Riportiamo qui la nota critica all'autoantologia di Maria Luisa Spaziani: uno sguardo che, da fuori campo, osserva l'immagine di lei riflessa nello specchio.
In quel volume lei offriva la sua personalità poetica, che con ansia aveva modellato, allo sguardo critico, prima che l'uscita del Meridiano si prendesse cura dell'intera sua opera.
nota critica a Maria Luisa Spaziani – Poesie 1954 –2009, Oscar Mondadori 2011
Di un'autoantologia il cui titolo riporta solo il nome
dell'autrice e l'arco di tempo che copre, quasi per intero a tutt'oggi, la sua
intensissima produzione, non è semplice parlare. Molteplici i riferimenti a fatti e avvenimenti anche
politici, di cronaca o sociali (Alle
vittime di Mauthausen; Italia '92-'93; Il mostro di Firenze), le
esperienze, i toni, le dediche a grandi amici-poeti come Luzi, Montale, Alvaro,
Piccolo. Una voce autentica resta tuttavia sempre riconoscibile – in tempi e
luoghi distinti, toccando argomenti diversi – con il suo amore per
l'intelligenza, i suoi abbandoni lirici e, non contraddittoriamente, con il
gusto dell'ironia, della brevitas, dell'aforisma. Occorrerà pertanto, per non
sperdersi, cercare un'angolatura da dove gettare luce su questa lunga vita
filtrata, e pertanto, in senso etimologico, inventata, dalla poesia.
Mi è parso di trovarla,
questa angolatura, in una delle poesie
dalla raccolta La luna è già alta (2006):
Io amo amare. Tutta la
mia vita
brillò di stelle a
sfida d'ogni buio.
Furono pianetini, soli
ardenti,
meteoriti, lune,
astri, comete.
Di sei uomini il nome
mi accompagna,
soavi nomi esotici o
di casa.
Astronomi famosi:
quale gloria
poter dare dei nomi
alle stelle.
Occorre da subito notare – l'avevo già sottolineato
commentando l'ultimo libro di Spaziani, All'incrocio delle mediane, che non è
incluso in questa raccolta – l'ardire di porre il pronome di prima persona in
positio princeps, proprio all'inizio della poesia e del verso, dove forte batte
la voce. Poi l'uso del tempo presente a indicare una costante assoluta: l'amore
non è sentimento che appartiene a una sola stagione della vita. In quel presente
c'è tutta la forza, il coraggio di chi si è sempre fatta trovare pronta a
cogliere la gioia là dove l'occasione la porgeva. Maria Luisa Spaziani si
osserva: vede, e vorrei dire, "ama", questo tratto ineludibile della propria personalità.
Quindi, usando il
tempo al passato, il tempo della storia, si volge al ricordo, alla
"rassegna", con compiacimento sincero, con altrettanto sincero
sorriso. Conta sulle dita delle due mani i nomi degli uomini che ha amato, che,
volta a volta, ha scelto come astri a illuminarla. Però, attenzione, talvolta
si trattava di minuscole personalità, di pianetini. E non sfugga che quelle stelle è lei a
nominarle, è lei a dare loro importanza e identità.
"Soavi nomi esotici o di casa": certo nella prima
categoria il più facile da ricordare è Elèmire Zolla, che fu anche suo marito.
Alla dolorosa separazione, a quello strazio che fu vissuto anche, se non
soprattutto, come il tradimento di un'amica (Cristina Campo) sono dedicate le
terzine di Fuoco dipinto in Utilità della memoria (1966):
La mia vita sarà
tabula rasa.
Dove fiorì il roseto
di parole
sprofonda un fosso di
filo spinato.
Sul male nessun bene è
radicato.
E tu hai voluto, o
cùcula loquace,
sulle macerie altrui
fare la casa.
Una poesia risentita, tutta fondata sui contrasti e sul
disvelamento: l'amica che sembrava fiorire in un roseto di parole si è rivelata una cùcula loquace, una ladra di nidi, e il suo bel parlare non suona
ormai se non come uno stolto, ripetitivo e subdolo canto. La rima baciata in
-ato tra le due terzine, e l'opposizione assoluta tra bene e male, come tra due
entità non mediabili, metafisiche, sottolinea solennemente la massima morale in
cui si cela, come in un testo sacro, una minacciosa profezia. Maria Luisa
Spaziani nel dolore si manifesta forte, anche spietata, non ama i toni
assolutori e autoconsolatori. E la memoria la conforta riportandole il ricordo
della meravigliosa sottomissione dell'altro alla potenza dell'amore, se ricordo / che un bacio ti
scuoteva come un pioppo / lungo i lampioni di periferia: è una delle
immagini più belle consegnate a questo libro.
Altrettanto intensa, con riferimenti concreti al fisico
desiderio, antielegiaca, è l'espressione della propria gioia di amare, alla
quale Spaziani ha dedicato in tempi non troppo lontani (2002) un intero libro, La traversata dell'oasi, di cui in questa antologia, sono riportate
circa cinquanta liriche. Una raccolta che – lei stessa ce ne informa nella
prefazione – è il suo libro più ricco di edizioni e di riscontri critici e
premi. Credo che questo successo corrisponda al grande desiderio del lettore di
poesia di sentire pulsare sentimenti e passioni autentiche e di ammirare il
coraggio di parlarne con dignità e forza. E qui mi accorgo di aver usato più di
una volta il concetto di forza riferendomi
a questa poesia e alla personalità della sua autrice: ma come dire altrimenti
una voce che mai dimenticando la sua femminilità, tuttavia la risolve non nella
fragilità e nel nascondimento, ma nella sicurezza, nella imponente statura, in
precise, epigrammatiche e aforistiche
affermazioni, in rapide metafore, nella contrapposizione netta (tu-io) dei
pronomi personali di prima e seconda persona?
C'è davvero"forte"passione in questi versi e quasi
il vanto di esibirla:
Dunque subdola miccia
è l'amore.
Serpeggia a lungo, è
un "sentito dire",
una favola altrui, un
improbabile.
Poi raggiunge il
castello, e in mille schegge
l'intera vita esplode.
*
Mi avviluppa la tua
voce al telefono
come un lenzuolo
nuziale di lino.
Mi accarezza dalle
orecchie alle caviglie
e lentamente scivolo
nel sogno.
[…]
Tu continua a parlare,
di qualsiasi cosa,
elenco del telefono,
fogli di dizionario,
bollettino del tempo,
poema in aramaico.
Intanto (tu continua)
io traduco.
Eppure in questa
antologia troviamo anche un poemetto di dolcezza vibrante, pudica, per
il quale saremmo tentati dal richiamare certe liriche di Pascoli, o anche di
Gozzano, del francese Francis Jammes, se non fosse che qui il linguaggio rimane
sempre anche metricamente nitido, mai allusivo, se non fosse, infine, per la
sapienza proustiana nel richiamare il preciso ricordo di odori e sapori. Si
tratta di Luna Lombarda, incluso
nella raccolta Utilità della memoria
(1966) di cui l'autrice, sempre nella prefazione, scrive: un piccolo romanzo che non ho mai voluto togliere da rifacimenti e
ristrutturazioni successive perché, cosa rara, mi ricorda una violenta felicità
misteriosa in quanto priva di una causa precisa. Non è questa una possibile
definizione dell'amore: la rarità, la violenta, gratuita e misteriosa felicità
che comporta?
L'atmosfera è quella di un collegio della Lombardia, a
Treviglio. Ecco ritornare quel sicuro segnale: nell'ultimo verso della quartina
quella contrapposizione tu… io, come
se il mondo fosse vuoto d'ogni altra presenza:
I letti sapevano di
mèliga,
l'acqua il mattino
spezzava le mani.
La tavolata immensa
come a corte,
tu da un lato, io
dall'altro.
*
Non c'è al mondo
liquore inebriante
come l'acqua di fonte
del collegio.
La si beve in
bicchieri spessissimi,
Molto simili a lumi
d'altare.
Vi traspare un sentore
di mandorla,
di giovinezza, lacrime
e genziana,
palpebrando sul fondo
in filigrana
del tuo volto la
corolla celeste.
La presenza negli oggetti e nei luoghi di un volto e di
quello soltanto, parla di un amore romantico, che forse tiene lontano il
desiderio sessuale, ma assoluto come ogni altro amore. E si conclude, il
racconto in versi – ricco di ariosi dettagli come quelle partite di pallavolo
che più volte ritornano – con la partenza della protagonista, che ritaglia
l'episodio in un tempo preciso, mentre
prova a racchiudervi un'eco di eternità:
Si sfila il treno
dalla pensilina
come sangue che svuoti
la vena.
Questo viaggio, lo so,
non ha ritorno,
non sei rondine da
attendere al nido.
[…]
Esserti a fianco in
quell'acerbo volo
d'allodola gaudiosa
nella sera!
Altro amore, certo da non conteggiare nel numero dei sei
nomi di astri, nome assoluto, che non consente di essere allineato ad altri, è
quello della madre, presenza che, con rispetto, tenerezza e infinito rimpianto
percorre tutti i libri qui raccolti. Madre associata al pane scuro della guerra, madre che raccoglie il pigolante sparso nido, madre d'antica pazienza, presenza in ogni
recesso ancora viva, quando si presenta la necessità di abbondonare, di vendere
la casa, il giardino e gli alberi a cui lei dedicava la sua cura (L'ultima notte del Soratte). Non
meraviglia che Maria Luisa pensi che la madre amatissima possa essersi
reincarnata in quei raggi di luna che, giocosamente, di notte vengono a battere ai vetri della sua
finestra (Accanto ai vetri).
Infine, nella poesia Testamento che chiude la raccolta, parole d'amore, musicali parole, ignote anche al Petrarca, a Maria Luisa Spaziani le sussurra la nostra
comune morte. Non quindi francescanamente "sora nostra morte corporale /
dalla quale nullo homo vivente può campare",
non quindi la sorella di tutti i
viventi, ma di nuovo quel pronome "Io" a inizio di verso (Io e la mia morte), segnale
dell'assoluto legame che definisce l'amore,
a evidenziare, con
"l'altra", una complicità senza schermi che porta non solo a essere compagne
di giochi e di letture, ma perfino – mai spenta passione! – senza ribrezzo
alcuno, a carezzare gli stessi uomini.
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