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mercoledì 28 novembre 2012
Orazio Caruso – Comici randagi – Sampognaro e pupi edizioni 2012
di Piera Mattei
Quanto del personaggio di Spartacus, quanto di quello di Don Giovanni, sono diventate parti integranti della personalità di Orazio Caruso scrittore?
Quanto il teatro (che organizza nelle scuole e per le scuole) è diventato un modo essenziale di rappresentarsi la vita, le sue complicazioni, e quell'elemento insopprimibile che è la sorpresa, il divertimento, il mettersi "in scena"?
Il divertimento sembra l'atteggiamento fondamentale di questa scrittura e riesce a comunicarsi al lettore, che non incontra – è diventato evento raro!– banalità o deviazioni volgari nel suo rapido percorso di lettura. Eugenio, coprotagonista col fratello Alfio, che è infatti l'altra metà del geode d'ametista, è certo un Dongiovanni perché è interessato a tutte le donne che capitano sotto il suo sguardo, ma non è il Dongiovanni di Da Ponte – Mozart perché gli basta fantasticare sulla loro immagine, prendere lo spunto da un dettaglio per inventare una storia, non macchina inganni e seduzioni per possederle e abbandonarle. In fondo Eugenio è essenzialmente un creatore di storie, di personaggi. Ma quando torna a fare il regista, pirandellianamente, le sue creature, le sue invenzioni che ha allenato con severa disciplina, una volta collocate sulla scena rivendicano la loro indipendenza, sfuggono a qualsiasi predeterminata intenzione direttoriale.
La caratteristica principale di questa scrittura è la leggerezza, la grazia, come a ricordare che il Don Giovanni di Mozart non è una tragedia ma un dramma giocoso. Sul finale il riferimento alla violenza mafiosa che si oppone a ogni difesa della splendida natura dell'isola in nome del profitto, vede infine il trionfo dei buoni e tutti si salvano.
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