Giovedì 17 gennaio, all’interno dell’Aula Magna di una Sapienza militarizzata, in occasione della cerimonia d’apertura del 705° anno accademico 2007-2008, volarono parole grosse. Il Papa, per propria autonoma decisione, o, dice Bagnasco per esplicito invito del governo, ma il governo nega (vai a sapere la Verità) aveva rinunciato alla sua partecipazione all’evento in seguito alla legittima manifestazione di un dissenso espresso da una minoranza del corpo docente e degli studenti. Non posso accettare, dirà, l’invito di una famiglia divisa.
Strano modo di concepire il proprio mandato pastorale.
Capiamo che egli preferisca masse compatte a festeggiarlo ogni domenica all’Angelus sotto il suo balcone, ma la storia del Cristianesimo, disciplina che da anni viene insegnata con profitto nella Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza dove io insegno, è una storia mista di bene e di male, una sequela ininterrotta di scismi, eresie, profonde lacerazioni, tentate egemonie. Come tutte le storie del mondo gronda di lacrime e sangue. Anche quando si ammanta di grande poesia. Andate a rileggervi in quale basso luogo dell’Inferno Dante sprofonda Maometto, seminatore di discordie. E provate a commentarne il passo agli studenti islamici che stanno arrivando nelle nostre scuole. Protette all’esterno dunque da un efficiente ordine poliziesco venivano pronunciate parole violentemente stridenti con la situazione, come Democrazia, Libertà, Tolleranza, valori ai quali molte vite in passato sono state sacrificate e che meriterebbero rispetto, chiarezza e soprattutto buona fede. Sì, la buona, piccola verità della fiducia umana, virtù minimale e minuscola, al confronto della Fede che coincide con Santa Sede e alla lunga (ma in Italia sembra alle corte, per dirla con un satanasso come Landolfi) con Santa Fede. Ma la buona fede non spirava nei cupi volti dei politici, lasciando da parte le desuete mantelline d’ermellino aspiranti al clamore mediatico delle loro “incongrue” iniziative. Tempi bui, dirà Veltroni e tempi veramente bui corrono quando chi sta fondando un nuovo partito democratico confonde dissenso con censura e cade in astute trappole. Non capisco, veramente non capisco, fa eco il “sinistro” Mussi che infatti non riesce nemmeno più a capire che le inaugurazioni delle Università le fanno i prof. e non i papi e che in quel giorno tremila poliziotti erano di troppo sui prati malconci della Sapienza. Buona fede: virtù poco appariscente che i media non amano, ma “onesta”. Nel senso del grande poeta Umberto Saba che ormai più di cento anni fa in un intervento (quello sì censurato dai colleghi della “Voce”) esortava i poeti a scrivere una poesia “onesta”. E pensare che lui mezzo ebreo vi contrapponeva il “sincero” e cristianissimo Manzoni al “falso” D’Annunzio! E’ una delle tante piccole, fragili, eroiche verità della poesia, una delle centomila di cui il nostro “frammentario” mondo moderno è disseminato, a dire del Professor Ratzinger, nel discorso da lui inviato all’Aula Magna, per la mancanza della luce unificante della Fede.
Ma chi parla, in quel discorso? Chi stiamo noi ascoltando? Il Professore Emerito, come si è definito nello strano Angelus di domenica scorsa (che ne dice Cacciari esperto di angeli, cretinerie altrui e mancata sicurezza del lavoro a Marghera?), l’intellettuale fiero della sua dottrina e lievemente vanesio come tutti i suoi colleghi?
Il filosofo-teologo che secondo la nota tradizione tedesca scrive una prosa profonda e un po’ oscura, ma, alla bisogna chiarissima e sin troppo esplicita. “La vera intima origine dell’Università sta nella brama di conoscenza che è propria dell’uomo. Egli vuole sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità”.
Forse a causa del mio limitante corpo di donna così intimamente coinvolto dalle leggi biologiche nel mirabile processo della riproduzione della specie che gli impedisce, soprattutto se gravido, di sollevarsi agevolmente in questi voli cosmici, io preferirei interrogarmi sulla verità a partire dai suoi immediati dintorni. E, nei dintorni delle supreme Verità, capita allora di imbattersi in menzogne, strumentalizzazioni, continue ingerenze delle autorità ecclesiastiche sulle decisioni della politica, per esempio. Come si è sentito Veltroni bacchettato sulla sua opera di sindaco dal Vescovo di Roma, episcopos o “sorvegliante” anche dell’Urbe, immagino, come egli dottamente ci ricorda?
Perché il Prof. Ratzinger è anche un capo politico, sovrano assoluto di uno stato teocratico recintato da poderose e bellissime mura ma piantato nel cuore della capitale d’Italia. E pare che da lì egli possa dire quello che gli pare, a destra, a sinistra e al centro, provocando solo ansiosi palpiti e balbettii di risposta. E’ dunque il leader del Vaticano che può, come continuamente fa, condizionare le decisioni di uno stato che si dice laico esponendo le sue “ragioni etiche”, curiosa dittologia su cui varrebbe la pena riflettere, ostacolando l’approvazione di leggi a lui sgradite? E soprattutto inserendosi nelle vite delle persone e sui loro affetti, profonde fragilità e umane incertezze, con cuore e mente armati da un’aporistica Ragione che restando “sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana” perderebbe “il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola”? Come dovrebbero sentirsi le donne che si dibattono nella difficile decisione di una gravidanza non desiderata di fronte alla condanna di chi si professa Pastore delle loro anime? Forse le donne non ragionano sempre “alla grande”. Ma intendono perfettamente l’oscura e pur chiarissima proposta della “moratoria dell’aborto”, entusiasticamente accolta e sostenuta da noti provocatori di professione. Cosa ne pensa il raffinatissimo Prof. Ratzinger di ciò che un suo fedele seguace, direttore di una radio cristiana dotata di potentissime frequenze afferma in tutta serietà che intorno ai firmatari della lettera si sprigiona l’odore del diavolo? Non si sente un po’ imbarazzato? Ma già, dimenticavo. Il Prof., quando vuole abbandona la corta mantellina e si ammanta della candida veste del Papa, infallibile, intoccabile e inevitabilmente monologante rappresentante del Cristo in terra. Alla Sapienza, in Vaticano, in Italia e nel mondo. E tutto com-prende nella sacra identità di Uomo della Verità, uno e trino:professore, capo di stato, pontefice. Dunque Umano e Divino. Uno, Nessuno e all’ora dell’Angelus, centomila. Anzi duecentomila.
Scusatemi, ma preferisco fermarmi a Dante, tragicamente insicuro e orgoglioso della sua grande missione, che arriva alla Teologia per forza di poesia inducendoci a credere, con la folgorante bellezza dei suoi versi che “come stella in cielo il ver si vide” (Par.,XXVIII, v. 85). Per un attimo solo anche noi comuni e moderni mortali finalmente in Paradiso.
Biancamaria Frabotta
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