martedì 29 marzo 2022

Sistematica ibridazione tra reale e immaginario – Note di lettura a ‘La strada fantasma’ di Aleksandr Snegirëv di Isabella Capurso

  



Come ogni testo dotato di originalità e intelligenza, ‘La strada fantasma’ si presta a più letture.

Una lettura affezionata alle categorizzazioni potrebbe forse classificare il romanzo come un prodotto di meta-narrazione: un protagonista-autore fuori e dentro la finzione narrativa, una dimensione spazio-temporale prestata al meccanismo di una trama ricursiva e, letteralmente, impossibile (senza tuttavia sfociare nel magico), uno svolgimento appena consistente, piuttosto conseguito tramite episodi allacciati precariamente e il fil rouge di personaggi che, da figure interne alla narrazione, si fanno via via marionette, interlocutori, critici. Ora funzionali alla narrazione, ora voci controverse dotate di un’autonomia che, se pur fittizia, interroga il lettore circa il confine tra fantasia e realtà, tra autore-creatore e oggetti narrati. Nello svolgersi della storia, non vi è una gerarchia stretta tra gli eventi: questi si accumulano in maniera orizzontale uno accanto all’altro. Una regia che libera l’attribuzione di senso, dunque.

In linea con una tendenza trasversale a tutti i costrutti culturali contemporanei, il prodotto narrativo di Snegirëv chiama a una certa destrutturazione stilistica: l’incedere è liberato dai più tipici vincoli romanzeschi ed il patto tra autore anagrafico, scrittura autobiografica e intenti letterari conduce il lettore in uno spazio, appunto, meta-narrativo. Di lì, si può ricavare una seconda lettura, ovvero il portato filosofico che un’architettura di questo genere implica. Realtà e fantasia non solo si confondono, ma si contaminano al punto da mettere in dubbio il senso stesso del loro antagonismo. 

Cosa mi fa credere che io sono io, e il demone non è me? Può darsi che io sia lui, e lui sia me. Può anche darsi che non ci sia nessun me, ed esista soltanto lui?

Il demone di Snegirëv inevitabilmente ci riporta all’idea del ‘daimon’ ispiratore, insieme tiranno di ogni autore e tramite di divinità. In quest’ottica, lo scrittore offre una riflessione filosofica sulla produzione artistica ma, forse, più estesamente, sul rapporto tra realtà immaginata e realtà agita, sul confine tra noi e gli altri, sul rimescolamento, letteralmente, sensuale dei tempi passato, presente e futuro.

Ancora, il romanzo può essere letto attraverso i suoi elementi ricorrenti. I rifiuti, in prima battuta. Questi si stagliano all’orizzonte fin dalle prime pagine e, periodicamente, si ripresentano. L’immondizia di cui ci parla Snegirëv è un’immondizia antica, stratificata, inesorabile. Come è inesorabile l’umana pervicacia nel tentativo (fallace) di sbarazzarsene. I rifiuti sono sotterrati, dissotterrati, abbandonati, trascinati, barattati, inceneriti. Alla stessa stregua, oggetti vintage e apparentemente privi di senso narrativo compaiono e scompaiono dalla scena a interrogare sia il protagonista che il lettore: il boa dell’orfana, la zampa di cavallo impagliato, il vestito del nonno. Indizi del passato o di qualche dimensione altra ritornano, a torto o a ragione, nello svolgersi degli eventi. Un fatto, quello del risorgere, che magistralmente è fatto attribuire anche a uno dei personaggi. Il passato non è più passato. 

Così come il tempo, anche lo spazio di Snegirëv è soggetto a sollecitazioni ultraterrene. Lo spazio siderale è, sì, misterioso, ma anche costellato di biglietti obliterati. Ancora, si assiste ad una contaminazione di posizioni. Non v’è niente che non si possa immaginare  e anche ogni immaginazione subirà la sua dose di realtà. 

Ulteriori elementi ricorrenti a supporto di una visione ‘liberata’ (o destrutturata) del racconto, sono le rappresentazioni della strada. La strada è insieme la fu gloriosa via che ha visto la sfilata delle truppe napoleoniche e, ora, un lembo di terra dietro la casa, stratificato di rifiuti. La strada ospita personaggi ora reali, ora fantasmi. La strada è perduta per i sentieri del bosco dietro casa dove, nonostante la familiarità, ci si perde vergognosamente.

Il dispositivo ironico accompagna la narrazione e, dove c’è parossismo, c’è realtà, c’è politica. È, infatti, politica, l’ultima (temporanea) lettura che si potrebbe fare del romanzo. Forse (e qui consistono i limiti della scrivente che di storia russa sa poco, se non per il tramite dei tristi avvenimenti attuali) l’azione politica di Snegirëv non consiste in una critica più o meno palese che, pure, compare qua e là nel testo (le mostrine di un fasto passato vanamente ribadito, la povertà diffusa, i GULAG degli assassini poveri ma onesti, i riferimenti all’Ucraina e ai profughi), quanto piuttosto nel suo stile. Sciolto, irriverente, a tratti cinico, eppure, in tutto ciò, estremamente serio. 

In certe letterature, come quella ispanoamericana o lusitana, l’elemento magico e ironico entrano nel romanzo quando vi è una impossibilità storica di raccontare il reale tramite un dispositivo di verosimiglianza. Forse, ma è solo un’ipotesi, il senso di sistematica ibridazione tra reale e immaginario si mescolano, in Snegirëv, anche come forma di deriva dalla realtà storica? I personaggi narrati appaiono inerti, in un certo senso a-politici e, in ciò, esprimono bene un andamento culturale contemporaneo volto alla chiusura individualista (paradossalmente fondata sui Social). La rappresentazione di questa diffusa pallidità ideologica non è anch’essa densamente politica?

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