venerdì 20 dicembre 2019

PREMIO UGO FANO GIOVANI 2019 - CORRADO ANDREA MOSCONI




COMMMENTO A:
“I Ragazzi di Via Panisperna” di Gianni Amelio
 4^scientifico A, Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II, Roma
Il film “I Ragazzi di Via Panisperna” ha fatto vibrare dentro di me molte corde: non perché sono un intenditore cinefilo, ma perché sono un ragazzo profondamente appassionato di matematica. Alcune tra le prime scene del film – quella in cui Ettore Majorana, esasperato dalla poca eleganza con la quale un professore svolge un calcolo durante una lezione, lo apostrofa con: “se qualcuno trattasse lei come lei tratta la matematica, finirebbe in galera” e un’altra, poco dopo, mentre fa la conoscenza di Fermi in occasione di una sfida di calcolo e gli dice: “in realtà a me piace la matematica ma mi dà fastidio che tutti se ne servano” – fanno immediatamente sentire allo spettatore l’amore feroce e possessivo di Ettore per la materia. I posteri lo ricorderanno per i suoi contributi alla fisica ma dal film io porterò come ricordo la sua passione per la matematica.
Gianni Amelio affronta moltissimi temi su cui riflettere e uno dei più centrali è certamente il rapporto tra Ettore ed Enrico. Nel ritratto dei due protagonisti il regista mostra gli opposti esiti di uno stesso intenso percorso di vita votato alla conoscenza. Entrambi sono uomini geniali ma affrontano la vita in modo diverso per via delle loro storie personali e delle loro personalità. Stabile, positivo, costante e concreto l’uno, quanto tormentato, introverso e mancante di buon senso l’altro.  Il primo finirà per vincere il Premio Nobel e scegliere di non “avere rimpianti”, continuando a vivere a pieno la propria vita di uomo e di scienziato; l’altro continuerà a dilaniarsi e a distruggere il proprio lavoro (atto paragonato da Fermi all’assassinio di un figlio) e a fare una fine da emarginato e disperato. Eppure sono legati da un profondo legame di affetto e amicizia. La mia opinione è che ciò che li lega così fortemente sia l’enorme e reciproca stima dell’intelligenza altrui. La differenza di età tra i due è pochissima e malgrado il loro rapporto inizi con Enrico come professore di Ettore, ben presto si troveranno su un piano di parità.  Anche mio fratello, Alberto, di poco meno di quattro anni più grande di me, è un brillante studente di fisica in una prestigiosa università americana.  Fino a poco tempo fa è stato per me il migliore degli insegnanti e tutt’ora il più prezioso dei consiglieri. Ora, però, ci confrontiamo quasi alla pari su temi scientifici, matematici e di vita, parlando per ore e estraniandoci da tutto e da tutti. E malgrado la distanza fisica, di età e i nostri caratteri alquanto diversi, siamo migliori amici.
Un altro importante aspetto del film è, a mio parere, quello psicologico che permea molte delle vicende, come per esempio la fragilità emotiva di Ettore o le insicurezze di Enrico. In questo contesto, sono anche tanti i riferimenti del regista al rapporto di Majorana con la madre, che si intuisce essere molto complicato.  Il sogno di Ettore adulto che ricorda in forma di incubo la scena di lui piccolo che deve esibirsi suo malgrado di fronte alle signore amiche della madre, come se fosse un animale da circo mi ha fatto molta tenerezza, in quanto anch’io da piccolissimo ero molto bravo con i calcoli complessi a mente e, a volte, anche i miei genitori si inorgoglivano a farmi dare dimostrazione delle mie capacità con i grandi – ma a me, per fortuna, ha lasciato solo il ricordo di un gioco divertente. E poi ancora Ettore che dice, “è mia madre che dispone della mia vita, ma io la lascio fare”, altra frase che fa intuire un legame manipolatorio; e ancora, la felicità di quando si trasferisce a casa di Enrico e Laura per qualche giorno e non vuole far sapere alla madre dove si trova.  Tutti spiragli di un rapporto complesso che deve aver segnato non poco Ettore. Anche con la scena di Ettore che, per scherzo, porta alla festa la cugina presentandola come la sua fidanzata, il regista vuole forse accennare a qualche difficoltà di Majorana con le donne.
Un tema ancora oggi attualissimo affrontato dal regista è il ripetuto evidenziare il problema del reperimento di finanziamenti per la ricerca, specialmente per un campo così innovativo - ed è incredibile come nulla sia cambiato da allora. Anche oggi le scuole e le università faticano a far capire ai nostri politici quanto sia fondamentale investire soldi sull’educazione e sul sostentamento della ricerca. Penso che il problema sia che i risultati di un investimento sull’istruzione si vedano solo a lunga scadenza e purtroppo nella politica non c’è spazio per la lungimiranza – poi, però, non ci possiamo stupire della fuga di cervelli, come in fondo avviene anche nel finale del film con Fermi che emigra negli USA. Vediamo come è solo grazie agli sforzi continui del Prof. Corbino, con le sue doti diplomatiche e i suoi contatti politici, che i ragazzi di Via Panisperna ottengono fondi sufficienti per andare avanti con i loro studi, “persino i miracoli costano”!  Ho trovato buffa e significativa la scena (che si ripete due volte nel film) in cui Enrico, vedendo una foto incorniciata di Ettore vestito con un pomposo abito da gala per un evento ufficiale, prende in giro il suo amico, quasi offendendolo dandogli del ridicolo. Enrico per tutta risposta, gli risponde con la sua solita serenità che “è solo un piccolo sacrificio che però aiuta a far raddoppiare i fondi per la ricerca”. Qui ancora vediamo il solido buon senso dell’uno e l’insofferenza ribelle dell’altro. 
Oltre alla politica come mezzo per ottenere fondi, c’è anche la politica del regime fascista che fa da sottofondo a tutto il film.  Dalla voce fuori campo all’inizio che esaltano la razza italiana, fino alla fine quando sia Fermi (per via della moglie ebrea) che altri scienziati del gruppo di Via Panisperna e da tutta Europa dovettero scappare per via delle leggi razziali.  Chi capisce e ama la scienza, invece, sa che avanza quasi sempre grazie al gioco di squadra, grazie alla collaborazione di menti eccelse che vedono solo la necessità di collaborare per arrivare alla conquista di nuove scoperte e nulla hanno a che spartire con assurde questioni di razza. A un certo punto nel film si ribadisce il concetto che come uomini di scienza gli esseri umani sono tutti uguali, all’opposto di dove c’è un solo uomo al commando, riferendosi a Mussolini immagino.  Per fortuna, oggi, ovunque ci sia la volontà di imparare e scoprire grandi cose, come per esempio nelle Università, al Cern, nelle missioni spaziali, nelle basi scientifiche in Antartica, si cerca di mettere insieme le menti più diverse per aumentare il fermento di idee.
L’amore per la fisica o per la matematica sta dentro all’animo e richiede dedizione, tempo e sacrificio – ma tutto questo sforzo è ripagato dalla soddisfazione della scoperta, dalla conoscenza e dall’appagamento della curiosità. La scelta dei colori della fotografia nel film mi ha molto colpito: tutto sui toni dei grigi e dei marroni. Infatti, per chi è curioso, ambizioso, appassionato non servono “trucchi” per superare le difficoltà di una vita di studio perché la ricompensa è già nel percorso.  Gianni Amelio riesce perfettamente a trasmettere questo vigore intellettuale anche senza colori forti.  La scena nell’Osservatorio, quasi in bianco e nero, dove Fermi esprime a Majorana la sua eccitazione all’idea di penetrare il segreto del nucleo paragonandolo alla conquista di una stella e all’appropriarsi della sua energia, è una scena pazzesca che non può non emozionare qualsiasi giovane che ambisca a grandi cose nel mondo della matematica o delle scienze. L’estate scorsa ho avuto la fortuna di vincere una borsa di studio per un programma di matematica avanzata, “Ross Mathematics Program”, a Columbus nell’Ohio, dove per sei settimane ho studiato Teoria dei Numeri.  Non facevamo altro che fare dimostrazioni, sempre più approfondite, dalla mattina alla sera tardi, compreso il fine settimana, non dando mai niente per scontato neanche le premesse più semplici.  Il motto era “Think deeply of simple things” (pensa in profondità a cose semplici).  Ebbene, in quelle settimane, e anche quest’anno allenandomi tante ore al giorno nella solitudine della mia stanza per le gare delle Olimpiadi della Matematica, ho forse potuto intuire cosa vuol dire perdere il contatto con la realtà, con le cose che ci circondano e immergersi pienamente in un sogno – che spero che un giorno diventerà la professione della mia vita.
Purtroppo l’immersione totale può diventare ossessione se non si hanno delle basi solide, come una famiglia amorevole, una personalità stabile, la salute e una buona dose di umiltà. Tutte cose che a Ettore purtroppo mancavano.  E qui arriviamo al nodo fondamentale: la scomparsa di Ettore.  Non penso che Gianni Amelio abbia voluto dare un’interpretazione univoca al mistero che tutt’ora avvolge la scomparsa di Ettore Majorana.  A me è parso però che l’idea che più spesso affiora sia quella che, nella sua genialità assoluta, Ettore avesse intuito prima degli altri che gli esperimenti di Via Panisperna avrebbero portato alla fissione del nucleo e poi, inevitabimente, alla realizzazione della bomba atomica. Questo tormento angoscioso si coglie principalmente dalla bellissima scena nella campagna siciliana dove Ettore parla con il suo vecchio amico prete e intravede un “miracolo orribile” in cui la terra verrà distrutta, finiranno i semi e si morirà di fame. Il Prete ci ride su, ma Ettore dice “qualcuno questo potere ce l’ha ma è cieco”, riferendosi probabilmente alle ricerche sulla fissione di Enrico.  La scomparsa quindi, per suicidio o per scelta di nascondersi, come conseguenza del non voler partecipare a un piano criminale.  Anche le due scene di quando brucia i suoi appunti – una volta per dispetto ad Enrico che aveva chiamato la madre di Ettore per avvertirla che lui era ospite a casa Fermi, e una volta in Sicilia dopo aver lavorato sul progetto che Fermi gli aveva lasciato – sembrano voler dire che lui conosca la soluzione agli enigmi dell’atomo ma non voglia divulgarla per paura di essere complice di un futuro disastro. 
Purtroppo in un disastro Ettore è, suo malgrado, coinvolto ed è uno dei momenti a mio parere più terribili del film. Quando Ettore si trova in Sicilia ed inizia ad insegnare l’aritmetica ad una bambina di una famiglia contadina e molto ignorante.  La bambina si appassiona ai suoi compiti intuendo forse che è un modo per emanciparsi; ma un giorno, trovandosi all’aperto e stanca di dover sempre accudire il fratellino, lo lascia piangere disperatamente pur di non interrompere i suoi calcoli sul quaderno. Il bambino morirà bruciato dentro casa per via di un incendio di cui nessuno si era accorto.  Non so bene che senso abbia voluto dare il regista a questo episodio terribile, ma forse dall’ottica un po’ alienata di Ettore può essere letto come una metafora del pericolo del sopravvento della voglia di conoscenza sulle responsabilità verso l’umanità.

Di questo film ricorderò anche l’ironia e la bontà di Ettore Majorana, la sua fragilità, la pena che ci fa provare Amelio nel condividere con Ettore la sua angoscia e insofferenza a vivere in un mondo che a lui appare rallentato in confronto alla sua velocità di pensiero supersonica e alle sue capacità immense. Ma la nota positiva con la quale vorrei concludere, è che il film ci insegna che si può essere grandi, anzi grandissimi anche senza soffrire i tormenti dell’inferno – ed Enrico Fermi ne è l’esempio.

PREMIO UGO FANO e UGO FANO PER I GIOVANI




Venerdi 20 Dicembre  2019 nell'Aula Marconi del CNR, nel p.le Aldo Moro 7, ha avuto luogo la cerimonia di consegna della Medaglia d'oro Ugo Fano ai due scienziati

Gabriel Aeppli                   Laurens W. Molenkamp
che nei loro esperimenti, manipolando la materia quantistica, hanno realizzato nuovi dispositivi elettronici, confermando le teorie dei fermioni di Majorana e delle risonanze di Fano, aprendo così nuove prospettive alla realizzazione di computer quantistici.

La consegna delle medaglie d'oro Ugo Fano ha avuto  luogo all'interno dell' Ugo Fano Symposium: "Fermioni di Majorana e Materia Quantistica per la Computazione Quantistica" che si è svolto nell'Aula Marconi, dalle ore 9 alle 18,30 con le relazioni di Luciano Maiani, Massimo Inguscio, Simone Montangero, Alessandra Lanzara, Chiara Macchiavello, Roberta Citro  ed altri.

Il tema del Symposium è stato il contributo di Ettore Majorana e Ugo Fano alla nuova rivoluzione quantistica del XXI secolo, con l'emergenza della fisica quantistica nelle nuove tecnologie.

Anche quest'anno il premio Ugo Fano ha previsto una sezione Ugo Fano Giovani, rivolto dalla Gattomerlino edizioni agli studenti degli Istituti Medi Superiori che hanno accettato l'invito di svolgere un commento libero al film "I Ragazzi di Via Panisperna", di Gianni Amelio del 1989.
A tutte le scuole che hanno risposto all'invito è stato consegnato un Diploma di Partecipazione. 

Diplomi ad personam sono stati assegnati  per gli elaborati più originali a:
Flavia Neri IV A Liceo scientifico IV  "Renato Donatelli" di Terni 
per la particolare attenzione all'ambiente e il complesso dell'attività scientifica nel cui ambito la vicenda dei due protagonisti si snoda, e per aver  sottolineato il contributo degli scienziati italiani al progresso scientifico mondiale

Francesco Marziali I Liceo Scientifico "Temistocle Calzecchi Onesti" di Fermo
per l'interesse già dai primi anni della scuola superiore, verso la tematica e la materia, che anticipa i tempi dello studio curricolare

Franco Tramentozzi IV B Liceo scientifico "E. Majorana" di Latina 
per la sintesi chiara e scorrevole della sua lettura del film

Il primo Premio Ugo Fano Giovani è stato assegnato a:

Corrado Andrea Mosconi  IV Liceo scientifico- Convitto nazionale Vittorio Emanuele II, Roma con la seguente motivazione:

Nel suo elaborato Mosconi da un lato rivive la passione feroce, la gelosia possessiva di Majorana per la Matematica con il quale sembra identificarsi, dall'altra modera quel sentimento conciliandolo con la saggezza che attribuisce alla mente non meno geniale di Fermi.
Questa identificazione nella forza dei personaggi è espressa da Corrado Andrea Mosconi in uno stile scorrevole e coinvolgente, con riferimenti alla sua personale attività di giovanissimo studioso della materia.

Al vincitore viene assegnato il diploma di vincitore del premio, un voucher per l'acquisto di 5 volumi a sua scelta tra quelli dell'intero catalogo Gattomerlino edizioni, la pubblicazione dell'elaborato sulla rivista on-line "Lucreziana 2008" che ci accingiamo a eseguire nel prossimo post. 

L'evento è stato sponsorizzato da:
Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Cristallografia, Istituto per la Microelettronica
Università di ROMA TRE
Università di Camerino
Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Laboratori Nazionali di Frascati
Accademia dei XL
European Accademy Eurasc
SISSA di Trieste
Università La Sapienza, Dipartimento di Chimica
Latvian Academy of Sciences
Superstripes, Rome Int.Centre Materials Sciences

mercoledì 11 dicembre 2019

Presentazione del romanzo lettone di Osvalds Zebris "All'ombra della collina dei galli" – Mimesis edizioni

Sintesi dell'intervento a Più libri più liberi
4 dicembre 2019
di Piera Mattei

Il progetto di questo romanzo nasce nell'ambito del progetto Noi. Lettonia XX Secolo voluto dalla scrittrice Gundega Respe,  al quale hanno aderito 13 scrittori che intende fare riferimento a documenti storici senza per questo imbrigliare la fantasia degli autori.


Anzitutto vorrei spiegare perché la responsabile delle edizioni Gattomerlino è qui a partecipare alla presentazione del libro di Mimesis edizioni, insieme al traduttore del libro.
 Il motivo è che sono stata contattata come amica e conoscitrice della cultura lettone e di orizzonti della cultura baltica in generale. Era un riconoscimento all'attività che abbiamo svolto con incontri sulla poesia lettone, nella splendida Biblioteca Nazionale di Riga e con traduzioni e pubblicazioni di un grande poeta lettone quale Juris Kronbergs. 
A proposito di nuovi orizzonti l'interesse della nostra casa editrice, sin dalle primissime pubblicazioni, si è rivolta a quell'Europa orientale, che rimane per molti ancora  un territorio non ben illuminato dagli studi  curriculari di storia. Una letteratura certamente giovane, ma proprio per questo con voci originali, con riferimenti alla formazione di un'identità letteraria recente, ma  profondamente sentita.

Veniamo quindi al romanzo. "All'ombra della collina dei galli" può essere letto in molti modi.
Se si ignorano le note a piè pagina può essere persino letto come un romanzo psicologico o un romanzo a intreccio. Ma quelle note a piè pagina, che fanno di questo libro un a lettura polivalente, c'introducono ai personaggi reali e ai luoghi reali dove nel 1905 e l'anno successivo si svolsero eventi storici per la Lettonia. Il 1905 infatti, in Lettonia, propagandosi proprio dalla Russia  con l'attacco al palazzo d'inverno a San Pietroburgo, è l'anno di una violenta rivolta contro il potere zarista. Nell'anno successivo, nel 1906, in quel Natale 1906 sul quale si apre il racconto, a Riga tutto appariva già sopito se non dimenticato.
Il racconto si apre sul rapimento di tre bambini, strappati da un cupo individuo alla giostra. Chi è quel cupo individuo? Perché compie quell'atto, senza, in apparenza, voler fare del male ai bambini , o chiedere, come in casi analoghi, un riscatto in cambio della loro restituzione? La risposta a queste domande comporta un lungo racconto che si muove dal presente, cioè al 1906, sul quale si apre l'azione, al 1905 al quale va la ricostruzione dei fatti nella penna del protagonista, ma spazia a date anche precedenti, con molteplici flash back sul passato, a un'infanzia e a una giovinezza nella quale il carattere del protagonista si forma.

Siamo quindi in un romanzo storico con sfumatore di giallo, ma, come accennavo all'inizio, anche dentro un romanzo psicologico. Infatti il romanzo può essere letto anche come la storia di un doppio, ammirato prima e poi progressivamente , nell'adolescenza e nell'età adulta, odiato.   Il protagonista Rudis ha infatti un amico, Arvids, ma mentre lui con la sua fattoria vive in basso l'amico vive in alto, sulla collina dei galli appunto, e quella non è che la metafora del loro rapporto. Perché Arvids in tutto si dimostra superiore a lui, anche se protettivo e fraterno. Proprio questa posizione sarà quella che produrrà un fastidio esistenziale al protagonista, un'invidia che s'insinuerà in lui come un veleno. La rivolta contro il potere dell'anno 1905  diventa così anche l'occasione di affrontare l'amico. Ma il protagonista si sdoppia anche nel senso più strettamente clinico del termine perché, stravolto dal senso di colpa per l'uccisione involontaria ma gravissima di un bambino, la sua mente si spacca in due, nella malattia mentale.
Nel quadro storico che si disegna ha un ruolo importante, fin dalle primissime pagine, il losco antisemitismo che si basa sulla falsa scoperta dei Protocolli dei savi di Sion, per cui la scomparsa di tre bambini può essere imputata, da un membro della polizia, alla comunità ebraica e alla loro consuetudine di riti sanguinari. 
Intorno  ai due protagonisti si muove un gran numero di comparse. Il bene e il male non sono mai del tutto da una parte soltanto. I bulli della scuola diventano compagni di lotta, una donna accende la rivalità tra due uomini. I maestri si battono perché non si appanni l'insegnamento della lingua lettone nelle scuole.
Il romanzo riserva nell'intreccio romanzesco anche colpi di scena che non è bene qui rivelare.



Nelle foto, da sinistra a destra: Osvalds Zebris, l'Ambasciatore  Aboltina, il traduttore Paolo Pantaleo, Piera Mattei