venerdì 2 dicembre 2016

Cetta Petrollo scrive su "DOCUMENTI DI VIAGGIO" di Juris Kronbergs




Dopo le storiche collane del secolo scorso di Scheiwiller (Poeti stranieri tradotti da poeti italiani), delle Edizioni della Meridiana, di Lerici (Poeti europei a tradurre i prestigiosi nomi di Angelo Maria Ripellino, Joyce Lussu, Roberto Sanesi e Renato Poggioli) e l’attività di pubblicazione di poesia straniera di Garzanti, Mondadori ed Einaudi, oggi lo spazio editorialmente dedicato alla traduzione si è notevolmente ridotto – ma parallelamente si è ridotto, se non scomparso, anche lo spazio dedicato alla poesia. Crocetti e Marcos y Marcos rappresentano coraggiose eccezioni, come la qui presente Gattomerlino di Piera Mattei che tenacemente continua a realizzare un importante lavoro di diffusione nel nostro paese di autori stranieri contemporanei.
Nella bella collana serie blu dove sono stati pubblicati i due libri di poesia di Juris Kronbergs, Lupo Occhio solo e Documenti di viaggio, sono in catalogo anche autori come la russa Elena Fanajlova,  la statunitense Eleanor Wilner  , l’olandese Erik Lindner, lo spagnolo Javier Vicedo Alós , la boliviana Norah Zapata-Prill, la finlandese Henrika Ringbom a testimonianza della costante curiosità di Piera  e della sua passione per la poesia.
Piera generosamente ci offre questi gioielli nelle sapienti traduzioni di poeti e linguisti italiani, Fiorenza Mormile, Anna Robustelli,  Claudia Scandura, Antonio Bux per citarne alcuni, in qualche caso traducendo lei stessa come avviene, appunto, in questo Documenti di viaggio di Kronbergs, poeta  attivo da più di quarant’anni con dodici raccolte di poesia ed instancabile traduttore, ricordiamo almeno la sua traduzione dallo svedese del premio Nobel per la letteratura, Thomas Tranströmer.

Non sono una conoscitrice e un’esperta di poesia straniera contemporanea, solo una lettrice di poesia soprattutto italiana – in questi ultimi due anni anche di più – data la quantità di libri che concorrono al premio nazionale intitolato ad Elio Pagliarani, leggo, quindi, questo Documenti di viaggio cercando di confrontare le poesie di Juris con le tendenze della poesia contemporanea italiana.

Una prima osservazione: in questi versi non troviamo gli schemi della tradizione, il controllo del ritmo attraverso l’architettura del metro ai quali si avvicina – in ricerca consapevole o meno - molta parte della poesia italiana degli ultimi venti anni e nemmeno il ricorso alla citazione letteraria – poesia che si fa con la poesia in costruzione e decostruzione dell’ingombrante eredità dei padri.
Non troviamo nemmeno la pervasiva effusività linguistica che adopera il repertorio degli stilemi amorosi in una voluta antipolitica della poesia e nemmeno la corporeità di uno spartito che attende di essere eseguito per voce.
Tutto ciò è estraneo alla poesia di Juris della quale tento di cercare interne ricorrenze così come ci si presentano nella traduzione di Piera.
È “un giorno particolarmente immobile” quello di Juris dove i passanti trascorrono fra le stagioni in un catalogo naturale di nomi che dipingono immagini, dove “la dittatura dei sogni” senza costrizioni marca il tempo della politica e della storia in un viaggio documentato dai percorsi personali e pubblici.
È il tempo interno che governa l’andamento del mondo, un tempo che vince sugli accadimenti e li interpreta poiché “una sera quando lasciai la mia stanza/ quella mi seguì/ nessun veto poteva portarvi scompiglio/ nessun sole rischiararla/ nessuna pioggia inondarla”
Il tempo seguita ad essere immobile (“a causa mia il tempo restava immobile”) in una nozione che ci rimanda alla definizione qualitativa di Kairos e a quella agostiniana di " distensio animi " il distendersi dell'anima che dà la misura del tempo, agli eventi “numinosi” di Jung.
La poesia, dunque, narra gli avvenimenti che accadono “sincronicamente” e ci rende la loro luce improvvisa, la sacralità del loro momento immobile all’interno della coscienza: “Notte è un quieto suono di pianoforte/ con la tendenza a premonizioni di sonorità profonde/ nei bassi suonati dalla sinistra/ che facilmente vincono/ le vacillanti terzine della destra” giacché “ il tempo/ fuggendo via/ e rimanendo immobile/ come musica/ come note sullo spartito”
Le apparizioni lungo il viaggio immobile dell’io sono limpidi  oggetti naturali, la lumaca affronta il sentiero dell’autunno , la morte appare come un grande pomodoro rosso (“ la notte è blu-scuro/ ma proprio sopra la corda dell’orizzonte/ c’è un grande pomodoro rosso”), il paesaggio è una geografia intima che scoppia nella visione ( “Sotto il pontile vedo/ nell’acqua il cielo/ sento il fruscio d’ali/ sento la mia geografia”), il poeta diventa una scura notte d’estate che attrae il giorno, la mezzanotte è mezzanotte dell’anima (“ notti d’estate/ scure come giorni d’inverno/ e io divento come loro […] la notte sta attraendo il giorno/ l’orologio segna le tre:/ mezzanotte dell’anima”)
In questa nozione del tempo gioca forse, come acutamente sottolinea Piera Mattei nella postfazione a Documenti, l’identità di confine di Juris, il suo essere “nato in Svezia da genitori lettoni, profughi”, un’attitudine allo spaesamento e alla erranza che solo la radice del proprio tempo interiore può contribuire a comporre.
E, nella immobile erranza del viaggio, cosa ci dicono, infine, i versi di Juris? Cosa ricorre incessantemente e libera con leggerezza e freschezza il nostro sentire? Juris affresca ciò che in questi anni tormentati e cupi abbiamo omesso di guardare, in una lenta sparizione dalla nostra coscienza letteraria e umana di quella che, per utilizzare la definizione di Ennio Cavalli, è la “cosa poetica” : “Perché la chiamo cosa poetica? Perché come “cosa” è tutta da definire. E poi per evitare il peso, il ricatto, il pennacchio della P maiuscola. Non sarà la fissità della Poesia con la maiuscola a spuntarla. È troppo impettita e sicura di sé, per fidarsi delle cose raccolte per strada. 
Juris Kronbergs, per dirla con Cavalli, raccoglie "fasci di vibrazioni" le ricombina "con ambiguità e sfrontatezza. Trasforma in poche mosse la cosa poeica in poesia. Non tutti ne sono capaci. Non tutti possono essere poeti, neanche se puntano i piedi".

Nella foto di Dino Ignani: Durante la presentazione di Documenti di Viaggio a Gattomerlino Spazio  il Trio Improvviso ringrazia il pubblico