giovedì 20 gennaio 2011

Tunisia: note di viaggio, novembre 2010 di Piera Mattei


(nella foto: Alla sala da thè presso Avenue Bourghiba,Tunisi)
"… gli eventi tunisini covavano da tempo, hai fatto il tuo viaggio just in time...", così mi scrive in questo violento inizio d'anno l'amica Toni Maraini. E tuttavia, per quanto il viaggio in Tunisia, tra la fine di ottobre e la prima settimana di novembre 2010, avesse per me soprattutto il significato d'incontrare anche lì la poesia, non avevo potuto fare a meno di notare insopportabili realtà. A cominciare dall'aggressivo sospetto con cui ero stata pesantemente interrogata al controllo passaporti per aver imprudentemente scritto sulla carta di sbarco, in corrispondenza della voce professione: giornalista. Ci è voluto l'intervento di un responsabile che assicurava della mia buona fede, che non andavo lì per spiare. Proprio a Sidi Bou Said, dove il premier Ben Alì aveva una enorme e presidiatissima residenza, ma anche in altre città, colpiva l'onnipresenza della polizia. All'ingresso dell'hotel anche e poi dovunque ti seguiva tra bandiere e bandierine, il ritratto di Ben Alì. Sorrideva dai palazzi, sulle piazze, la destra sul cuore, nel saluto più "cordiale" appunto: un apparato pronto a celebrare, il 7 novembre, i ventitre anni dall'inizio della Nuova Era, cioè dal suo insediamento. Un'atmosfera in cui di autenticamente festoso si avvertiva molto poco. Non immaginavo però che sarebbe stata l'ultima volta che i tunisini erano costretti a celebrare il potere di un uomo che li opprimeva. Inoltre, a Tunisi soprattutto in Avenue Bourghiba, diventata in questi giorni nota in tutto il mondo, non avevo potuto fare a meno di notare che la folla si manifestava come un fiume di teste di folti capelli neri. "Popolazione di giovani!" mi ero detta e mi ero chiesta intanto dove quella fiumana si stesse dirigendo durante le ore del giorno, verso quale impegno o vuoto d'impegni. Ma intanto avevo notato le proporzioni dell'area universitaria, veramente notevoli per un paese che si mostrava per altri aspetti assai arretrato.

Riflessioni che si erano infiltrate in giornate dedite, come progetto, soprattutto alla cultura, e non solo nel senso più circoscritto del termine. Riconosco ora con pena di fronte allo schermo del computer, le vetrate del locale dove con il poeta Moncef Ghachem ci eravamo seduti a parlare di poesia, davanti a un bicchiere di the alla menta. Lì intorno, in questi primi giorni dell'anno 2011 risuonano colpi d'arma da fuoco, come presso il cancello dell'Ambasciata di Francia dove, nella piccola biblioteca per l'infanzia di cui aveva la cura, eravamo andati a trovare proprio la moglie di Moncef.
Certo mi ero meravigliata della sopportazione di quel popolo non solo verso un regime con le sfumature di una tirannia, ma anche verso le isole di lusso costruite per facoltosi turisti occidentali, dove io stessa, a malincuore, mi ero trovata a dormire un paio di notti. Noi, del resto, mi ero detta allora e oggi non posso fare a meno di ripetermi, abbiamo anche noi nostri gravissimi problemi da affontare.

Mi ero meravigliata, data la brevità del volo, di quanto la Tunisia fosse molto più vicina di quanto avessi mai pensato. Lo sapevano certo con le loro navi i nostri antenati romani. Infatti mi sarei resa conto, anche se dovevo saperlo, che è una terra che conserva ricordi del suo periodo romano più di molte parti della stessa Italia. Una città ogni sessanta miglia, così si stendeva la tela delle colonie sul territorio. Una terra ricchissima dove grandi fortune si erano accumulate con la coltivazione di latifondi a olivo (che ancora persistono), dove i potenti dotavano le loro case di bagni e pavimenti a mosaici, che il clima asciutto ha contribuito a conservare in ottimo stato. Oltre ai ricordi di epoche lontane aveva attratto la mia attenzione la fauna del paese: le varietà di uccelli migratori, soprattutto. Lungo l'autostrada le cicogne fanno il nido sui pali della luce, ai margini della palude salmastra che separa la pista Nord-Sud del paese dal mare. Lì incontro anche piccole carovane di cammelli, provenienti dal sud desertico, o singoli cammelli agghindati accanto ai monumenti, in paziente attesa del turista che voglia farsi fotografare con loro. Mi aveva ferito tuttavia l'immagine di agnelli, tenuti in recinti presso le strade, in vendita, per celebrare con il loro sacrificio la salvezza di Isacco, nella biblica Festa dell'agnello, altra tradizionale ricorrenza, religiosa stavolta, di metà novembre. Ancora agnelli e bovini macellati e appesi in quarti fuori da bettole, schierate l'una dopo l'altra lungo le strade, animali ridotti a carne in esposizione, e fornelli dove i carboni sono accesi già dal tardo mattino. Asini, come fino a poche decine d'anni fa da noi, trattati come bestie da soma, adibiti a portare pesi enormi o a tirare carretti formati solo di tavole accostate.

Prima di partire avevo riletto l'Eneide e le storie narrate da Cesare nel De bello civili e nel De bello africo, per cercare di riconoscere il teatro degli amori di Enea e Didone, degli scontri sanguinosi tra Cesare e i pompeiani, a Utica ripensare al suicidio di Catone e riflettere sull'interpretazione che Dante ne dà nel Purgatorio. Nel nord di colline e laghi ho rivisto poi l'ambientazione dei massacri di mercenari e cartaginesi, d'impazziti elefanti reinventati con ottocentesco esotismo da Flaubert, per il suo Salambô. Per quanto la bellissima Salambô del romanzo sia personaggio di pura invenzione, Salambô si chiama ancora oggi un piccolo centro tra Tunisi e Sidi Bou Said.
Avevo avuto anche la fortuna di trovare in libreria una copia delle traduzioni italiane dei Canti della vita del grande poeta tunisino Shabbi, il fondatore stesso della poesia tunisina moderna. Una personalità eccezionale, proveniente da un ambiente agiato ma lui stesso conoscitore solo della lingua araba, morto a venticinque anni nel 1934. Il libro, pubblicato dall'editore siciliano Di Girolamo, con un illuminante saggio introduttivo di Salvatore Mugno, si è rivelato nel mio viaggio un buon biglietto di presentazione per i poeti tunisini con i quali le amiche Toni Maraini e Elisabetta Messina, entrambe esperte del Maghreb, avevano per me attivato i contatti.