giovedì 19 aprile 2012

novità Gattomerlino – Figlia d'Adamo di Debora Greger







Il nucleo della poesia di questo libro vede dunque al centro della scena un'adulta, negli anni Novanta dello scorso secolo, che nella sua poesia interpella quanti erano i responsabili delle scelte gravissime della politica e della scienza, negli anni della sua infanzia. Li interpella senza risentimento ma con un'ironia tagliente, che chiede conto non tanto della malafede, quanto dell'incoscienza:

Golden Deliziose: avevo mangiato del frutto
della conoscenza del bene e del male
ma i miei occhi non si erano aperti, non ero dio.

*****
"Ha bevuto latte da bambina?"
mi chiederà il dottore, la voce della ragione.
"Il latte della fattoria sottovento?"



Quanto rende tuttavia indimenticabile questa poesia è quel profumo di deboli fiori forzati a fiorire, quel paesaggio polveroso nel quale si aggirano come fantasmi greggi senza pastore – greggi, si saprà poi, comprate al pastore e nutrite con erba contaminata, per scopi "scientifici"– le radici che si spingono nel suolo "comunque" alla ricerca del loro nutrimento, i frutti ostinati. E quel modo di rivedere la realtà, nei dettagli e anche nel suo moto fisico, non al microscopio che sarebbe inadeguato, ma tramite un ciclotrone, il mezzo che permette di conoscere, come lo si vedesse, il movimento dell'invisibile:

Fuori una foglia prese tempo per cadere, angelo ribelle,
giù attraverso il pavimento ben lucidato del cielo,
fino all'irragionevole deserto di polvere.

Lì fuori da qualche parte l'uranio si scompose
in figlie-particelle instabili.
Oh vita che si scompone, oh eternità

*****
con l'appena percettibile, sacro blu del decadimento atomico,
madre verso figlia, l'uranio anelava a essere piombo.


(dalla nota critica di Piera Mattei)




Il Paesaggio della Memoria


Richland, Washington

Sono cresciuta in un deserto. Un deserto di ritorno, di seconda nascita: i primi coloni, allevatori e coltivatori, furono costretti dal governo a partire negli anni quaranta, per dare posto al più grande segreto bellico, la costruzione della centrale atomica di Hanford. La centrale, benché neppure chi ci lavorava lo sapesse allora, fabbricò il plutonio per la bomba sganciata su Nagasaki. La squadra del liceo si chiamava "The Bombers". Intorno al sigillo della scuola c'era una nuvola a fungo.
Mio padre si occupava della sicurezza. Non sapevo cosa facesse per vivere. Sapevo solo che prendeva l'autobus per andare nel deserto ogni giorno, come ogni altro padre che conoscevo.
A cena ci avrebbe talvolta raccontato cosa aveva visto nella sua trasferta di quaranta miglia: conigli, cervi, lupi delle praterie, capre inselvatichite. D'inverno le capre si riparavano lungo un terrapieno rimasto lì dove c'era stato un agglomerato urbano, quegli argini di cemento essendo troppo spessi per essere demoliti. Forse lui ci parlava di queste cose perché non gli era consentito parlare del suo lavoro.
Sono cresciuta nel vento. Vento nei pioppi neri della cinta intorno, quindi dentro le pareti della casa o a riempire i vestiti, portando sabbia. Amaranti arrotolati e trasportati dal vento, giù per strade che avevano il nome di ingegneri militari defunti, su lungo quelle con il nome di alberi di un mondo più verde. Passavano davanti alle scuole che prendevano il nome da uomini bianchi che strapparono questo remoto angolo dell' West agli indiani. Passano la strada col nome della loro guida indiana e a quella col nome del capo che sconfissero e non uccisero. Passano davanti all'atomo di neon che ruota sopra l'Uptown Theater, la città "di sopra ", sogno sconclusionato, un solo isolato di negozi a due isolati a nord dal "centro" e il suo gruppetto di rivendite. Passano la strada del Bowling, i Sentieri dell'Atomica.
Questo è il paesaggio rispetto al quale tutti gli altri risultano deludenti. Le colline spoglie: stravaganza di marroni e grigi. I marroni argentati. I grigi ottone, rame e oro. Il Bois de Boulogne, le colline dell'Umbria, persino Seattle appena al di là delle montagne: troppo verdi, troppi alberi. I "canyons" di Manhattan: troppe cose da vedere, non riesci a vedere niente. Richland aveva cielo più di quanto fosse necessario. Il vento era il paesaggio. Il passato cancellato, il presente: polvere. Ne sento quasi il sapore. Dolcemente ne odorava la pioggia. Persino la neve era polverosa. Persino la polvere, per quanto allora non lo sapessimo, era radioattiva.





Breve storia del Sacrilegio
per la Festa dell'Assunzione


Hanford

Cosa sei andato a vedere nel deserto?
Una canna battuta dal vento?
Gli spini sono tornati nella fattoria abbandonata,
ortiche e rovi nella stalla demolita.

Trenta miglia dentro un vuoto ben custodito
fatiche di turni di notte sotto la cupola di contenimento
del reattore, miele da spremere
dalla roccia, olio dallo scisto,

una rosa che fiorisce nel deserto,
la sua nuvola di petali che esplode,
trionfale, da uno stelo di vapore–
no, cosa sei andato a vedere nel deserto?

I vostri padri nelle loro occupazioni
nei loro grembiuli bianchi e scarpe di sicurezza?
Uranio bombardato fino a renderlo dannoso,
le figlie devi cambiarti per vederle,

lì non essendoci niente da vedere?
Sull'orto abbandonato piove radio-iodio.
Una canna battuta dal vento,
cosa sei andato a vedere nel deserto?



Nagasaki

Un agosto mattina, 1945,
cielo vuoto se non per pochi aeroplani,
ali scintillanti, accecanti
nell'obliquo sole del Pacifico,

i fiori di prugna dei paracaduti
di aprivano su una città che si svegliava appena
che nel prossimo soffocato respiro
si sarebbe sollevata in colonna di fumo.

Ma non ancora. Oh, per favore, non ancora
l'areoplano che rapido vira
nella storia, vuoto,
l'acceleratore spinto contro il sole.

Che un missionario provi ancora
inni religiosi nella polvere,
che il lamento funebre della flotta aerea
sull'acqua che brucia sia ancora da cantare

dal coro degli arsi. Che fuoco e zolfo facciano piovere giù
minori flagelli nel benedire
quelli dannati a sopravvivere.



Richland


La chiesa era terribilmente calda. Fiori pallidi, dal profumo
dolciastro forzati a fiorire nel deserto,
erano gli anni Cinquanta, venivano sacrificati
sull'altare laterale ai piedi di legno della Vergine.

I condizionatori ronzavano debolmente.
L'organo provò i suoi polmoni e gemette
coprendo il monotono predicare del sacerdote.
La madre di un'allieva era svenuta ai piedi di lui ben calzati.

Il padre di un'altra aveva lasciato presto la Messa
per il primo turno al reattore.
Chi aveva bisogno dell'intercessione della madre di Dio?
L'angelo Plutonio ci teneva al sicuro.

Così celebrammo la nuova festa di precetto,
l'assunzione della Vergine in cielo,
non più opinione probabile,
che negare sarebbe bestemmia,

ma "desegretato" infine,
il suo corpo non più top secret,
da tempo sparito da una tomba sconosciuta
giustificato dai dottori della chiesa

che avvolsero un vuoto sudario attorno alla loro intelligenza:
il suo corpo fu trasportato in cielo su una nuvola,
era ormai ufficiale,
proprio come l'eretico aveva scritto molto tempo prima.

mercoledì 18 aprile 2012

Stefania Rabuffetti – poesie da "Libertà vigilata"


“Cos’è per me la Poesia?”

Ho iniziato a scrivere poesie per caso, poi è diventata una necessità. Per tirar fuori un mondo segreto che aveva bisogno di venire alla luce e per liberarmi dai demoni che mi abitavano dentro. Oggi la scrittura si è trasformata in una dipendenza, una droga malata. È per me libertà e schiavitù al contempo: non riesco a vivere senza scrivere, non riesco a scrivere perché sono incapace di vivere.




PER VENIRE DA TE


Per venire da te
ho perso il filo del tempo
l’orlo di un discorso imbastito
ha ceduto la lampo al vestito
in un dubbio di vento
il tacco è affondato
nell’asfalto infuocato
lasciandomi in equilibrio precario
il foglio con pensieri da aggiungere
è caduto di mano
inghiottito dalle labbra d’acciaio
di un tombino affamato.




NON SO VIVERE NEL MONDO


Non so vivere nel mondo
perché lui è tondo
e io quadrata
a ogni movimento batterei
di spigolo
portando a casa un gomito
o un ginocchio leso
il mondo gira
e io sono ferma nelle mie paure
angosce stagnanti
che mandano gli oceani alla deriva.




PIANETA SMARRITO


Sono un pianeta smarrito
caduto a terra
che tu hai raccolto
sono lontana anni luce
dalla maglia celeste
dal buco sottile
lasciato nell’universo
sono diversa
da quello che cerchi
un cratere piagato
da pensieri fissi
una massa intoccabile
dalla mano allungata del tempo.





SOLITUDINE


Solitudine
tu che bussi alla mia porta
senza mano
che arrivi con le scarpe
del silenzio
tu che vuoti angoli di luce
che ti appendi alle tende
delle lacrime
tu che scrivi pagine imbiancate
che ti posi sulla forza
che si spezza sottovoce.



FESSURE


Ride e si aprono ai lati
delle guance due piccole fessure
lo spazio circolare di matita
da saggiare con un dito
bottoni simmetrici
nelle pieghe di un sorriso
che si scuciono dal viso
quando l’allegria sparecchia
con la serietà del volto.


LO SO


Lo so che io spavento
forse per lo strano impasto
di anima e chimica
che mi forma
che mi vive dentro
per il pensiero
in costante ammutinamento
per voler procedere in senso antiorario
per dire a ogni costo il vero
anche se scotta
ribolle nella pentola del vivere
dove tutto si rimesta
e la verità rimane a fondo
lo so che sono scomoda
perché agisco per istinto
seguendo come un’ombra
l’impulso primitivo
che mi lancia come boomerang
sulle cose da cambiare
strappando solo attimi di vento
e piegata sulle mie complicazioni
mi chiudo nello spazio di me stessa.

domenica 1 aprile 2012

Novità Gattomerlino – Regina del silenzio di Anonimo scienziato





Regina del silenzio si muove in un’atmosfera quasi
atemporale: un’esaltazione amorosa, un sentimento
forte, radicato nel corpo, nato da “un nulla”, nella
chiara coscienza di questo nulla. Nessun riferimento a
luoghi, a vicende storiche. In mancanza di precise in-
dicazioni, risulta difficile una datazione, anche se
chiari indizi collocano questi versi a molti anni da
quelle poesie giovanili del nostro Anonimo scienziato,
raccolte dalle edizioni Gattomerlino in Dicembre 1947,
dove la data era diventata addirittura parte integrante
del titolo.


.....

Regina del silenzio è un poemetto da cui altri critici
potranno forse trarre significati nascosti, addirittura al-
lusioni, allegorie. Qualcuno vi leggerà il gioco, il ten-
tativo di seduzione. A noi piace presentarlo così, come
un’effusione, un canto sincero, che ripete l’eco di let-
ture e modelli letterari profondamente assimilati e
amati. Modelli classici che l’Anonimo autore rein-
venta e rivive, nella propria originale, ribelle e persino,
a tratti, scandalosa o scandalizzante, sensibilità, per
dare parole a una gelosa e muta ferita
.





Novembre arriva al professore insonne
Brividi umidi
Farà paziente la toilette al giardino
Esame di coscienza speculare
Occhi lucenti fendono il buio
Nella bruma autunnale del mattino
I denti forti quando sorridi obliqua
D’una cerbiatta in calore allineati
Merli di fortezza inespugnabile
Foglie morte rossastre
Moquette
D’antichi parchi
Stinta
Odor di decomposta
Materia inerte
Taccio nel silenzio solo struscio
Il piede avverte la resistenza
Di terriccio amorfo
Amore di lontano
Troppo m’hai dato
Il tuo nulla è immenso
Casto contemplo un universo guasto
Lento m’avvio alle portiere aperte
Tossisco debolmente ripensandoti



REGINA DEL SILENZIO


Vedo i Tuoi occhi la Tua mano santa
È forse un’illusione o forse un nulla
Io canto questo nulla che m’incanta

Scruta il mio corpo scrupolosamente
Vergine mia dagli occhi lucenti
La Tua carne m’è scala alla Tua mente

Scocchi infine per me il Tuo dolce invito
Non procreare né puro godere
Amare per amare all’infinito

Amarti lentamente pregustando
Un bene che nel tempo s’allontana
Con Te dentro di me vivo danzando

Se pur dovessi un dì per sempre andare
Da te lontano terra di delizie
Dolce sarebbe in Te pur naufragare

Morirti tra le braccia una mattina
Di primavera acerba rugiadosa
Dolce spirar baciando la taschina

Avvinto alle Tue membra io già vibrai
Nessuno s’avvicini alle Tue braccia
Camminerò con Te ovunque andrai

Ti penso nella notte penso forte
La notte scorre indifferente al buio
Per me Tu vali più che vita e morte

Anima mia cuor sincronizzato
Espanditi a coprirmi fin che vivo
Il Tuo profumo m’ha tutto inebriato

Delle tue eburnee braccia io devoto
Schiavo mi sento per il tempo mio
Abbracciami Ti prego colma il vuoto

Eletta mente sangue del mio sangue
L’amore di lontano è una tortura
Vieni a curar quest’anima che langue

Gaudio carnale e intellettuale insieme
Ad esplorar m’aiuti il cuore umano
Dell’avvenire nei Tuoi occhi il seme
.....

Novità Gattomerlino – L'abitino blu di Reginald Gibbons



WORSHIP


I saw him walk down to the pew
where she was sitting at the aisle

I saw him touch her shoulder
carefully, as if it had thorns

I saw her turn her surprised face up to him

I saw him lean down toward her
and in front of everyone
just as the service was about to begin
and the organist was finishing the introit
I saw him kiss her on the mouth

Then he turned and walked back
up the aisle and out of the sanctuary

He wasn't one to come to services very often

She sang the first hymn so loud

My God, her lips


HOPE


Cold wind in northern April,
nothing green yet

An orphaned world

A deep repeated note, which
if I could only hear it
would sound I am sure like
it was struck on a harp

When I was walking
I happened to look up into the bare trees

Only from where I was, just then,
could I have seen the high
more-white-than-white snow
in a shallow raw trough of pale wood
where a big limb had been
broken off by the weight of ice
during the winter we had almost left behind

A little pillow
of snow when the late snow
everywhere else had melted

A cold purity

And inquiring from a buffeted higher branch
pitching in the wet spring wind, a crow



ADVENTURE


Fucking a middleweight boxer, lying under
his body as hard as wood
till it's softened, lying on you,
your thrill the wonder of his being
gentle, careful, tender with you when
he could be a little harder,
that would be OK, he could push
you a little farther, but nothing
like hit you, no way, he could have hit you,
I'm sorry, already and hurt you badly but
that's not him at all, he's completely
the opposite—yes, quick and determined and even
after being hit in the face still smart in the ring
but in bed quiet, slow, needing encouragement
and yet you know there's always that chance
that that's the real him, that other one whom
you do adore, you see the look in the eyes
of the men and women watching him fight,
they love him or don't care about him or hate him
but they look, they watch, he has
the courage to get up in there and try to hurt
without being too hurt, with his own and only body
and no weapons, no place to hide, just
his gloved hands, these hands that grasp
your shoulder, palm your breast, move
over you and into you, you pull him down
onto you, you pull him to you with every
bit of your strength that's small compared to his
but enough to make him gasp and give up,
he won't win this one, if it's a contest
and maybe it is, you will, and he could
have hurt you any time, any time, but he didn't.


Servizio religioso

Lo vidi che entrava nella navata
al banco dove lei stava seduta

Lo vidi che le toccava la spalla,
con circospezione, come vi fossero spine

Vidi lei alzare verso di lui il volto sorpreso

Vidi lui inchinarsi su lei
e di fronte a tutti
nel momento che la funzione stava per cominciare
– l'organista aveva concluso l'introito –
vidi lui che la baciava sulla bocca

Poi si girò e tornò indietro
alla navata e fuori dalla chiesa

Non era tipo da andare spesso alle funzioni

Lei cantò il primo inno a voce così alta

Mio Dio, le labbra di lei!





Speranza

Vento freddo di nordico aprile
niente di verde ancora

Un mondo rimasto orfano

Una nota profonda ripetuta che
solo avessi potuto udirla
sono sicuro sarebbe risuonata
come pizzicata su un'arpa

Mentre camminavo
per caso guardai in alto tra gli alberi spogli

Solo allora, da lì dove ero,
potei vedere in alto
bianco–più–bianco–della–bianca–neve
nel cavo umido di pallido legno
dove un grosso ramo era stato
spezzato dal peso del ghiaccio
durante l'inverno che ci stavamo lasciando alle spalle

Un piccolo cuscino
di neve quando l'ultima neve
dovunque s'era disciolta

Una fredda purezza

E osservando da un ramo più alto che oscillava
dritto contro il vento dell''umida primavera, un corvo.



Un' avventura

Farsi fottere da un pugile peso medio, stesa sotto
il suo corpo duro come legno
finché si ammorbidisce, disteso su di te,
il tuo brivido, la meraviglia del suo essere
gentile, attento, tenero con te mentre
potrebbe essere un poco più ruvido
andrebbe benissimo, potrebbe spingerti
un po'oltre, certo non colpirti,
no davvero, mi spiace avrebbe potuto
già colpirti e averti fatto male ma
lui non è affatto così, lui è proprio
l'opposto – sì, rapido e determinato e persino
dopo essere stato colpito in pieno viso ancora pronto sul ring
ma nel letto tranquillo, lento, bisognoso d'incoraggiamento
e tuttavia, sai, c'è sempre quella possibilità
che il vero lui sia l'altro, quello che adori,
guarda gli occhi di donne e uomini
fissi su di lui mentre combatte,
loro lo amano, gli sono indifferenti o lo odiano
ma lo guardano, lo stanno a guardare, lui
ha il coraggio di entrare lì e impegnarsi a far male,
senza aver sentito troppo male, con il suo corpo e solo con quello
senza armi, senza ripari, solo le sue
mani guantate, quelle mani che stringono
la tua spalla, che palpano il tuo seno, si muovono
sopra di te e dentro di te, tu lo attiri
a lo spingi contro di te con tutta
la tua forza che è poca in confronto alla sua
ma sufficiente a farlo ansimare e acquietarsi;
se è una lotta, e forse lo è, lui non la vincerà
questa, tu la vincerai, e avrebbe potuto
quando voleva farti male, quando voleva,
ma non ti fece male.