martedì 28 settembre 2010

Lungo il Tevere di Roma


Gli abitanti degli argini. Al mattino quando scendo al fiume per la passeggiata sono ancora sulla scala opposta, dove su cartoni e stracci, in una mezza dozzina almeno, hanno trascorso la notte. Non li invado col mio sguardo, non li vedo quasi, ma tra loro c'è un giovane rossiccio, rossa la pelle del viso, occhi chiarissimi, quando è sveglio. E' lui a salutarmi per primo, con accento straniero. Più spesso lo vedo rincantucciato sotto le coperte, accanto una bottiglia vuota.
Subito dopo, sotto il ponte Duca d'Aosta trovi altri tre "letti" già disfatti. Seduti su uno sgabellino pieghevole due hanno gettato l'amo e aspettano che il pesce abbocchi. Chi mangerà quel pesce? In questo tratto il fiume è più facile tirare su bottiglie di plastica e stracci. Le anatre ci sguazzano volentieri perché tra le piante acquatiche sicuramente trovano pasto abbondante. Le cornacchie invece restano a terra e se ti avvicini saltellano via goffamente a zampe pari. I passeri con discrezione indagano la presenza d'insetti tra le foglie. Qualche volo di piccioni scende talvolta con turistica curiosità. Ieri un cormorano piluccava un pesce sulla banchina. Pochi invece, in queste mattinate, i gabbiani.

Più avanti incontro altri stranieri. Sono al lavoro per smontare le tende e le baracche dell'Estate romana. L'aria è mite, il sole cerca di farsi spazio nella foschìa, segnale che più tardi esploderà in un cielo limpidissimo. Lavorano che lentezza, per terra rimangono residui delle costruzioni smontate, nastri di metallo e chiodi.

Sull'acqua nei giorni feriali c'è poco traffico. Due piccoli battelli di linea che partono sempre semivuoti e poche canoe, dove i rematori si addestrano sotto l'imperativo gridato da un istruttore che viaggia a ridosso, pressante, su una barca a motore.

Sull'acqua c'è anche chi abita: una casa a due piani, vasi con piante di limoni, due scialuppe ormeggiate, biciclette e motorini parcheggiati. Invece di porte chiuse a chiave hanno un piccolo ponte levatoio. Un giorno li ho visti partire in due sulla moto, padre e figlio, un ragazzino di circa sei anni. Ho pensato che chi vive lungo il fiume dovrebbe fare a meno dei motori a benzina.

Una mattina ho incontrato gli spazzini. Lavoro molto sommario, come sempre. Si lamentano di essere solo in otto per tutta la lunghezza degli argini. In verità si muovono molto rilassati. Quella degli spazzini è una categoria strana. Ricordo quando ancora erano degli ometti quasi invisibili, legati ai loro carretti come un prigioniero ai suoi ferri. Ora, all'estremo opposto, sono ragazze longilinee truccatissime, giovani del fisico atletico e, da come si muovono, sembrano dire che quel lavoro lo stanno facendo, ma non è il loro lavoro. Passano svogliatamente con i mezzi acquistati ex novo dalla municipalità recentemente insediatasi, e metà dello sporco rimane al suolo.





Una domenica siamo arrivati dove la città quasi scompare e sembra di non riuscire a riconoscere Roma. Sull'acqua scivolavano poche canoe, ma lungo gli argini, nessuno. Poi sono comparse le due mandibole del nuovo ponte, due archi a spingersi l'uno verso l'altro. Senti il rumore dei lavori solo se tendi l'orecchio.
Queste note si riferiscono alla riva destra del Tevere che percorro, a giorni, anche in direzione della foce, ma, fino ad oggi, solo fino al ponte dell'Isola, dove una scala più comoda si apre verso il fiume, rivelando tra la terra e l'acqua una consuetudine antica.