sabato 9 febbraio 2013

da Pechino 3 – PIL e felicità, di Claudio Marcelli









Quest’anno il Prodotto Interno Lordo della Cina crescerà molto meno dell’8 %, un valore sensibilmente più basso rispetto a qualche anno fa quando questo paese cresceva ben oltre il 10%.  Questo valore rimane comunque enorme se confrontato con quello di molti stati Europei che non crescono per nulla e se si eccettua la Germania il cui PIL è comunque in diminuzione, ma soprattutto se si tiene conto che la Cina è ormai la seconda economia del mondo.
Negli ultimi tempi, soprattutto ora che in molti paesi occidentali si comincia a capire che il mito della crescita senza limiti non è possibile, ci si domanda cosa significhi realmente il PIL, se esiste una reale correlazione tra PIL e benessere o, magari, come misurare lo stato reale di benessere di un paese. In Europa, la Grecia sta vivendo momenti drammatici e, camminando per le strade di Atene come mi è capitato qualche mese fa, si percepisce chiaramente la crisi economica e umana di questo Paese. Guardando i volti delle persone non mi è mai capitato di vedere qualcuno sorridere, tanti negozi sono chiusi, altri praticamente vuoti, la gente è triste e spesso appare disperata. Non c’è veramente alcun bisogno di leggere statistiche per capire il dramma che stanno vivendo i greci afflitti come sono dal virus della “tristezza”. Basta camminare per le strade di Atene per esserne contagiati.
Camminare oggi per le strade di Pechino, di Shanghai, di Hefei e di tante altre località della Cina offre immagini diverse. La gente ride, si incontra riempie qualsiasi tipo di locale, canta. Il karaoke anche qui è ormai un must. Si percepisce un’atmosfera diversa. Visitare il 798, il quartiere artistico di Pechino trasmette immagini e sensazioni di una società giovane che cammina, direi quasi “corre” verso il futuro.  Potrei dire senza enfasi che camminando per le strade cinesi oggi è normale incontrare persone felici. Ma sono veramente felici e che significa essere felici in una società in crescita come quella cinese?
Se penso a quello che ci propinano i media quotidianamente, soprattutto attraverso la televisione, la felicità è certamente possedere qualcosa che si desidera, soprattutto beni di consumo e di lusso. Se pensiamo a questo, oggi i Cinesi sono certamente tra gli uomini e le donne più “felici”. Il loro mercato cresce ogni giorno di più in un parossistico carosello che arricchisce tanti cinesi e molti occidentali e, allo stesso tempo, muove la loro economia. Ma la felicità è sicuramente anche quello che non si possiede e si cerca o si aspira in maniera sicuramente più etica. Anche in questo i cinesi sono ricchi e si vede e si sente parlando con i giovani, scoprendo i loro sogni e le loro aspirazioni: non solo status symbol, ma valori come cultura, famiglia e stabilità sociale, un viaggio alla ricerca della felicità che i loro genitori e i loro nonni non hanno mai avuto e che molti cinesi hanno oggi la possibilità forse di raggiungere.
La felicità è un valore sociale da riaffermare proprio adesso che quasi tutti i sistemi occidentali mostrano debolezze sistemiche e tagliano spesso diritti sociali conquistati in molti decenni e affermati nella Costituzioni di quasi tutti gli stati democratici. La felicità è addirittura, come tutti sanno, un obiettivo dichiarato nella Costituzione americana.
Ma allora se la felicità è veramente un principio riconosciuto come si può misurare quella di un popolo o di una nazione? Qualche anno fa uno statistico italiano: Corrado Gini ha introdotto un coefficiente numerico compreso tra zero e uno, in grado di misurare la diseguaglianza di una distribuzione come il reddito o la ricchezza. Più il valore del coefficiente di Gini è basso, più la distribuzione che si considera si può considerare omogenea. Lo zero corrisponde a una pura equidistribuzione, ad esempio una nazione ideale in cui tutti percepiscano lo stesso reddito, mentre se questo valore cresce la distribuzione diventa sempre più disomogenea.
Certamente una nazione dove esistono grandi diseguaglianze, e la Cina ha al suo interno enormi disparità sociali ed economiche, non può essere considerata o proposta a modello della felicità. Tuttavia, per la prima volta, quest’anno la Cina ha pubblicato il coefficiente di Gini della sua distribuzione del reddito (0.474 nel 2012 contro 0.491 nel 2008) e quello dei dieci anni precedenti. In questo momento non credo sia veramente importante capire se questo valore sia “esatto” (altre stime anche interne alla Cina lo danno molto vicino a 0.6) o circa grande come quello degli Stati Uniti o di altri paesi. Per una nazione come la Cina in cui Deng Xiaoping aveva dichiarato molte volte che “alcune persone potevano essere autorizzate a diventare ricche prima di altre” è un importante passo in avanti che non solo riconosce e misura la disuguaglianza, ma implicitamente pone tra gli obiettivi del paese anche quella di ridurla. È l’indicazione che in questo paese ancora in grande (forse troppo grande) crescita è importante governare lo sviluppo. Una crescita senza controllo è, infatti, pericolosa non solo per l’ambiente, ma soprattutto per il futuro benessere sociale.  Migliorare e mantenere un sistema sociale equo è una condizione essenziale per costruire il progresso di un popolo e di una nazione. Questo non è solo il grande problema della Cina, ma anche delle nazioni occidentali i cui economisti e banchieri propongono ormai solo tagli ai salari, alle pensioni e ai diritti sociali fondamentali come scuola, educazione e sanità. Con queste scelte non andremo sicuramente lontano e il virus della “tristezza” greca si estenderà presto a molti altri paesi. Per continuare a costruire il futuro i paesi occidentali, e il nostro non rappresenta un’eccezione, non hanno bisogno solo di sapere che il PIL sarà maggiore di zero, ma anche di poter ancora sperare di essere felici.

Foto: Immagine di una delle miriadi d’installazioni al quartiere 798 di Pechino (http://www.798space.com).

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