Ottobre 2013. Di questi giorni è la notizia della morte di un
uomo –Priebke– passato alla Storia con il nome di “boia delle Fosse Ardeatine”.
I cittadini di Roma, dove è stato estradato dall’Argentina e ha trascorso gli
ultimi anni di una lunghissima vita, non vogliono che nel loro territorio sia
sepolto chi, il 24 marzo 1944, pianificò e realizzò presso una cava sulla via
Ardeatina, alla periferia di Roma, l’eccidio di 335 concittadini.
Mentre il ricordo storico e umano dei pochi sopravvissuti
ancora sanguina, per un caso fortuito ritrovo tra i miei libri un volume letto
a vent’anni: Lettere di condannati a
morte della Resistenza italiana (8 settembre 1943- 25 aprile 1945), a cura di Piero Malvezzi e Giovanni
Pirelli (Einaudi, 1974). Centonovantaquattro lettere di detenuti politici, di
uomini, donne e ragazzi condannati alla fucilazione o all’impiccagione, scritte
ai familiari e agli amici, ai figli, alle mogli, ai padri, a fratelli e
sorelle, alle madri soprattutto. Per chiedere scusa del dolore inevitabile loro
inflitto, ed esortarli a vivere con dignità, in nome degli ideali di libertà e
giustizia per i quali andranno a morire. Sono lettere semplici, talvolta
sgrammaticate, in cui baci e saluti e rassicurazioni s ‘intrecciano ai percorsi
della clandestinità, nella scelta coraggiosa di combattere per liberare
l’Italia dai nazi-fascisti.
Parte di queste lettere sono state fonte d’ispirazione per
una riscrittura in versi nella quale ho voluto mantenere l’originale tono
testamentario e testimoniale (Maria Gabriella Canfarelli)
Una poesia discreta. Versi che appena si sporgono e subito si
ritraggono dalla pagina. Un periodare spezzato. Perché i documenti da cui
nascono sono un estremo battito di vita e non tollerano di diventare pretesto
alla retorica.
Sulla poesia civile ci sono stati, negli anni, infiammati contraddittori, finché quella fiamma quasi del tutto si è spenta. La memoria di cosa significhi
Guerra, di cosa Guerra ha significato anche nelle strade delle nostre città, nelle
nostre case, nei semplici ed essenziali rapporti umani, deve essere tuttavia
conservato. Dobbiamo tuttavia sottolineare che ai Martiri delle Fosse Ardeatine non fu
neppure concesso il tempo di un addio: deciso il loro destino, l’immediata
vendetta, dall’oggi (23 marzo) al domani (24marzo).
Maria Gabriella, con la delicatezza dei suoi versi, dà qui il
suo prezioso contributo a tenere desta la memoria delle lotte e dei grandi
lutti civili (Piera Mattei)
FUORI DAL SILENZIO
FUORI DAL SILENZIO
Achille B. (Gilberto della Valle)
Non
vergognarti di me,
non
abbassare la testa.
Guarda la gente
negli occhi e porta
fieramente il sacrificio di oggi
incollato sul petto.
Dalle vite spezzate,
dai miei vent’anni uccisi,
verrà un domani più nuovo,
più alto e libero il giorno.
Domenico Q. (studente, ai genitori)
Sarà fatta
la volontà di Dio
-per chi ci crede-
sarò di certo andato
altrove
quando toccherà
le vostre mani
la lettera che scrivo.
Catturato ferito,
seviziato per giorni
interminabili, oscuri,
nulla da confessare
nulla di cui pentirmi.
Paola G. (pettinatrice)
Non ho avuto
un processo giusto
o ingiusto che fosse,
e i tuoi giovani anni
come un dolore sfiancano
le forze che ho raccolto
questo giorno
ch’è l’ultimo.
Non ti vedrò crescere,
altri a te penseranno:
perdona la brutale sparizione,
l’ assenza non voluta.
Giuseppe B.( sarto)
Il cielo è scivolato
in fondo all’ombra. Più volte
seviziato, non ho fatto la spia.
Torturato nel corpo,
non nell’anima,
sono pronto. Il tempo dei saluti
è pensiero che batte:
non la paura del fuoco dei fucili
ma l’epitaffio che vorrete
scrivere: resistere è un dovere
non da poco.
Ermete V. (commerciante)
Non datevi pensiero
-non mi rimproverate.
Prima di finire
prima che sia
troppo tardi,
alla famiglia il lascito
della calma che sento
come un abbraccio
tenero, come la neve soffice
cui cedo le ultime impronte,
i passi sempre più brevi,
che si fermano al muro.
Pietro B. (ebanista)
Trascorsi sei giorni
la notte sesta
ho sognato la casa di mio padre,
nella sua voce severi rimproveri.
Ho visto te, Enrichetta, sorridevi
con la bocca precisa di mia madre
e c’era nostra figlia
sulla porta di casa qualcuno
bussava forte,
qualcuno diceva “aprite”.
Echeggia
la voce infantile di Ivana
che nel sogno diceva ”no”.
Ignoto (alla madre)
Dicono sia il destino,
invece è il boia.
L’alba mi spinge
dove saranno i fucili
e non da solo,
in questo luogo prego,
mi sarà di soccorso
il tuo nome in silenzio
pronunciato.
Maria Luisa A. (impiegata)
L’ufficio mi stava stretto
mentre altri morivano.
Staffetta
partigiana, clandestina
sui monti
a portare le armi, vettovaglie.
Mi hanno presa, sbattuta
dentro un carcere
per tanto tempo che
non so contare.
Ora vi prego,
non parlate, non fate
inutili chiacchiere,
ricordatevi Giuda.
Mario L. (operaio)
Ho un filo di speranza
annodato per poco
alla fiducia
di un Dio che non
mi sente. Stamani
la tortura, la sentenza
è domani. E viene sabato,
un prete mi confessa.
Non portatemi fiori.
Le foto:
Per la festa dei morti (1-2 novembre) a Mexico D. F. fiori tanti fiori. Focacce, frutta, semi di varia forma e colore. Nomi, ritratti, colori, amore, protesta. Le foto che qui riportiamo, ritraggono alcuni dei numerosissimi altari ai Morti costruiti dalla popolazione per ricordare, in quella ricorrenza, ciascuno i "suoi morti". Sono state scattate lo scorso novembre 2013 nel lunghissimo viale Alvaro Obregon tutto affollato, nella sezione centrale-pedonale, da questi altari.
Le foto che ho scelto, per accompagnare le poesie di Maria Gabriella, si riferiscono in un caso alla memoria di coloro che sono morti nel tentativo di attraversare la frontiera con gli Stati Uniti, nell'altro all'altare dedicato a giornalisti e fotografi di cose politiche assassinati dai loro nemici. Ancora una volta memoria, amore, impegno per continuare a vivere da umani.
(foto Piera Mattei)
(foto Piera Mattei)