propongono gli stessi modelli. Decine di bambini e ragazzi frequentano scuole internazionali e ormai milioni di cinesi hanno la possibilità di viaggiare all’estero assorbendo culture e abitudini molto diverse dalle loro.
Per quanti anni ancora il Guanxi sarà l’elemento fondamentale del sistema di business cinese e, soprattutto, siamo sicuri che basterà alla Cina diventare la prima economia del mondo per garantirsi un vantaggio nello straordinario scontro culturale in atto con il modello americano?

Il nuovo quartier generale della China Central Television, dotato di 51 piani per un'altezza complessiva di 234 metri è stato costruito a Pechino per i Giochi Olimpici estivi del 2008. È sicuramente una delle strutture più rappresentative dell’influenza occidentale su questa moderna capitale e in generale sulla società cinese. L’edificio è stato costruito dall’architetto olandese Rem Koolhaas e dall’architetto tedesco Ole Scheeren dell'Office for Metropolitan Architecture insieme allo studio di progettazione britannico ARUP, quest’ultimo responsabile per il complesso progetto ingegneristico.