RIFLETTENDO SULLE PAROLE CHE HO AFFIDATO ALLA PAGINA
Quello che questo
libro non è, che la mia poesia non sarà
mai, è una riflessione sui ricordi.
La forma del ricordo è il racconto autobiografico e di
questo c'è nell'autrice un rifiuto interno un blocco che impedisce di accedervi
come è scritto nella poesia "Del raccontare", ma già era stato tema
di altra poesia "Il volto–le mani", nella raccolta "L'equazione
e la nuvola" Quindi il tempo dei
verbi adottato è, essenzialmente, il presente, i modi l'indicativo e e
l'infinito.
Ma ricordiamo che
l'infinito è anche il modo nel quale si formula l'imperativo impersonale (così
come li leggiamo sulle porte, spingere,
tirare) e l'imperativo negativo. Questo anche nel rivolgersi direttamente a una
persona, anzi al tu, alla seconda persona (non dire sciocchezze etc.)
Nella prima parte di questa raccolta, per quanto l'infinito
sia preceduto da quel "del" che indica il complemento d'argomento, la
sfumatura imperativa, che l'autrice pensa non sia lei a rivolgere né che sia
rivolta a lei, ma nasca dalla considerazione oggettiva dell'esistente, è,
direi, implicita.
Inoltre tutto il
libro articola una riflessione sull'"in sé" della natura ma anche
degli oggetti.
Prima parte: I verbi all'infinito
Del fare ordine,
che si articola in tre poesie, è il primo fondamentale argomento.
Ordine e caos sono
gli estremi nei quali si collocano persone, oggetti, eventi. Nel caos c'è
assenza di senso o almeno difficoltà a riconoscere un senso, nell'ordine
eccessivo c'è fissità, morte. La vita risiede al limite al bordo del caos
rivolto verso l'ordine, lì dove l'ordine non è assoluto, non è privo di novità
inattese, perciò non è privo di vita.
Queste poesie vogliono essere lette pertanto nel loro senso
letterale, ma rimandare soprattutto al loro significato metaforico. Ordine e
disordine osservati nel microcosmo di un armadio, rimandano a ordine e
disordine cosmico.
Nella terza delle tre
poesie dedicate al fare ordine compare l'in sé degli oggetti.
L'in sé degli oggetti che verrà ripreso nella sezione "La natura in sé" si riferisce alla
resistenza degli oggetti e della natura a essere considerati accessori o sfondo
della vita di un individuo. In molti
casi gli oggetti di cui ci circondiamo avevano una loro esistenza precedente e
ne conserveranno una anche dopo. Gli abiti dei maharaja indiani, secondo una
determinata tradizione, dopo essere stati indossati venivano bruciati, ridotti
in cenere, proprio per eliminare questa esistenza in sé dell'oggetto e
renderlo nato per un solo scopo, oggetto
che dopo aver adornato e coperto il corpo regale deve estinguersi, perché ha
compiuto il suo destino.
L'autonomia degli oggetti
Piccoli gesti nello spazio concluso
quelli solo puoi
compiere
provare inutilmente
di riordinare gli oggetti nella casa
Appena li riponi
gli oggetti sfuggono via dalle tue mani
verso quel caos dal quale vengono
e al quale vogliono far ritorno
Soprattutto non intendono
significare "per te"
vogliono essere "per loro" stessi
e domani nelle mani di chi tu non conosci
non sono regali che tu farai
ma appropriazioni che il tempo ha predisposto
Altro tema è qui contrastare il Freddo. Il freddo è affine all'ordine, all'immobilità. Il freddo
cristallizza i liquidi, rallenta la vita. Come le cose, gli eventi, per
partecipare della vita devono restare al margine tra caos e immobilità, anche il
sangue deve restare alla temperatura al limite, né freddo né caldo, anzi è il
sangue stesso che stabilisce il limite del freddo e del caldo e impone: indossare
i guanti di giorno, i calzini di notte. Guanti e calzini, sono oggetti vivaci e
colorati, ma sono anche metafora di una paziente opposizione al freddo.
La bellezza e la forza anche direi persino terapeutica
dell'astrazione assoluta dal particolare si esprime nella poesia "Del contare". Contare,
oltre cinque (le dita di una mano) è funzione d'intelligenza umana superiore e
diventa anche una forma di gioco. La pura astrazione come il liberarsi della
mente dalle cose, dai progetti, da tutto quanto è la faticosa concretezza.
"Del perdonare",
"del ringraziare", "del dividere a fette il tempo" sono
poi tre imperativi, non Etici, tanto meno Religiosi, quanto dotati di una loro
interna necessità. "Dello
stiracchiarsi", nell'ultima strofa che rivela il significato di quel
gesto, è una deroga al non ricordare. Ma non c'è narrazione del ricordo, è l'azione
che si fa ricordo ovvero il ricordo che si fa azione.
"Del dividere a
fette il tempo" è questa eucarestia del presente. Ogni giorno la sua
pena, ogni giorno il suo evento, il suo nutrimento. Non c'è passato o futuro
che, nella sua illusorietà, veramente nutra.
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