martedì 16 luglio 2013

Corrispondenze dalla Cina di Claudio Marcelli – La migrazione interna e l’hukou, un antico certificato che provoca l’illegalità





Parlare di Cina oggi non è più un problema. Sono tanti quelli che raccontano della loro esperienza in Cina, tante le cose che colpiscono uno straniero che arriva in questo paese, ma capire dove sta andando la Cina e immaginare cosa succederà domani non è assolutamente facile. Stiamo quindi all’oggi: sarà forse utile cercare d’interpretare i fatti che coinvolgono milioni di persone quotidianamente.

Per chi vive in Europa, ad esempio, la rete dei trasporti in Cina è un sistema che lo conduce in un mondo di diverse dimensioni. Si arriva a Pechino all’aeroporto internazionale e non ci vuole molto a capire che è tutto “fuori scala”. Tre terminali di dimensioni gigantesche, più di 17 milioni di viaggiatori l’anno, quasi mezzo milione di persone che “frequentano” lo scalo ogni giorno, numeri che impongono una riflessione sulle dinamiche quotidiane e sulla crescita di questo paese nell’ultimo decennio.

La crescita è un’esperienza che qui si sperimenta quotidianamente. Nei giorni scorsi un amico francese atterrando nel nuovo aeroporto di Hefei, la capitale della provincia di Anhui, una delle più grandi del paese, cercando sul suo telefono la direzione per raggiungere la città, scopriva con stupore che Google map non era a conoscenza dell’esistenza dell’aeroporto e dell’ autostrada di collegamento al centro urbano. Non trascurabili problemi connessi a una crescita alla quale non si riesce a star dietro…

Durante lo spring festival – il capodanno cinese – questo paese si ferma per quasi tre settimane. Tutti i mezzi possibili, auto, treno, bus e ovviamente oggi anche l’areo, vengono utilizzati  fino all’esaurimento posti per tornare a casa a festeggiare la fine dell’anno vecchio e l’inizio di quello nuovo con le proprie famiglie. Una tradizione antica che implica una migrazione di dimensioni oggi ancora più straordinarie perché la popolazione urbana ha ormai superato quella che vive nelle campagne. Spostamenti che sono spesso di migliaia di chilometri, percorsi principalmente con il treno, viaggi che durano 2-3 giorni. Molti studenti iniziano a prenotare il treno un mese prima e, grazie a internet, oggi riescono a evitare le interminabili file alle stazioni che in passato duravano anche decine di ore prima si potesse raggiungere uno sportello dove acquistare il biglietto.
Sebbene anno dopo anno i cambiamenti in atto, le abitudini della nuova classe emergente e la ridistribuzione della popolazione nell’ambito dei centri urbani stia sicuramente intaccando questa tradizione, nel 2013 il numero dei viaggiatori durante il capodanno cinese ha superato i 200 milioni.

C’è però un’altra migrazione in Cina che coinvolge ogni anno più di 250 milioni di emigranti interni, che si spostano da una regione all’altra, dalla campagna alla città.
Nell’ultimo decennio lo spostamento dalle campagne alle grandi aree urbane è stato continuo non solo per la crescita delle opportunità di lavoro nelle città, ma anche per i minimi guadagni offerti dal lavoro nelle campagne. In pratica, in molte aree rurali è ormai impossibile immaginare di sostenere una famiglia. Il desiderio di una vita migliore associata a una naturale crescita del sistema sociale e delle condizioni di vita, ha determinato e continua ad alimentare la migrazione verso le grandi e medie aree urbane del paese. Oggi sicuramente più del 50% dei cinesi vive nelle città, per lo più in lontane periferie e in condizioni spesso “precarie”, nella speranza di poter cambiare il proprio destino. Questo è, infatti, il vero motore della società cinese. Un’ambigua consapevolezza di “povertà”, ma anche di straordinarie opportunità che un sistema economico, che cresce ancora con numeri impressionanti, può offrire. Nel 2013, la Cina ha laureato quasi nove milioni di studenti. Tutti sono sicuramente consapevoli delle difficoltà sempre maggiori di trovare un lavoro e, soprattutto un lavoro ben retribuito, ma tutti sono anche molto motivati a cercarlo.

È in questo contesto che andrebbe capito il perché dell’Hukou, un documento personale introdotto da Mao cinquanta anni fa che i cinesi chiamano huji. In Cina questo documento ha origini molto più antiche e comunque si ritrova anche in altri paesi asiatici. Si tratta di un passaporto che identifica ufficialmente una persona come un residente di un territorio e ne riporta tutte le informazioni: il nome, i genitori, il coniuge e la data di nascita. L’Hukou rappresenta la storia di una famiglia e di tutti i suoi membri, ma oggi costituisce anche uno dei problemi maggiori del sistema sociale di questo paese. Milioni di cinesi, solo a Pechino probabilmente sono venti milioni, vivono nelle aree urbane senza essere registrati nel territorio dove realmente risiedono: sono, di fatto, degli illegali. In pratica, non possono avere assistenza sanitaria e i loro figli non possono iscriversi alle scuole pubbliche.
Un problema che richiederebbe soluzioni, almeno a livello locale. In alcuni casi già avviene, anche grazie ad associazioni umanitarie che si organizzano per permettere alle migliaia di figli di questi immigranti, di fatto clandestini nel loro paese, di accedere alle scuole pubbliche. Ovviamente prima o poi anche questo avverrà in Cina, ma questi sono cambiamenti difficili e sicuramente molto più lenti della crescita non solo economica a cui assistiamo in questo immenso paese.

Nella foto:
Passeggeri all’imbarco al Terminale 3 dell’aeroporto di Pechino durante una delle forti nevicate di questo inverno. Nemmeno la neve può dissuadere dal ritorno a casa durante lo spring fest. 

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