Sarà solo una coincidenza se, nel giro di un mese leggo, su romanzi diversi che nulla immagino possano avere in comune, di corpi dissepolti al cimitero, di capelli morti ma ancora non definitivamente decomposti di donne, madri, nonne, di abiti che non ricoprono più che cenere e ossa? Sarà un caso che in quegli stessi libri si parli di vecchi consumati dagli anni, che i figli devono accudire con amore contagiato di disperazione e pena e fastidio?
Voglio provare a risolvere questo quesito e a darmi una risposta. Forse viviamo in una società rivolta più che alla vita, al trapasso, in una comunità di micromondi contratti, specchianti, per cui tutto il mondo non può essere osservato che da lì, da quell'ambito familiare, che include anche, anzi impone, l'oscenità dei riti del disseppellimento?
Ora però voglio fermarmi su questo libro, in particolare su Vittoria, il racconto più lungo che dà il nome al libro, quasi un romanzo breve composto di episodi, come appunto l'altro che subito mi ha richiamato alla memoria – per analogia di immagini non di stile – cioè Geologia di un padre di Valerio Magrelli (recensito su questo stesso blog in questo stesso mese). Quello di Magrelli è un romanzo costruito su dati strettamente autobiografici, verità intorno alla quali la scrittura, con acuta, sottilissima intelligenza, richiamando il mito, la scienza, creando legami logico-estetici, tesse il suo filo narrativo.
Qui, siamo, almeno in parte, nell'ambito della finzione narrativa, perché lo scrittore, Angelo Australi, dota il personaggio protagonista che parla in prima persona, di una voce femminile. Sono le vicende della vita di un'operaia che vengono narrate, con andirivieni della memoria, intorno al fulcro di uno strano, paurosissimo incidente. E davvero sembrano scritte da una donna.
Gli episodi che più mi hanno colpito sono appunto quello iniziale, dell' incidente, che, come tutti gli incidenti inverosimili, rocamboleschi, possiamo immaginare realmente sperimentato, e l'altro, del primo incontro della ragazza, ancora ragazzina, col sesso. Incontro furioso, agguato che sfiora la violenza, ma soddisfa anche una curiosità. Quasi un necessario apprendistato, destinato a non lasciare, sembra, alcuna conseguenza dolorosa.
Altro racconto è quello che ha a protagonista (non nel titolo, ma nella resa narrativa) il cane Gino, una creatura inadatta al ruolo: un lupo che abbaia a tutti gli uccelli, come fosse un cane da caccia. E la voce narrante sotto il mugugno, il rimprovero, racconta dell'intesa straordinaria, dell'amore assoluto, che lega l'animale e il suo "padrone".
Vite del tutto normali, raccontate in uno stile che non conosce eccessi: disperazioni tenute a freno, sorde insoddisfazioni. In sintesi direi di questo autore, di cui mi sto occupando per la prima volta, che ha una scrittura convincente e, a tratti, veramente avvincente – che questo è un buon libro.
foto di murali di Alice, in Via dei Sabelli, Roma