lunedì 26 dicembre 2016

La voce limpida e appassionata di Elio Pecora – Festa di compleanno a Gattomerlino Spazio



Il 23 dicembre a Gattomerlino Spazio festa per il sesto compleanno di Gattomerlino edizioni.  C'erano in programma musica, letture, proposte e propositi per il 2017, e tutto si è svolto al meglio, secondo i piani.
Elio Pecora  aveva accettato l'invito a venire e a cantare, solo mi aveva chiesto "Trova chi mi accompagni alla chitarra!" Così  ho invitato il grande chitarrista Sergio Saracino, che, in un primo tempo, ha eseguito brani del suo repertorio spagnolo e ispanamericano, poi ha accompagnato il nostro poeta nell'esecuzione delle più belle canzoni classiche napoletane.
Nella sala la voce limpida e appassionata di Elio ha lasciato a lungo un'emozione vibrante e grata.

Ho poi invitato Cetta Petrollo a leggere alcune pagine del suo libro più recente "All'epoca che le fanciulle", anzi le ho chiesto di leggere le pagine che nel libro sono relative alle date del 23 e 24 dicembre, pagine che alla loro originale, geniale e pseudoinfantile maniera,  ci hanno immerso nell'atmosfera della stagione natalizia.

Anche io ho voluto leggere alcune poesie di un poeta che ho pubblicato nel dicembre di un paio di anni fa, Dan Opus Lepidus, un immigrato romeno che ha lasciato però l'Italia. Ho letto quelle poesie  perché sono convinta che il suo libro sia il più bello dell'intera serie dei "Quaderni di pagine nuove".
Siamo quindi passati ai propositi per il 2017. Si sono presentati una bella varietà di artisti, fotografi, enigmisti, fisici, scrittori.
Ma per cominciare la programmazione del 2017, il giorno 17 gennaio ci sarà la lettura, con accompagnamento musicale alla fisarmonica, di "L'abitino blu" di Reginald Gibbons, poeta americano contemporaneo pubblicato da Gattomerlino edizioni.

A TUTTI AUGURI PER UN SERENO E INTENSO 2017!

FOTO DINO IGNANI

venerdì 2 dicembre 2016

Cetta Petrollo scrive su "DOCUMENTI DI VIAGGIO" di Juris Kronbergs




Dopo le storiche collane del secolo scorso di Scheiwiller (Poeti stranieri tradotti da poeti italiani), delle Edizioni della Meridiana, di Lerici (Poeti europei a tradurre i prestigiosi nomi di Angelo Maria Ripellino, Joyce Lussu, Roberto Sanesi e Renato Poggioli) e l’attività di pubblicazione di poesia straniera di Garzanti, Mondadori ed Einaudi, oggi lo spazio editorialmente dedicato alla traduzione si è notevolmente ridotto – ma parallelamente si è ridotto, se non scomparso, anche lo spazio dedicato alla poesia. Crocetti e Marcos y Marcos rappresentano coraggiose eccezioni, come la qui presente Gattomerlino di Piera Mattei che tenacemente continua a realizzare un importante lavoro di diffusione nel nostro paese di autori stranieri contemporanei.
Nella bella collana serie blu dove sono stati pubblicati i due libri di poesia di Juris Kronbergs, Lupo Occhio solo e Documenti di viaggio, sono in catalogo anche autori come la russa Elena Fanajlova,  la statunitense Eleanor Wilner  , l’olandese Erik Lindner, lo spagnolo Javier Vicedo Alós , la boliviana Norah Zapata-Prill, la finlandese Henrika Ringbom a testimonianza della costante curiosità di Piera  e della sua passione per la poesia.
Piera generosamente ci offre questi gioielli nelle sapienti traduzioni di poeti e linguisti italiani, Fiorenza Mormile, Anna Robustelli,  Claudia Scandura, Antonio Bux per citarne alcuni, in qualche caso traducendo lei stessa come avviene, appunto, in questo Documenti di viaggio di Kronbergs, poeta  attivo da più di quarant’anni con dodici raccolte di poesia ed instancabile traduttore, ricordiamo almeno la sua traduzione dallo svedese del premio Nobel per la letteratura, Thomas Tranströmer.

Non sono una conoscitrice e un’esperta di poesia straniera contemporanea, solo una lettrice di poesia soprattutto italiana – in questi ultimi due anni anche di più – data la quantità di libri che concorrono al premio nazionale intitolato ad Elio Pagliarani, leggo, quindi, questo Documenti di viaggio cercando di confrontare le poesie di Juris con le tendenze della poesia contemporanea italiana.

Una prima osservazione: in questi versi non troviamo gli schemi della tradizione, il controllo del ritmo attraverso l’architettura del metro ai quali si avvicina – in ricerca consapevole o meno - molta parte della poesia italiana degli ultimi venti anni e nemmeno il ricorso alla citazione letteraria – poesia che si fa con la poesia in costruzione e decostruzione dell’ingombrante eredità dei padri.
Non troviamo nemmeno la pervasiva effusività linguistica che adopera il repertorio degli stilemi amorosi in una voluta antipolitica della poesia e nemmeno la corporeità di uno spartito che attende di essere eseguito per voce.
Tutto ciò è estraneo alla poesia di Juris della quale tento di cercare interne ricorrenze così come ci si presentano nella traduzione di Piera.
È “un giorno particolarmente immobile” quello di Juris dove i passanti trascorrono fra le stagioni in un catalogo naturale di nomi che dipingono immagini, dove “la dittatura dei sogni” senza costrizioni marca il tempo della politica e della storia in un viaggio documentato dai percorsi personali e pubblici.
È il tempo interno che governa l’andamento del mondo, un tempo che vince sugli accadimenti e li interpreta poiché “una sera quando lasciai la mia stanza/ quella mi seguì/ nessun veto poteva portarvi scompiglio/ nessun sole rischiararla/ nessuna pioggia inondarla”
Il tempo seguita ad essere immobile (“a causa mia il tempo restava immobile”) in una nozione che ci rimanda alla definizione qualitativa di Kairos e a quella agostiniana di " distensio animi " il distendersi dell'anima che dà la misura del tempo, agli eventi “numinosi” di Jung.
La poesia, dunque, narra gli avvenimenti che accadono “sincronicamente” e ci rende la loro luce improvvisa, la sacralità del loro momento immobile all’interno della coscienza: “Notte è un quieto suono di pianoforte/ con la tendenza a premonizioni di sonorità profonde/ nei bassi suonati dalla sinistra/ che facilmente vincono/ le vacillanti terzine della destra” giacché “ il tempo/ fuggendo via/ e rimanendo immobile/ come musica/ come note sullo spartito”
Le apparizioni lungo il viaggio immobile dell’io sono limpidi  oggetti naturali, la lumaca affronta il sentiero dell’autunno , la morte appare come un grande pomodoro rosso (“ la notte è blu-scuro/ ma proprio sopra la corda dell’orizzonte/ c’è un grande pomodoro rosso”), il paesaggio è una geografia intima che scoppia nella visione ( “Sotto il pontile vedo/ nell’acqua il cielo/ sento il fruscio d’ali/ sento la mia geografia”), il poeta diventa una scura notte d’estate che attrae il giorno, la mezzanotte è mezzanotte dell’anima (“ notti d’estate/ scure come giorni d’inverno/ e io divento come loro […] la notte sta attraendo il giorno/ l’orologio segna le tre:/ mezzanotte dell’anima”)
In questa nozione del tempo gioca forse, come acutamente sottolinea Piera Mattei nella postfazione a Documenti, l’identità di confine di Juris, il suo essere “nato in Svezia da genitori lettoni, profughi”, un’attitudine allo spaesamento e alla erranza che solo la radice del proprio tempo interiore può contribuire a comporre.
E, nella immobile erranza del viaggio, cosa ci dicono, infine, i versi di Juris? Cosa ricorre incessantemente e libera con leggerezza e freschezza il nostro sentire? Juris affresca ciò che in questi anni tormentati e cupi abbiamo omesso di guardare, in una lenta sparizione dalla nostra coscienza letteraria e umana di quella che, per utilizzare la definizione di Ennio Cavalli, è la “cosa poetica” : “Perché la chiamo cosa poetica? Perché come “cosa” è tutta da definire. E poi per evitare il peso, il ricatto, il pennacchio della P maiuscola. Non sarà la fissità della Poesia con la maiuscola a spuntarla. È troppo impettita e sicura di sé, per fidarsi delle cose raccolte per strada. 
Juris Kronbergs, per dirla con Cavalli, raccoglie "fasci di vibrazioni" le ricombina "con ambiguità e sfrontatezza. Trasforma in poche mosse la cosa poeica in poesia. Non tutti ne sono capaci. Non tutti possono essere poeti, neanche se puntano i piedi".

Nella foto di Dino Ignani: Durante la presentazione di Documenti di Viaggio a Gattomerlino Spazio  il Trio Improvviso ringrazia il pubblico

venerdì 25 novembre 2016

"Documenti di Viaggio"di Juris Kronbergs a Gattomerlino Spazio–breve cronaca di Piera Mattei


Ieri, 24 novembre 2016, al Gattomerlino Spazio abbiamo presentato la raccolta di poesie "Documenti di viaggio" di Juris Kronbergs nella traduzione di Piera Mattei, alla presenza di graditi ospiti lettoni: S.E l'Ambasciatore di Lettonia in Italia Artis Bertulis, sua moglie Esmeralda, e Zanete Vevere Pasqualini.

L'autore, il poeta Juris Kronbergs, non aveva potuto essere con noi per leggere le sue poesie, ma tra il pubblico Mariella de Santis ha espresso l'esigenza di ascoltare ugualmente la lettura delle poesie nella lingua originale. 

E così Esmeralda Bertule, fuori programma, si è proposta come lettrice. Mi ha poi spiegato che la lunga conoscenza dell'autore e la sua frequentazione aveva reso per lei abbastanza semplice quel compito.  Tanta spontaneità e generosità ha reso l'atmosfera ancora più calda e amichevole.





Infine mentre dal palco i musicisti del Trio Improvviso replicavano le note dolci e ballabili della Valse mélancolique del musicista lettone Emils Darzins abbiamo aperto un paio di bottiglie di spumante per brindare alla poesia e alla musica.  






Poco fa poi mi raggiunge l'email di Juris...

Dear Piera,
yesterday I was sad that I couldn't be in Rome for the book-presentation. But this morning I received a very nice report of the event from Artis Bertulis - with pictures - and I felt a little better!

A while ago I went to the local tobacco store (our post-office nowadays), to get the book-package from you. And now I feel good again!

The book is very beautiful! I'm very happy, thankful and honored for your fantastic work! As far as I can see you have done a wonderful job again! 
Big, big thanks to you! 
Tomorrow I will by a bottle of Italian wine and raise my glass to your health!

Warm greetings also to Antonio!

Much love,

Juris

Così ho capito che, non proprio come fosse stato fisicamente con noi, ma certo, benché a migliaia di chilometri di distanza, siamo riusciti a trovarci in perfetta sintonia


Foto di Antonio Bianconi

mercoledì 16 novembre 2016

GATTOMERLINO SPAZIO – 12 novembre 2016 –Presentazione del libro "leggere la disabilità" di Martina Naccarato




Si è trattato di un incontro che ci ha immerso in un'atmosfera serena e profonda.

Martina era arrivata da Arezzo con amici e familiari, tutti fan del suo coraggio e della sua simpatia, di cui anche noi siamo profondamente ammirati. Chi scrive, Piera Mattei, responsabile per le scelte di Gattomerlino edizioni e curatrice del libro ha presentato "Leggere la disabilità", prendendo le mosse dalla serie d'incontri e coincidenze che hanno messo la Gattomerlino edizioni in contatto con la tesi di laurea, assegnata dalla prof. Ernestina Pellegrini dell'Università di Firenze e preziosa amica, a Martina Naccarato. Pierluigi Lenzi e la sua raccolta di poesie, "Ti aspetterò alle otto", pubblicato da Gattomerlino edizioni nel 2015 è stato un essenziale tramite poiché Martina, su suggerimento della sua relatrice,  all'interno del suo lavoro ha riservato uno spazio di commento a quella raccolta.

Stefania Leone è stata poi al centro di un dibattito sulla visione, trasportando il pubblico attentissimo in un appassionante confronto tra la visione  dei sensi e quella della mente. Ci ha parlato dei colori sognati  o ricordati, della sua volontà, lei che ha perso la vista alla fine dei suoi vent'anni, di mantenere vivo il ricordo di un mondo di immagini a colori.
Durante la sua testimonianza tornavo col pensiero al mio racconto "Nord" dove sono protagonisti due amici, un cieco e un daltonico, impegnati a "capire" i colori e ad adattarli sulle tele che dipingono. Il racconto apparirà nella raccolta " La tromba e la pianola", ora in corso di stampa e chiederò a Stefania Leone di essere disponibile ancora per commentarlo insieme.

Hanno arricchito il dibattito Laura Anfuso, notissima esperta di libri tattili. Ci ha mostrato libri da toccare sì, ma si dà il caso, anche bellissimi da vedere. Lo psicologo Sandro Montanari ha concluso aggiungendo il contributo della sua militante e intellettuale esperienza, in un clima generale di calda amicizia

PIERA MATTEI

 Foto a Gattomerlino Spazio durante la presentazione di "Leggere la disabilità" di Martina Naccarato, 12 novembre 2016 (foto Gattomerlino)

martedì 15 novembre 2016

Assassini insospettabili, zingare e medici con il doppio lavoro. Uno sguardo lucido sulla Russia postsovietica – Luca Zanini su "Precipitò nel mare cavallo e cavaliere"di Maxim Osipov




Assassini insospettabili, zingare e medici con il doppio lavoro. È l’umanità raccontata dallo scrittore russo Maxim Osipov nel libro, edito da Gattomerlino, Precipitò nel mare cavallo e cavaliere, uno splendido spaccato della Russia di inizio XXI secolo nello spaesamento prodotto dalla caduta del muro di Berlino.
Con un linguaggio pacato ed essenziale, Osipov ci porta nel lato più profondo e meno visibile di quel cambiamento che ha attraversato Mosca e le città dell’entroterra russo a cavallo tra i due secoli. Un cambiamento sotterraneo, silenzioso, che porta in grembo numerose conseguenze, a volte sorprendenti, come l’aumento di preti ortodossi, ingolositi dalla possibilità di ricevere un salario fisso, ora non più garantito con il crollo dell’URSS; altre volte annunciate, come la chiusura di numerose fabbriche, non più regolamentate dallo statalismo sovietico.
Scenari che parlano di eventi lontani migliaia di chilometri dal mondo occidentale ma che ci sono così stranamente familiari. Questo perché le tematiche trattate da Osipov, cardiologo nato a Mosca ma che ha lavorato anche a San Francisco, sono straordinariamente vicine a ognuno di noi. Sottesa ad ogni racconto c’è la sensazione di vivere un periodo storico di crisi, con le sue numerose sottorealtà di disoccupazione e alienazione, dove il rapporto tra la città e la provincia si è completamente trasformato: a uno sguardo superficiale e disattento quest’ultima potrebbe essere associata al buio al fango e allo squallore, ma a uno sguardo più attento si rivela l’unico luogo dove salvarsi dal caos della città che fagocita ogni cosa che le sta intorno.
Il progresso, l’amore, e la necessità del raccontare per salvarsi dall’oblio (“ciò che non è scritto non esiste, come non fosse mai stato, capisce?” è la domanda che rivolge uno scrittore fallito al suo compagno di stanza d’ospedale, ancora più fallito di lui per la verità) sono i fili che fanno da raccordo a tutti i racconti: Osipov è capace di mettere dentro un calderone magico tutti questi ingredienti per tirarne fuori un piccolo capolavoro alchemico.
I protagonisti assoluti dei racconti sono però medici, infermieri, pazienti e ospedali, l’habitat naturale in cui l’autore proietta le proprie esperienze. Ogni racconto scorre con garbo e disinvoltura, in un crescendo che porta ai due racconti finali, i più riusciti ed emozionanti del volume.   
Con Precipitò nel mare cavallo e cavaliere, Osipov si avvicina molto alle tonalità del racconto chekoviano con le sue riflessioni sull’insensatezza delle azioni umane ed episodi che sembrano non portare da nessuna parte ma che rivelano comunque qualcosa dell’umanità. Sono proprio i piccoli gesti quotidiani, quelli effimeri, minuscoli e impercettibili che definiscono chi siamo, anche se ci appaiono insensati se visti troppo da vicino.
Sta allo scrittore dare il quadro d’insieme ed Osipov ci riesce perfettamente. Con il suo sguardo clinico e disincantato, da cardiologo quale è, riesce a conferire unità a tutti i racconti e profondità ai personaggi, anche solo tratteggiandoli con poche righe. Quello che li lega è il trovarsi in bilico, a metà tra due mondi, tra città e provincia, tra il comunismo sovietico e l’ignoto del capitalismo.
Non a caso il titolo del libro fa riferimento a un canto biblico che ricorda l’episodio dell’attraversamento del Mar Rosso da parte degli ebrei d’Egitto, simbolicamente una fase di passaggio verso un mondo e delle abitudini completamente diverse, durante il quale chi rimane indietro è destinato a soccombere. Osipov ha una concezione che definirei verghiana dell’esistenza e del progresso, che ha il solo fine di “eliminare l’uomo dal suo prossimo”. Se pensiamo che per ordinare da mangiare, comprare un libro o anche solo per parlare l’uno con l’altro oggi ci basta un semplice tap sul telefonino, non possiamo che sottoscrivere parola per parola il ragionamento dell’autore: il progresso travolge tutto ciò che trova sulla sua strada.
È proprio per questo che, nel caos dell’essere tra un mondo che si sgretola e uno nuovo e incomprensibile che si apre davanti ai loro occhi, anche quegli assassini insospettabili, zingare e medici con il doppio lavoro ci sembrano più umani, in qualche modo più vicini a noi. Nonostante siano distanti migliaia di chilometri.
Chiunque ami la Russia nelle sue contraddizioni, nelle sue stranezze così come nelle sue peculiari normalità, non potrà fare altro che amare anche Precipitò nel mare cavallo e cavaliere, un libro sincero, quasi una confessione, che con flebile voce racconta la realtà in cui viviamo e in cui proviamo a ritrovare noi stessi. Maxim Osipov non fa altro che offrirci lo specchio.

lunedì 7 novembre 2016

Miriam Atzori su "Leggere la disabilità" di Martina Naccarato, Gattomerlino edizioni 2016





Ci sono libri che è impossibile non divorare, altri assaporare e altri per cui bisogna sedersi, munirsi di carta e penna , e leggere con calma. è questo ultimo il caso di Leggere la disabilità di Martina Naccarato, edito da Gattomerlino e pubblicato nell'agosto 2016.

Martina Naccarato, classe 1988, è una ragazza disabile di Arezzo che  recentemente si è laureata in Lingue e Letterature Europee Americane e, in questo libro, è contenuto il nucleo essenziale della sua tesi di laurea.

Come si intuisce dal titolo, il saggio tratta della disabilità. L'argomento, per quanto delicato e a volte controverso, viene affrontato dall'autrice in maniera diretta, senza mezzi termini e senza indorare la pillola.
Il testo si può dividere in tre sezioni: nella prima è esposta la tesi, nella seconda  si riportano esempi a favore della tesi, nella terza si leggono testimonianze reali.

Nella prima parte l'autrice definisce la disabilità attraverso due macro concetti, quello della diversità e quello della normalità. Queste due idee, che sembrano contrapporsi l'una all'altra, stando all’analisi dell’autrice, sono in realtà costruzioni mentali dal momento che in natura ogni cosa è differente. L’autrice conclude affermando che è solo attraverso la letteratura e il cinema, con la loro capacità di narrare l'inenarrabile, che si può guardare oltre la diversità dell'altro. 

Nella seconda parte si riportano esempi di supporti letterari (Libri Tattili), libri per l'infanzia, romanzi, biografie e autobiografie che, attraverso il modo di raccontare la disabilità e di approcciarsi al mondo del "diverso", riescono a mettere il soggetto nella condizione di comunicare con l’ “altra parte” del mondo.
Una nota a sé merita l'analisi del testo poetico Ti aspetterò alle otto di Pierluigi Lenzi, di cui troviamo la testimonianza più avanti. Le poesie, di cui vengono riportati i testi, mostrano in tutta la loro chiarezza i timori, le paure e l'angoscia che può provare una persona con disabilità, ma allo stesso tempo evidenzia l'ipocrisia di chi pensa di poter capire le emozioni dell'altro, e la forza, la voglia ancora di vivere e di prendere le proprie decisioni.

Nell'ultima sezione l'autrice decide di arricchire la sua tesi, riportando alcune testimonianze di persone che della disabilità hanno fatto la loro forza, tutte diverse e allo stesso tempo tutte simili. C'è chi ha scoperto la malattia in tarda età, chi da giovane, chi ha avuto un incidente eppure tutti a loro modo hanno dovuto "fare i conti" con questa realtà, tutti ne sono rimasti spiazzati ma hanno deciso di reagire e di continuare a vivere.
Pierluigi Lenzi afferma che bisogna imparare "che, per quanto doloroso, i propri limiti vanno riconosciuti e se non si compie questo atto di umiltà il rischio è di intraprendere battaglie sproporzionate rispetto alle proprie possibilità e destinate a fallire". È  pensiero comune che per affrontare i problemi il miglior modo sia fingere che essi non esistano ma quello che si evince dalle testimonianze è che è il proprio "problema", la propria disabilità ad essere la vera normalità e la vera forza e che proprio da questa condizione  tutti hanno riscoperto il coraggio di vivere e di affrontare a pieno la vita.

Leggere questo testo non mi ha dato risposte, ma ha fatto sì che mi ponessi molte domande. Non mi ha dato soluzioni, ma spunti di riflessioni.

è un saggio consigliato a chi lavora in questo campo, a chi non si è mai approcciato a questo mondo, a chi si chiede cosa può fare di più per gli altri, a chi pensa che non ce la farà, poiché è solo leggendo che si superano le barriere.