DA PERUGIA
Sono un ricercatore dell'Università di Perugia e, da ricercatore, cerco di stare ai dati in questa strana vicenda dell'invito del Papa alla Sapienza. Faccio, quindi, una breve sintesi dei fatti (almeno come io li ho appresi dalla stampa) nella loro sequenza temporale e pongo qualche domanda: Un gruppo di professori della Sapienza invia al Rettore una lettera in cui viene “auspicato” che “l'incongruo evento dell'invito del papa per l'inaugurazione dell'anno accademico possa ancora essere annullato”. E’ questo un atto illegittimo, intollerante, inopportuno o comunque di una gravità tale da suscitare le conseguenze che abbiamo visto? Non mi pare! Si potrebbe obiettare che la lettera incriminata, di per sè legittima, è stata inopportuna o ingenua in quanto ha innescato una serie di reazioni a catena di grande portata. In tal caso, tuttavia, la lettera avrebbe fornito soltanto la cosiddetta “energia di attivazione” a delle reazioni che erano pronte ad evolversi spontaneamente e che hanno cause ben più vaste e remote che non una lettera di “auspicio” di pochi docenti. Se è lecito, si potrebbe addirittura ipotizzare che le "reazioni" non aspettavano altro che un minimo di energia di attivazione per innescarsi e compiersi con le modalità esplosive che abbiamo avuto modo di osservare. Alcuni gruppi di studenti hanno iniziato contestazioni rumorose e goliardiche contro la visita del Papa. Queste sono assolutamente da condannare e, a quanto mi risulta, alcuni dei firmatari lo hanno fatto. Dovevano questi dissociarsi tutti in gruppo? Forse sì, ma la cosa è quanto meno opinabile. Un'altra domanda è se ci sia un rapporto di causa-effetto tra la lettera e le contestazioni studentesche oppure se queste ultime ci sarebbero state comunque, anche se la lettera non fosse stata inviata. A questa domanda non saprei rispondere e in ogni caso, come dicevo, la causa remota di tutta la vicenda, incluse le contestazioni, non è certo la lettera dei docenti. Vista la situazione, il Papa declina l’invito del Rettore, scatenando l’ira universale di politici, di destra e di sinistra, della stampa e anche, ahinoi, di parte del mondo accademico e degli intellettuali laici, oltre che, ovviamente, delle gerarchie ecclesiastiche. Ma le modalità con cui i professori hanno manifestato il loro dissenso mi sembrano appropriate. Pretendere il silenzio da parte dei ricercatori sarebbe, questo sì, un grave atto di censura.
Angelo Peccerillo del Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Perugia
DA ROMA
Trovo alquanto deprecabile questo incidente che con molto ottimismo potremmo definire “diplomatico” tra Santa Sede e Università della Sapienza. Così come mi sembra approssimativo (in entrambe le accezioni, difetto ed eccesso) definire laico tutto ciò che abbia a che fare con la scienza, anche quella linguistica chiamata poesia o, diciamo, più estesamente, con l’arte. Potrebbe darsi che alla fine, il pensiero scientifico finisca col trovarsi davanti il portone del pensiero teologico. Non c’è dato prevederlo e non è detto avvenga. Ma perché il pensiero, per sua natura omnicomprensivo, non può ammettere che una forma religiosa contenga in sé almeno una ragionevole parte di laicità? Qualsiasi termine, ridotto a strettoia, comporta una visione umana e troppo umana, quindi limitativa, del sapere stesso. Comunque sia, penso che il problema risieda altrove, penso che sia un fatto puramente formale. La simbologia estesa non è digeribile. E’ un ossimoro. In un ambito di cultura tout-court, quale è quella universitaria, ogni simbologia (anche quella immanente, vedi potere militare) è inopportuna. Sarebbe come voler infilare trascendenza in un database. Non si dovrebbero mai confondere i mestieri. L’equivoco o errore è partito, a mio giudizio, dal Rettore dell’ Università che non doveva invitare, all’inaugurazione dell’Anno Accademico, l’Anima, quella poi, soltanto, più globalmente riconosciuta. Mondo dunque, e non Vaticano. Premi Nobel, questi sì, nazionali e internazionali della scienza, della letteratura, della pace e così via. Culturalmente rappresentativi, e almeno testimonianze adeguate dell'Anima vera della Sapienza.
Cristina Annino, scrittrice
DA CATANIA
Credo che la reazione di rifiuto dei laici verso il Papa, nel contesto di un evento prettamente accademico, rappresenti un fenomeno interessante, una presa di coscienza notevole per un riscatto dal potere condizionante della Chiesa.
E' ora di cominciare a ribadirla la "sacrosanta" laicità dello stato. E non mi dicano che si tratta di inciviltà o di forme di intolleranza - si tratta semplicemente di senso della convenienza. Avere il Papa a quell'apertura di anno accademico avrebbe significato tornare a uccidere Bruno e Galilei una seconda volta.
Luigi La Rosa, scrittore