Da subito, a ben ascoltare, col ritmo giambico del treno in corsa, si sente un'ansia che vola via coi vagoni, sui binari. Il treno in Vicevita –Treni e viaggi in treno di Valerio Magrelli non è associato a un'idea di evasione, ma piuttosto di sgomento per via del corpo, della vita, volontariamente e insieme forzosamente affidati a un proiettile, con l'incertezza di essere saliti sulla vettura giusta, nella giusta direzione.
Siamo a pagina otto del libro e l'incubo è al suo inizio. L'incubo appunto della direzione sbagliata, della stazione superata, delle deviazioni, dei ritardi, degli abbandoni sui binari. Si potrebbe anche sorridere, anche fare una bella risata di sollievo, per queste come per molte altre disavventure di viaggio, giochi di ragazzini che non sanno di essere crudeli, trasferte faticose della famiglia in vacanza, tragedie alla Fantozzi come la visionaria apertura in corsa, contemporaneamente, di tutte le porte, mentre col capotreno si armeggia al quadro comandi, nel tentativo, andato così a vuoto, di liberarsi del fastidioso sottofondo musicale.
Quindi professioni sconsolate e tragiche, ma pur sempre catalogabili, con drastica cancellazione della tragicità assoluta: i "muti" che alle fermate salgono e lasciano senza molte speranze un giocattolino che poco dopo, impassibili, passano a ritirare, e, sempre troppo frequenti, i suicidi, rispetto ai quali il passeggero ha spesso reazioni ciniche o addirittura furiose.
Ma è soprattutto il ricordo di un trenino al parco giochi – il padre muto ma terrorizzato dai freni che non rispondono – che mette sull'avviso. La vita sul treno è per l'autore la metafora dell'attimo in cui la normalità, o addirittura il divertimento, potrebbero trapassare (non trapassano ancora tuttavia) nell'esatto contrario. E' in agguato l'imprevisto, un incidente che, in senso letterale, metta lo scompartimento, la vita, sottosopra. Ma anche solo una torva minaccia: un sasso che scagliato contro il treno in corsa, colpisce il finestrino dello scompartimento accanto.
Rischi a cui si è scampati per un pelo. Il treno non è, così come Magrelli ne vive l'esperienza, una forma di accelerazione del rischio di vivere, in mezzi di trasporto che ci lanciano rapidi, sempre di più, sempre di più, dall'invenzione della ruota a oggi? Vivere è, in sé, il rischio a cui il viaggio non fa che imprimere con la maggiore velocità, una probabilità maggiore di urti, dislocazioni indesiderate, disastri.
Occorre non pensarci: io in treno leggo, e leggo per narcotizzarmi, narcotizzando il viaggio: lettura come antidoto. Occorre non pensare alle associazioni più facili. Il mondo ferroviario rimanda per Magrelli l'immagine dei treni blindati di cui la storia e i testimoni ci danno notizia: noi tutti potremmo sentirci come bestie potenziali di un potenziale luogo di sterminio. La stesso rivolgere gli occhi fuori dagli scompartimenti, fuori dal proprio tavolo, dal corridoio e dalla fila di poltrone, potrebbe essere pericoloso, sia che l'occhio guardi il panorama in corsa, col rischio che le pupille si sfilaccino, sia che resti a fissare l'immagine del proprio volto riflessa sul vetro, che, dall'inizio alla fine del viaggio, varia e si modifica rivelando forse le differenti anime di cui nulla si vorrebbe sapere.
Talvolta compaiono personaggi inaspettati, estranei ed esterni al treno, come i topi della stazione di Londra, bestie che attraversano liberamente i binari, sulle quali la fantasia si scatena, creature che forse stanno iniziando una mutazione genetica verso l'umano, se sono già capaci dei loro grafiti. Protagonista altrove è lo stesso treno nel suo mutarsi e invecchiare, con l'eliminazione degli scompartimenti – già luoghi di furiose antipatie o di socializzazione – delle carrozze ristorante.
Qui, per giustificare la mia lettura di questo libro, sento il bisogno di rievocare l'immagine che per me si associa al treno fin dall'infanzia, quasi un'illustrazione visiva del concetto treno. E' il ricordo della sequenza di un film che forse a quell'età non avrei dovuto vedere: un'Anna Karenina, credo nella seconda interpretazione in quel ruolo di Greta Garbo. Nel buio il primo piano delle ruote roventi che esalano vapore, la figura tragica del controllore dei freni, il rumore, come di una funerea campana, di quel battere di un ferro sulle ruote. Di quel film non mi è rimasto nient'altro, né ho mai avuto voglia di confrontare la corrispondenza della pellicola al mio ricordo. Forse a causa di questa mia indelebile impressione, di questa tragica infantile illustrazione della parola treno, dal libro di Magrelli, scritto in quella sua lingua essenziale, nel suo tono sommesso e autoironico, mi giunge soprattutto un' eco che mi dà un brivido, mentre la sento risuonare nitida e metallica.
Valerio Magrelli – La Vicevita – Treni e viaggi in treno – Editori Laterza 2009
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