Silvio Perrella – Io ho paura – Neri Pozza 2018
di Piera Mattei
Un libro che racconta se stesso, dalla formulazione della
sua ipotesi d'esistenza, alla sua completa realizzazione. Un po' come avviene
per una forma vivente, una creatura animale, un ovulo fecondato che piano piano
cresce, in un processo continuo. Come per un ovulo fecondato qui c'è un tempo
fissato entro il quale sarà completo e verrà alla luce.
Fuor di metafora in questo libro Silvio Perrella racconta di
aver parlato con il suo editore sul tema della paura, e di aver con lui
concordato di scrivere un libro che sia tutta una variazione su quel tema. Il
tempo che l'autore si dà è un mese dell'estate. Il luogo dove lavorerà al
progetto è la località appartata di mare che chiama Qui, che è stata il nido
d'amore dei suoi genitori e adesso è il suo prediletto luogo di vacanza. Uno
straordinario luogo d'incubazione.
Il ritmo delle sue riflessioni è soprattutto scandito dai
movimenti sincronizzati del nuoto con il quale ogni giorno, ritualmente,
raggiunge uno scoglio che sembra ritagliato nel profilo di una divinità azteca,
fa lì una pausa breve, e ritorna indietro. All'andata nuota a stile libero, al
rientro a dorso. Il ritmo dell'esercizio solitario facilita il movimento del
pensiero intorno a quel tema che è, che deve essere per portare a termine il
progetto nel tempo stabilito, l'ossessione di quel mese assolato.
Pagine molto belle sono dedicate ai gesti del movimento e
del galleggiamento, e alle paure che non sono estranee al pensiero neppure
nell'atto di quell'esercizio volontario, che certo provoca un piacere fisico.
Ogni rischio è presente, soprattutto nel percorso a dorso, quando occorre
affidarsi alla memoria, alla benevolenza delle onde, alla fiducia che non siano
presenti ostacoli. In un giorno di burrasca poi succede che il rientro sia
particolarmente difficile, pauroso davvero, se la cronaca registra la mattina
successiva, tristemente, tre morti in mare.
In quel mese, in quel luogo concluso, i fantasmi della paura
sono convocati a diventare, tutti insieme, personaggi del libro a tema. Ci sono
i ricordi dell'adolescenza, come la fuga, inseguito da cani randagi, con
Luciotto che inutilmente cerca di calmare la sua corsa. Conosciamo così Antonio, l'amico fotografo e
Lorenzo che, a sue spese, ha imparato che doveva buttare via, una volta e per
sempre, il fucile del safari africano. Incontriamo un pescatore dal viso
segnato e sapiente, e più spesso c'imbattiamo in Nina la pazza, che si aggira
sempre con un oggetto inutile tra le mani, e che anche se incontra il tuo
sguardo, forse neppure ti vede.
Gli altri personaggi sono fantasmi di cui non avere paura, i
fratellini Hansel e Gretel, e Bella, donna solitaria della quale il luogo
conserva memoria, morta annegata, forse non per disgrazia. Altri personaggi
vengono incontro da pagine di libri, come dalla poesia di Kavafis sull'arrivo
(non-arrivo) dei barbari, che è motivo di una lunga riflessione sul bisogno
degli organi di potere di avere un nemico, sulla delusione che il potere prova
quando scopre che quel nemico di cui tanto aveva concionato, all'arrivo del
quale si era preparato, non arriverà. Con ogni evidenza la metafora poetica
afferma che il potere non riesce a tenersi in piedi se non sostenendosi sulla
paura.
Ma oltre al tema prescelto un'altra passione traspare in
queste pagine, l'amore per quel luogo, per Qui, per i suoi colori e sapori,
come l'acquasale, una sorta di panzanella realizzata facendo ammollare il pane
raffermo nell'acqua di mare, per poi condirlo con olio e pomodoro, i fichi,
quelli chiari e quelli neri, e i pomodori dell'orto. Sapori essenziali come la
compagnia umana, di poche parole, ma non scontrosa, di quei luoghi.
Quel luogo semplice ed essenziale, che è Qui, un po'sembra
somigliare all'indole insieme luminosa e riservata di Silvio Perrella. Ancora una volta le letture e i personaggi
della cultura– quelli profondamente assimilati, quelli dei libri portati con sé
nel mese di vita a contatto con il mare – si affacciano al suo discorso
serenamente, senza pose narcisistiche, come rielaborati e fatti propri
dall'autore in conformità alla sua indole.
E, come messaggio, in tutto il libro circola l'opposizione e
il fastidio per il tipo di paura che non è la risposta organica a una
situazione d'intuito pericolo, il fastidio per quella condizione che Silvio
Perrella chiama la paura preventiva, quell'allarme costante che va alimentato
perché il mondo tutto viva nella paura, perché gli uomini vivano nella paura
gli uni degli altri: "Abbi paura, sempre, anche se non sai perché devi
averla". Un messaggio che più
attuale non potrebbe essere in questi mesi in cui la notizia di prima pagina è
sempre quella che riguarda un virus verso il quale non avremmo difese.
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