martedì 17 settembre 2013

La Cina verso lo spazio di Claudio Marcelli





Sto guardando la televisione cinese e anche se non riesco a capire le parole, non mi è difficile percepire il profondo senso di orgoglio nelle parole dei tre astronauti Zhang Xiaoguang, Nie Haisheng e Wang Yaping. 
Siamo solo qualche ora prima del loro ritorno a terra in una base della Mongolia interna alla fine della missione Shenzou X, dopo 15 giorni passati nello spazio. L’orgoglio nazionale è al massimo, i giornali sono pieni delle immagini di questi tre ragazzi (due uomini e una donna) che con questo volo avvicinano la Cina al sogno di una stazione spaziale orbitante intorno alla terra prima del 2020.

Ancora ho viva nella memoria la sera del 21 luglio 1969 quando bambino alla radio ascoltavo la voce di Tito Stagno raccontare i minuti che precedevano quei memorabili passi sulla Luna. In quegli anni tanti bambini della mia generazione insieme a me hanno sognato di diventare astronauti.
Lentamente, ma continuamente, anno dopo anno, lo scenario è cambiato. I voli successivi hanno reso lo spazio qualcosa di ordinario, poi la riduzione dei finanziamenti alle agenzie spaziali ha fatto il resto. L’interesse e la passione per l’esplorazione spaziale è scemata fin quasi a farla passare di moda. Tuttavia negli ultimi anni l’interesse per Marte e per un possibile viaggio sul pianeta rosso è tornato a riempire le pagine dei giornali e soprattutto del web.

Tra le pagine più visitate sicuramente quelle del progetto Mars one (http://mars-one.com), un’iniziativa privata che intende stabilire una colonia permanente su Marte dopo l’invio di un satellite artificiale per le telecomunicazioni nel 2016. I costi per mandare i primi quattro astronauti su Marte saranno circa 5 miliardi di euro. L’idea è quella di aprire una colonia permanente a partire dal 2023 grazie all’aiuto di sponsor e investitori, nell’ambito di un progetto che sarà un vero e proprio reality show in cui i prescelti saranno votati dal pubblico. Gli astronauti saranno, infatti, quattro “fortunati” scelti tra i 40 volontari che si faranno filmare 24 ore su 24 per tutta la durata dell’addestramento e poi durante la missione. Questa missione di colonizzazione è basata su un viaggio di sola andata e non è previsto alcun mezzo per tornare sulla terra, e tuttavia, dopo poco più di un mese dall’apertura del sito Mars one, sono già migliaia coloro che hanno lasciato un messaggio video per essere scelti a partecipare a un addestramento che dopo otto anni li dovrebbe portare a vivere su Marte il resto della propria vita. Molte tra le migliaia di candidature inviate a Mars one provengono dalla Cina. 
Qual è lo scopo di questa potenziale colonizzazione di Marte? Siamo forse all’alba di una nuova conquista? Difficile capirlo adesso, e dunque una riflessione su questo nuovo interesse verso lo spazio è necessaria.  
  
Nel 2009 e nel 2010 alcune stime indicano che sono stati investiti nello spazio circa 65 miliardi di dollari. Tutti i Paesi del G20 investono in programmi spaziali ma la maggior parte dei finanziamenti proviene dai paesi del G7 e del BRIC. 
Perché tutti investono nello spazio?

Lo spazio è sicuramente un motore indispensabile alla crescita economica. A parte le evidenti ricadute industriali, molti sono gli ambiti che hanno benefici dallo sviluppo delle tecnologie spaziali: la climatologia, l’ambiente, la medicina, le telecomunicazioni, e ovviamente le applicazioni militari, sicuramente uno delle principali motivazioni dello sviluppo delle tecnologie spaziali e del lancio di vettori orbitali con satelliti. Quasi mille satelliti sono attualmente in orbita con l’obbiettivo di osservare la Terra, al servizio delle telecomunicazioni, della navigazione e del posizionamento, in aggiunta alle missioni delle agenzie spaziali per la ricerca scientifica e l’esplorazione spaziale. Diverse sonde esplorano il sistema solare, tre satelliti sono in orbita attorno a Marte, due attorno a Venere mentre almeno due mezzi di esplorazione sono attivi sulla superficie di Marte. Negli ultimi anni Cina, India, Giappone, Europa e Stati Uniti hanno lanciato ciascuno una sonda spaziale in orbita attorno alla Luna e la Stazione Spaziale Internazionale è abitata e visitata da astronauti e cosmonauti a partire dal 2003.
Ormai più di 50 nazioni partecipano a questa “colonizzazione” e usufruiscono più o meno direttamente di queste tecnologie e delle informazioni che raccolgono i satelliti. In pratica sono 13 i paesi che oltre ad avere una tecnologia “spaziale”,  con propri vettori hanno effettuato lanci da basi situate nel proprio paese. 
L’ultimo paese ad aggiungersi a questa lista ristretta, di cui fa parte dal 1963 anche l’Italia, è stata la Corea del Sud, che pochi mesi fa ha effettuato dal Naro Space Center un lancio spaziale orbitale con un proprio lanciatore: il razzo KSLV-1 (Korea Space Launch Vehicle-1). Così anche la Corea del Sud è finalmente riuscita a mettere in orbita un proprio satellite di test del peso di 100 Kg con una vita operativa prevista di almeno un anno. Anche l'India sta lavorando a un satellite lunare e, per competere in breve tempo con Cina e Giappone, l’agenzia spaziale indiana sta pianificando sia una missione umana in orbita terrestre entro il prossimo anno sia una missione sulla Luna per il 2020. Quest’anno, per sostenere la ricerca sui missili a lunga gittata, anche l’Iran ha messo in orbita a 120 km di altezza un satellite con una scimmia. Dopo la costruzione di un nuovo centro spaziale questo è stato il passo successivo e indispensabile prima di un lancio umano. La missione della scimmia iraniana aggiorna la storia dei voli spaziali con animali iniziata con la cagnetta Laika nel 1957 e proseguita poi con le scimmie americane Gordo (1958) e Sam (1959) e poi con molti altri animali quali gatti, rane, conigli, tartarughe, etc.
La Cina è comunque uno dei paesi che oggi investe di più nello spazio. Il suo programma spaziale iniziato nel 1992 è costato quasi 6.5 miliardi di dollari. Ha superato l’Unione Europea come numero sia di lanci che di satelliti messi in orbita. Perché così tanto interesse per lo spazio in Cina?
Il programma spaziale cinese prevede in futuro, nel 2015, il lancio del nuovo vettore Tiangong-2 una componente indispensabile per la messa in orbita di moduli orbitanti per una stazione spaziale di circa 60 tonnellate che dopo il suo completamento previsto per il 2020, permetterà di ospitare diversi astronauti. Elementi fondamentali di questo progetto sono un nuovo centro spaziale a Hainan e la messa a punto di due razzi di nuova generazione, uno per mettere in orbita i moduli e uno come cargo per i rifornimenti.
La missione Shenzhou-X appena conclusa conferma le capacità spaziali del paese e rinforza la sua strategia spaziale, soprattutto riguardo all’aspetto economico. L’ultima missione appena completata con successo è un segnale di capacità tecnologica, ma anche una rivincita nei confronti di Usa ed Europa, che oltre avere inflitto alla Cina l'embargo sulle armi l’avevano estromessa dalla partecipazione alla Stazione spaziale internazionale a cui lavorano Usa, Canada e l’Agenzia spaziale europea. Queste missioni servono alla Cina non solo a sviluppare quell’expertise fondamentale per gli obiettivi militari richiesti dal suo ruolo di superpotenza, ma anche a conquistare una fetta consistente del mercato spaziale che ora è essenzialmente in mano agli USA, alla Russia e all’Unione Europea. Portare una sonda sulla Luna e far camminare un cinese sulle orme di Armstrong è sicuramente uno dei sogni di molti cinesi, sicuramente un obiettivo di questo paese e in un certo senso un vecchio sogno, sempre più realizzabile e vicino.

Educazione ed etica scientifica in Cina di Claudio Marcelli



Il 2013 è stato sicuramente l’anno più difficile per i laureati cinesi. A maggio il ministero dell’Educazione Cinese ha dichiarato che solo il 30% dei laureati nelle maggiori città cinesi, Pechino, Shanghai e Guangzhou, avevano trovato un lavoro. Questa crescente difficoltà nel mondo del lavoro cinese ha provocato un’importante riduzione dei salari d’ingresso da ~900 $ a ~600 $. L’incremento della popolazione dei laureati che quest’anno ha raggiunto in Cina il ragguardevole numero di quasi sette milioni ha sicuramente contribuito a determinare questo andamento. Tuttavia la percentuale dei laureati rispetto alla popolazione totale Cinese rappresenta meno del 9% (censimento dell’Aprile 2011) e sicuramente la ragione principale di questa difficoltà è legata alla struttura industriale del paese che è fortemente squilibrata.
La ricchezza e l’enorme crescita di questo paese ha infatti origine in una straordinaria produzione industriale,  comunque non ancora sufficientemente bilanciata da offrire opportunità al crescente numero di laureati che escono ogni anno dalle università cinesi. 

Il boom economico cinese ha intensificato gli investimenti nella ricerca e il numero di citazioni delle pubblicazioni delle università cinesi è aumentato più di dieci volte nell’ultimo decennio, tuttavia restando ancora molto basso rispetto ai numeri tipici del sistema occidentale. La Tsinghua o la Peking University, istituzioni pubbliche con almeno 100 anni di storia, raggiungono valori inferiori a dieci citazioni per pubblicazione contro le 15-30 delle migliori università occidentali quali Harward, Princeton, Stanford, Oxford o Cambridge che continuano a rappresentare l’élite nel mondo universitario.

Molte università asiatiche stanno crescendo nelle classifiche mondiali, non ultime le cinesi. Queste classifiche tengono conto di parametri universalmente accettati nell’ambito scientifico, ma l’inclusione di altri parametri tipicamente cinesi come la reputazione, non sempre consente di valutare oggettivamente queste nuove realtà. 

Un altro aspetto fondamentale da considerare è che queste università emergenti non sono in grado di competere con i finanziamenti garantiti alle maggiori università occidentali.
La Cina con le sue 2700 scuole e più di 31 milioni di studenti investe circa il 3.69 % del suo GDP nell’educazione, rappresentando oggi il maggiore sistema di educazione del mondo e anche quello che cresce più rapidamente. È ancora inferiore e strutturalmente debole rispetto al sistema occidentale, ma sicuramente sulla strada giusta. Nell’ultimo decennio almeno venti università cinesi sono entrate nella lista delle 500 maggiori istituzioni del mondo scavalcando alcune università americane. Ma mentre queste ultime spesso possono contare su consistenti finanziamenti privati, tutte le università cinesi sono pubbliche e negli ultimi anni solo un' università privata, l’University of Science and Technology of South, è stata riconosciuta dal sistema educativo cinese. l costi annuali di gestione di un’università cinese corrispondono in termini monetari a  12-13 milioni di euro, che normalizzati al costo  della vita salgono a 40-60 milioni. Importanti investimenti statali sono iniziati già a partire dagli anni ‘90 con incrementi annuali del 20% (fonte Royal Society of London) proprio per costruire un sistema educativo competitivo.

Oggi che la Cina è il secondo paese per numero di pubblicazioni scientifiche è facile riconoscere l’importanza di questo paese nel mondo della ricerca scientifica. Già nel 2001, durante la mia prima visita in Cina per una summer school a Pechino dedicata alle applicazioni con luce di sincrotrone, ebbi chiaramente l’impressione di quanto fosse importante in questo paese il sistema dell’istruzione e della ricerca. Importanti investimenti nelle infrastrutture in importanti settori interdisciplinari e strategici erano già in essere. L’attenzione era già allora rivolta a un’apertura internazionale per attrarre talenti stranieri e mantenere nel paese i migliori studenti e ricercatori, sviluppando una politica etica e stimolando le pubblicazioni su riviste internazionali di alto impatto.

Questi investimenti stanno producendo i primi importanti frutti e quello che oggi osserviamo in Cina è esattamente l’opposto di quanto avviene nei maggiori paesi occidentali dove le difficoltà economiche portano a una continua riduzione dei budget delle università e in generale di tutto il sistema educativo. 


Per maggiori approfondimenti sul tema vedi A. Marcelli, La Cina e le infrastrutture di ricerca: investimenti per la scienza e la società, Mondo Cinese 154, 12-37, 2013