Quest’anno il Prodotto Interno Lordo della Cina crescerà molto
meno dell’8 %, un valore sensibilmente più basso rispetto a qualche anno fa
quando questo paese cresceva ben oltre il 10%. Questo valore rimane comunque enorme se confrontato con
quello di molti stati Europei che non crescono per nulla e se si eccettua la
Germania il cui PIL è comunque in diminuzione, ma soprattutto se si tiene conto
che la Cina è ormai la seconda economia del mondo.
Negli ultimi tempi, soprattutto ora che in molti paesi
occidentali si comincia a capire che il mito della crescita senza limiti non è
possibile, ci si domanda cosa significhi realmente il PIL, se esiste una reale
correlazione tra PIL e benessere o, magari, come misurare lo stato reale di benessere
di un paese. In Europa, la Grecia sta vivendo momenti drammatici e, camminando
per le strade di Atene come mi è capitato qualche mese fa, si percepisce
chiaramente la crisi economica e umana di questo Paese. Guardando i volti delle
persone non mi è mai capitato di vedere qualcuno sorridere, tanti negozi sono chiusi,
altri praticamente vuoti, la gente è triste e spesso appare disperata. Non c’è veramente
alcun bisogno di leggere statistiche per capire il dramma che stanno vivendo i
greci afflitti come sono dal virus della “tristezza”. Basta camminare per le
strade di Atene per esserne contagiati.
Camminare oggi per le strade di Pechino, di Shanghai, di
Hefei e di tante altre località della Cina offre immagini diverse. La gente
ride, si incontra riempie qualsiasi tipo di locale, canta. Il karaoke anche qui
è ormai un must. Si percepisce un’atmosfera diversa. Visitare il 798, il
quartiere artistico di Pechino trasmette immagini e sensazioni di una società
giovane che cammina, direi quasi “corre” verso il futuro. Potrei dire senza enfasi che camminando
per le strade cinesi oggi è normale incontrare persone felici. Ma sono
veramente felici e che significa essere felici in una società in crescita come
quella cinese?
Se penso a quello che ci propinano i media quotidianamente,
soprattutto attraverso la televisione, la felicità è certamente possedere
qualcosa che si desidera, soprattutto beni di consumo e di lusso. Se pensiamo a
questo, oggi i Cinesi sono certamente tra gli uomini e le donne più “felici”.
Il loro mercato cresce ogni giorno di più in un parossistico carosello che arricchisce
tanti cinesi e molti occidentali e, allo stesso tempo, muove la loro economia.
Ma la felicità è sicuramente anche quello che non si possiede e si cerca o si aspira
in maniera sicuramente più etica. Anche in questo i cinesi sono ricchi e si
vede e si sente parlando con i giovani, scoprendo i loro sogni e le loro
aspirazioni: non solo status symbol, ma
valori come cultura, famiglia e stabilità sociale, un viaggio alla ricerca
della felicità che i loro genitori e i loro nonni non hanno mai avuto e che
molti cinesi hanno oggi la possibilità forse di raggiungere.
La felicità è un valore sociale da riaffermare proprio adesso
che quasi tutti i sistemi occidentali mostrano debolezze sistemiche e tagliano spesso
diritti sociali conquistati in molti decenni e affermati nella Costituzioni di
quasi tutti gli stati democratici. La felicità è addirittura, come tutti sanno,
un obiettivo dichiarato nella Costituzione americana.
Ma allora se la felicità è veramente un principio
riconosciuto come si può misurare quella di un popolo o di una nazione? Qualche
anno fa uno statistico italiano: Corrado Gini ha introdotto un coefficiente
numerico compreso tra zero e uno, in grado di misurare la diseguaglianza di una
distribuzione come il reddito o la ricchezza. Più il valore del coefficiente di
Gini è basso, più la distribuzione che si considera si può considerare omogenea.
Lo zero corrisponde a una pura equidistribuzione, ad esempio una nazione ideale
in cui tutti percepiscano lo stesso reddito, mentre se questo valore cresce la
distribuzione diventa sempre più disomogenea.
Certamente una nazione dove esistono grandi
diseguaglianze, e la Cina ha al suo interno enormi disparità sociali ed
economiche, non può essere considerata o proposta a modello della felicità. Tuttavia,
per la prima volta, quest’anno la Cina ha pubblicato il coefficiente di Gini della
sua distribuzione del reddito (0.474 nel 2012 contro 0.491 nel 2008) e quello
dei dieci anni precedenti. In questo momento non credo sia veramente importante
capire se questo valore sia “esatto” (altre stime anche interne alla Cina lo
danno molto vicino a 0.6) o circa grande come quello degli Stati Uniti o di
altri paesi. Per una nazione come la Cina in cui Deng Xiaoping aveva dichiarato
molte volte che “alcune persone potevano
essere autorizzate a diventare ricche prima di altre” è un importante passo
in avanti che non solo riconosce e misura la disuguaglianza, ma implicitamente pone
tra gli obiettivi del paese anche quella di ridurla. È l’indicazione che in
questo paese ancora in grande (forse troppo grande) crescita è importante
governare lo sviluppo. Una crescita senza controllo è, infatti, pericolosa non
solo per l’ambiente, ma soprattutto per il futuro benessere sociale. Migliorare e mantenere un sistema sociale
equo è una condizione essenziale per costruire il progresso di un popolo e di
una nazione. Questo non è solo il grande problema della Cina, ma anche delle
nazioni occidentali i cui economisti e banchieri propongono ormai solo tagli ai
salari, alle pensioni e ai diritti sociali fondamentali come scuola, educazione
e sanità. Con queste scelte non andremo sicuramente lontano e il virus della
“tristezza” greca si estenderà presto a molti altri paesi. Per continuare a
costruire il futuro i paesi occidentali, e il nostro non rappresenta
un’eccezione, non hanno bisogno solo di sapere che il PIL sarà maggiore di
zero, ma anche di poter ancora sperare di essere felici.
Foto: Immagine di una delle miriadi d’installazioni al
quartiere 798 di Pechino (http://www.798space.com).
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