martedì 25 giugno 2013

Singola vita, stretta a singola vita, di Piera Mattei

 Gemma Ravanello








 Gemma Ravanello Bosco – edizione del Giano, 2012



Ci sono persone, nella nostra  città – ma forse sto parlando di un tipo umano universale – delle quali ti accorgi che amano la bellezza, in particolare la poesia e la natura, con estrema  semplicità, direi per il semplice fatto che s'impone loro come degna d'amore e quasi in un'aura di sacertà. Persone che non costituiscono il semplice pubblico degli incontri letterari. Ti accorgi della loro viva partecipazione, della loro schietta passione, dal modo di essere presenti, dallo sguardo, dagli interventi mai esibiti, ma invece appassionati, mai, come qualcuno ama fare, da "addetto", da guru della cultura.

Queste persone esistono, forse sono più numerose di quanto si potrebbe supporre,  e sono il lievito della cultura.
 Così sono stata molto contenta quando al circolo Aleph, degli amici Luigi Celi e Giulia Perroni, in vicolo del Bologna, a Roma, ho visto esposti i quadri di Gemma Ravanello, che conoscevo come persona insieme vivace e discreta,  e lei poi mi ha consegnato la sua prima raccolta di poesie: "Bosco".

Con assoluta coerenza protagonisti degli uni e delle altre sono gli alberi, il verde, l'amore per per la natura vegetale,  che è anima e progenitrice di tutti noi che sulla terra ci muoviamo.
I  quadri e le poesie vivono dello stesso amore, hanno il tocco vivo e semplice delle opere anzitutto sincere. Sono un omaggio alla bellezza e all'emozione che quella provoca.

Per quanto riguarda il libro,  nel poemetto iniziale protagonista assoluta è la voce parlante, che, per  quanto entusiasticamente innamorata, è in posizione tuttavia antropocentrica, per quel procedere della persona nella natura che rimane fissa, quasi scenario immobile, mentre lei, Gemma,  analizza le emozioni che l'attraversano, a contatto fisico e spirituale, con quel bosco.

Nella seconda parte protagonisti si fanno i fili d'erba, il grande noce, l'albero stecchito, nell'ascolto di loro come individui, nell'abbraccio: singola vita, che ha un inizio e una fine,  stretta a singola vita consapevole di un identico destino.
Questa seconda parte è quella che più ha toccato le mie corde, e con sincera empatia e commozione, riporto di seguito alcuni versi, anche a commento  e accompagnamento visivo-musicale alle immagini dei bei quadri di Gemma.

Piera Mattei

Da "Bosco"

Nel silenzio, verde,
del mio giardino mentale
si perde lontano
il suono di un filo d'erba che cresce;
si impiglia, nel vento,
la voce del ramo
di un albero amico 
[…]

***

Cingendo con le braccia
il corpo di un pino
ne aspiro la fragranza di vita.
Come in una trasfusione di sangue
cola in me l'essenza
dell'albero fratello
su una terra compagna di viaggio.
[…]

***

Lì, sempre,
anno dopo anno,
ogni estate, ti vedo;
ritto, sul bordo del sentiero
che dà sulla vallata.
Solo un tronco lungo, esile;
l'ombra di te stesso
che il vento più non scuote.
[…]
Un brivido di malinconia:
il pensiero mi prende
che non sei, tra noi, a respirare.




sabato 15 giugno 2013

Sara Bufalini – Dicono che la morte vada contemplata




Le poesie di Sara Bufalini che seguono sono cinque: cinque come le dita di una mano e ciascuna è come una mano che cerca di stringere la vita per fermarla e per possederla, la vita, come sempre fa, scivola via, ma lascia nel palmo la sua impronta poetica che, nel caso di Sara Bufalini, consiste in un rimando, un doppio volto. Sono infatti due gli aspetti che caratterizzano ogni lirica: da un lato la visione, il tempo in ogni poesia è ferma, l’immagine è nitida, gli oggetti sono a fuoco. Se c’è un trascorrere, come in Brindisi all’amore o Una scimmia sta aggrappata alla mia porta, è in realtà un susseguirsi di fotogrammi netti, e l’immagine apre a un interrogativo che si dilata per tutto l’arco dell' esistere e fa domande sull’amore, sul dolore, sull’affinità, sull’alterità e sulla morte con tono coraggioso e dolente.

Non ho scelto a caso questi elementi d’interrogazione, ma secondo l’ordine con il quale si presentano le liriche: in Brindisi all’amore è infatti, apparentemente, la visione del volto amato che appare e scompare, si china sulla poetessa e poi si dilegua, ma in realtà dell’amore stesso come esperienza soccorritrice dello stato umano si parla, è il suo essere volatile, la sua capacità di lasciare echi, è l’amore nel suo più ampio senso che, invertendo il comune sentire, ha occhi avidi di vita.

Nella seconda lirica troviamo una  figura nota alla tradizione letteraria ma che dalla Bufalini viene usata come elemento doloroso nel suo aspetto tragico e nello stesso tempo meno cruento, il soggetto lirico soggiace quasi a questo dolore che si impossessa di lui, a questa scimmia umbratile che trascina, simbolo di quella corrente mortifera che Freud identificò in un “istinto”, rendendola così “gemella” di ogni uomo.

Ma se il dolore è gemello, ben diversa è l’affinità delle due sorelle ritratte, nella lirica successiva, sullo stesso balcone in una sera di pioggia: il segreto della parentela, che sembra parlare attraverso la pelle e circolare in un mondo madido, lega e nel contempo allontana sideralmente le due donne, fra loro dialoganti e nello stesso tempo ululanti di lunare solitudine, tanto che un abbraccio appare non come possibile stretta affettuosa, ma come una “tentazione”, un margine da non valicare.

Quanto all’insetto, nella lirica esso è presente come lo straniero, colui che ontologicamente non ci è simile, viene dai molti gradi dell’umidità e tuttavia è “del mondo” e come tale fra noi, mescolato alle nostre giornate, figlio della nostra terra. Ma perché un insetto? L’infinitamente piccolo e anche il miserabile è ciò di cui non ci si occupa, o non ci si occupa più e sul quale la poetessa si china, con una lente d’ingrandimento che è forse costituita da una lacrima, o da una goccia di rugiada.

Nell’ultima lirica la domanda si fa palese  e il dialogo è tra il sentire umano e un sentire “naturale”, sempre così presente peraltro in queste poesie, per cui c’è un dicono che è voce degli uomini al quale la poetessa da un lato si affida, ma da un altro lato diffida, e ci sono involucri fra loro diversissimi: le foglie, la pelle di serpente, il cuore nella sua impressionante collocazione, che accolgono e mostrano ciò che tra gli umani solamente “si dice”.

Su quale linea collocare queste cinque poesie? Nella corrente  visionaria, che fa capo a un orfismo molto frequentato dalle voci femminili del ‘900? Da un lato sì, perché l’immagine nella Bufalini c’è ed è simbolica, da un altro lato no, perché l’interrogativo che si esprime è narrato, e quindi non è affidato alla potenza immaginativa, come fosse questa una calamita che sollecita i pensieri e le emozioni.

Marina Corona






“Brindisi all’amore”

Poi ogni volta
ti guardo apparire
e scomparire sulla porta
volare con il vento dietro la finestra
ma sempre con gli occhi avidi di vita
sussurrarmi “tu mi vuoi”.
Le cicale frinivano
mentre ti affacciavi
la prima volta al sole su di me
e ancora non ti ho dimenticato
adesso che mi copre la neve.




Una scimmia sta aggrappata sempre alla maniglia
della porta
ovunque io vada lei si sveglia
mi s’abbraccia alle ginocchia
mi risale i fianchi
e mi circonda il collo.
Le mie giunture, padre
non hanno chiodi
queste misure per lo spazio sconosciuto
apro le braccia per sentire il vento
ma già la scimmia mi tiene fissi gli occhi
e con la piccola mano
mi tira
dentro l’ombra
nell’arco della porta



“Sorelle”

Le nostre stanze
furono presto in ombra
sorella mia dai tanti specchi
la sera ci riportava le luci dei lampioni
la pioggia quieta
consolava a volte la strada vuota
e gli alberi davanti alle finestre

ma dopo il pianto
ognuna a un capo dello spazio
infinito
in noi
la breccia aperta dal silenzio
lasciava entrare odori
bagnati di pineta.

Su quel balcone, allora
se avessi stretto al mio il tuo corpo
fragile e ululante
saremmo forse arrivate sulla luna. 

                           


Ci sono insetti
a volte
posati senza una visibile ragione
su un tavolo
una fiaba
un corpo pensoso,
vengono dai prati
e dai molti gradi dell’umidità

ed è questo
un viaggio
pari a molti viaggi lontani

riscoprire
dei comuni insetti
in mezzo alla rugiada.




Dicono che la morte vada contemplata
nelle foglie
nella pelle di serpente
nel cuore dentro una macelleria.
Dicono così sia
dicono è tutto qui
dicono adesso è pace
dicono com’è amara
dicono anche alla morte ci si prepara. 

Foto 1: Sara Bufalini
Foto 2: ingresso al centro culturale della singolare città Valga / Valka, suddivisa tra Lettonia e Estonia quando i due paesi vennero proclamati repubbliche nel 1920 ( Piera Mattei, 2 maggio 2013).

martedì 4 giugno 2013

Vincenzo Anania, un poeta, un uomo avido di vita e di libertà interiore, un ricordo di Piera Mattei









Vincenzo Anania, Vincenzo. La voce che chiama al telefono per parlare della rivista "pagine" e di poesia, ma anche d'altro,  di tutto: politica, esperienze, viaggi,  Vincenzo che chiede, che ascolta, che domanda pareri, che decide, che incontro regolarmente per dovere d'amicizia e di lavoro, questa persona così presente, così preziosa, nei miei più recenti venticinque anni di vita, non c'è più.
Da tempo era vittima di malattie  che per altri avrebbero potuto essere terribilmente deprimenti, invalidanti. Lui sempre si rialzava, avido di vita e di libertà interiore, e tornavo a sentire quella sua voce così intensa che mi chiamava di nuovo. Così  ero arrivata a pensare che ce l'avrebbe fatta sempre, che fosse dotato di una sorta di dono d'immortalità. Anche questa volta quando il telefono ha squillato mi sono detta "Eccolo che ritorna". E l'ho chiamato "Vincenzo!" . Invece no, si trattava dell'annuncio irreparabile.
Cosa dire. Il mondo della poesia lo piange, perché forse, ce lo auguriamo, ci saranno altri bravi poeti, ma la cosa più difficile sarà trovare,  almeno in Italia, una persona altrettanto attenta alla poesia "in sé", quindi con un interesse così profondamente  autentico, anche per il lavoro degli altri. Poi la "sua " rivista: la rivista  che voleva  di quel formato, anche se esorbitava dalle normali tariffe postali, le foto che dovevano essere anche ironiche, con didascalie spiritose. Di grandissimo successo quella che poco più di un anno fa aveva scelto di collocare sullo spazio del retro, di sé ancora infante.

Non so quanto tempo sarà necessario a superare il vuoto e a riuscire a trattenere solo la forza dei suoi insegnamenti, dei suoi affettuosi imperativi. "Dritta!"m'incitava ogni volta che mi vedeva allontanarmi di spalle, anche se non avevo la sensazione di camminare curva. Quindi certo, dritta! e disposta ad ascoltare la voce degli altri, come lui sapeva fare, come spero di avere, almeno, in parte,  imparato.

Sono contenta che per  il triste annuncio qualcuno abbia pensato di prendere una delle foto, scattate da Antonio Bianconi,  che Lucreziana aveva pubblicato in anni recenti. Lui serio, concentrato, alla presentazione del mio libro "Melanconia animale". Antonio, in quell'occasione realizzò un vero e proprio servizio, con decine e decine di foto. Ne scelgo alcune che riproducono espressioni tipiche, anche sorridenti,  del volto di Vincenzo, in primissimo piano. Dietro ci sono io,  Piera Mattei,  e per terzo l'amico attore Norman Mozzato.

Piera Mattei