venerdì 28 agosto 2009

Piera Mattei– per Galilei nel quarto centenario della sua prima osservazione del cielo





Era appunto l'ottobre 1609.
Nel 1611 Galilei divenne membro dell'Accademia die Lincei. Nelle foto, a Roma, la zona e il palazzo allora sede dell'Accademia, in via della Maschera d'oro, dove era nato Federico Cesi, fondatore dei Lincei.

La cultura occidentale raggiunse una punta massima allora, quando qualcuno volle esibire la sua convinzione che l'intelligenza applicata allo studio della natura può e deve liberamente affermarsi, senza che da questo derivi alcun male per l'umanità.

Sembrerebbe una convinzione del tutto accettabile, eppure la storia dimostra il contrario, e guardando a quanto succede oggi non ci siamo molto allontanati dai tempi in cui, come osservava con aguzza polemica Galilei, si attribuiva il diritto di giudicare della scienza chi ne fosse completamente digiuno: "ammettere che persone ignorantissime di una scienza o arte abbiano ad esser giudici sopra gli intelligenti, e per l'autorità concedutagli sian potenti a volgergli a modo loro".

Galilei, appunto. Che riconosciamo oggi, nel quarto centenario delle sue esplorazioni celesti, grande non soltanto né soprattutto per le sue scoperte astronomiche e le sue invenzioni ottiche, per avere fondato una meccanica nuova, quanto forse per questa sicurezza nell'affermare i diritti "naturali" della mente.
Galilei usa molto il concetto di verità e certezza, ma lo usa in maniera rivoluzionaria. Per la Chiesa è vero ciò che lei stessa ha stabilito come tale. Ai tempi di Galilei, era l'autorità di Aristotele.
Per Galilei è vero quanto la ragione dimostra tramite l'esperienza. Che può anche sbagliare ma l'errore va dimostrato nuovamente in base all'esperienza e del confronto non sulla base dell' "Ipse dixit".

Rimase incrollabile in questa certezza, con una forza che oggi gli intellettuali non hanno o non hanno più. Purtroppo i diritti della ragione, anche affermati da uno spirito religioso quale indiscutibilmente Galilei era, continuano dopo quattro secoli a essere ignorati, se non direttamente posti in discussione facendo prevalere non, come qualcuno dice, i diritti della religione, ma quello dei potentati delle varie chiese.