Homero Aridjis – Diario dei sogni – Traduzione di Emilio Coco – Giuliano Ladolfi editore, 2013
L'uomo è l'animale più crudele
di Piera Mattei
Senza l'attività di traduttore dallo spagnolo di Emilio Coco, il lettore italiano avrebbe certamente una conoscenza più limitata della poesia che si produce oggi nell'ambito di quell'immensa cultura linguistica. Infatti Diario di sogni è uscito in Messico soltanto nel 2011 e già, molto tempestivamente, nel gennaio di quest'anno ne è pronta la traduzione italiana, con un'ampia introduzione dello stesso Emilio Coco.
L'autore del libro, Homero Aridjis, è una personalità culturalmente complessa e interessantissima: romanziere, saggista, autore di testi teatrali e di libri per l'infanzia, nonché ambasciatore negli Stati Uniti e in diversi stati dell'Europa. È inoltre molto noto e attivo nell'ambito della politica ambientalista. Ha infatti ricevuto premi internazionali per questa sua militanza, ma soprattutto è riconosciuto e si riconosce come poeta.
Questo libro, che comprende poesie scritte dal 1986 a oggi, è dedicato alla moglie Betty Ferber, traduttrice e ambientalista statunitense e alle figlie Chloe e Eva Sofia, anche loro intellettuali e artiste di notevole spicco: la prima, premiata a Londra per il suo romanzo d'esordio, in lingua inglese, la seconda molto nota in Messico, a New York dove risiede, e anche in Europa, come regista per pellicole d'impegno sociale e di realismo fantastico.
Il riferimento alle figlie e alla moglie è necessario non solo per rendere l'idea di un ambiente colto e cosmopolita di cui Homero è il capostipite, ma anche perché il libro può essere letto come un continuo dialogo con loro, una riflessione sui ricordi e le radici, un diario dei sogni alle figlie lontane, o talvolta anche un racconto del sogno alla moglie, appena al risveglio. In contrasto con l'idea di un cerchio familiare che quasi si nutre e si sostiene in modo autosufficiente, in una dialettica fitta di stimoli e rimandi, la data e il luogo dove la poesia è nata, scritti a fondo pagina, sono il documento di un continuo viaggiare. Ci sentiremmo di concludere che, variando il mondo intorno, l'unico vero bagaglio sia lì, non solo nella famiglia, ma nell'intima riflessione e nel ricordo, in quel proiettore di sogni / più antico e fantastico del mondo: la testa, come il poeta scrive in una poesia dedicata alla figlia Chloe.
Per Homero Aridjis tuttavia l'incrocio di culture è già nel suo proprio DNA. Quel nome greco, che più greco non si potrebbe, gli viene da un padre, esule da Smirne in un villaggio del Messico, dove aveva aperto un negozio di biancheria, mentre la madre, messicana, è il seme del profondo, anche se oppositivo, radicamento nella mitologia azteca. La forza degli antichi miti, dall'uno e dall'altro continente si fanno humus dove far crescere rigogliosa la poesia, ma non la speranza se è vero che, citando titoli di poesie: la violenza cominciò con gli dei e siamo figli di dèi crudeli. Dell'una e dell'altra tradizione vengono riprese le favole più cruente, i miti che non conoscono la pietà e l'amore. Apollo e le altre divinità della bellezza non ci sono più, sono rimasti re Mida e la Mamma Coatlicue, madre che detesta tutti i suoi figli tranne il vendicatore e sanguinario Huitzilopochtli:
Il lago sacro dove Apollo vide la luce / più non esiste, / la bocca che proferì l'oracolo a Delfi / più non esiste, / il mercato di schiavi di Delo / più non esiste, / la ninfa che guardava le greggi / più non esiste,
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Nella città non c'era acqua, / ma Mida nella sua piscina olimpica nuotava / come se tutta l'acqua della città fosse sua. / Aveva contato i guadagni del giorno,/ e era felice perché pensava che la gente / fosse felice perché egli aveva accumulato un altro milione / e perché con i suoi affari aveva creato più poveri / e adesso poteva aiutare i poveri.
*
Questa sfinge dei colli messicani, / è la madre di tutte le frustrazioni, / partorì l'uomo solo per cavargli il cuore / e appenderlo alla sua collana di mani infilzate [...] È lei che uccide alle spalle l'amico / e fa cadere la ragazza che sfugge allo stupro. / Confondendosi col buio punta col dito / scarnito l'uomo che deve morire. / È lei che affila i coltelli del macellaio / e maneggia le pistole e le mitragliette / di criminali, soldati e poliziotti.
A proposito della madre crudele, come non collegare a quel mito il culto della Santa Morte, religione che si va espandendo in Messico soprattutto tra i marginali, e venera immagini femminili di lugubri scheletri, sontuosamente vestiti, e le prega di concedere una morte subitanea. Homero Aridjis ha scritto un racconto che ha, come personaggi, fedeli di questo culto, mentre il documentario che di questa devozione mostra le immagini, che ha fatto il giro del mondo ed è stato premiato al festival del cinema di Trieste, porta la firma di sua figlia Eva Sofia Aridjis.
Nell'ultima tra le citazioni che precedono, tratta da una delle due poesie che hanno come titolo Mamma Coatlicue, i coltelli affilati che squartano miti animali domestici sono posti su un piano di crudeltà paragonabile a quello di pistole e mitragliette spianate contro gli uomini. Perché infatti l'animale è nostro simile, è fratello, come il cavallo dell'omonima poesia:
Collo lungo / sotto il quale correvano strade // Occhi grandi / che divoravano soli // Zampe veloci / che raddoppiavano ombre // Cavallo fratello appeso a un gancio / nella macelleria dell'uomo
L'uomo è l'animale più crudele, anche con chi lo ama incondizionatamente, sembra banale dirlo. Ma non è certo detto banalmente, anzi è espresso con identificazione profonda nell'animale, nella poesia dedicata a la Cagna abbandonata su un'isola, che non riesce a capire l'amicizia tradita.
Un tema o un sogno sono più volte riproposti in successione, in poesie dallo stesso titolo. Poesie riconosciute d'identico tema, talvolta con variazioni che non ne mutano la sostanza, hanno a protagonisti non solo i Mida o i feroci dèi aztechi, ma anche un padre che, tornato in sogno, l'ultimo giorno dell'anno entra con lui in una chiesa gelida. Altra volta uno stesso titolo compare prima nella forma di poesia e, a distanza di pagine, in forma di prosa, con date, documentazioni, racconti relativi all'evento che la poesia canta, in qualche modo prendendo su quella il sopravvento. È il caso di I fichi bianchi di Smirne, i frutti che hanno portato nell'orto del padre il profumo di quella terra, dove, dopo la partenza in età molto giovane, non è mai più tornato.
Lo stile di Homero Aridjis, come si evidenzia nelle citazioni, è semplice, la forma della scrittura è quella stessa del pensiero, senza complesse mediazioni letterarie. Ma il pensiero sottinteso da questa poesia è forte. Coerente appare anche la forma del diario, per quanto dilatato ed esteso per oltre vent'anni. Contribuiscono a rendere quella forma non solo l'indicazione frequente del "dove e quando", come abbiano notato, ma persino alcune brevissime composizioni che hanno l'aria di veri e propri appunti, ancora in attesa di essere riconosciuti e illuminati. "Diario dei sogni" contiene molta poesia: versi che rimangono incisi nella memoria, segno evidente che Aridjis – hanno saputo agitarvi immagini originali e potenti fantasmi.
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Miro, il cane nella foto non è un cane abbandonato, ma è orfano dalla nascita, per questo ha spesso uno sguardo molto triste
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