venerdì 31 gennaio 2014

Valentina Grippo: Città della Scienza sia un “hub” per valorizzare i musei tecnico scientifici della Capitale



Roma, 31 gennaio 2014 – “La Città della Scienza deve essere un “hub” di rilevanza internazionale e insieme un punto di riferimento per la valorizzazione di tutto il patrimonio scientifico, tecnologico e culturale della città. Il nuovo edificio, che secondo le stime dell’assessore Caudo costerà tra i 54 e i 60 milioni di euro e si estenderà su una superficie di di 27mila mq, di cui oltre 10mila saranno dedicati a spazi espositivi all’interno dell’ex caserma di via Guido Reni, non deve sovrapporsi alle realtà esistenti né fagocitarle ma dev’essere un’occasione di valorizzazione di quell’imponente "museo diffuso" dei saperi già esistente a Roma. La Città della Scienza, come ci chiedono tutti i ricercatori, docenti ed esperti di queste discipline, è strategica per Roma se saprà essere promotrice di sinergie tra i numerosi centri di eccellenza della scienza e della ricerca presenti sul territorio, molti dei quali sono purtroppo sconosciuti al grande pubblico o faticano a trovare risorse” ha dichiarato la consigliera Valentina Grippo, aprendo il Tavolo della Scienza alla presenza dell'assessore Giovanni Caudo (Urbanistica) e di numerosi docenti degli atenei pubblici e privati romani, direttori di fondazioni, accademie e istituti di ricerca, tra cui Luigi Campanella (presidente del Museo Multipolare della Scienza e dell'Informazione Scientifica), Carmine Marinucci (rappresentante Ricerca internazionale Miur), Gianni Orlandi (direttore Dipartimento Ingegneria La Sapienza), Enea, Istituto nazionale di Fisica Nucleare, Planetario, Cnr, Istituto nazionale di Astrofisica, Biblioteche di Roma, che sono intervenuti al tavolo dedicato alla futura riconversione degli spazi dell'ex caserma di via Guido Reni, nel II Municipio.
“A Roma si trovano oltre il 60% delle istituzioni scientifiche della Regione e la concentrazione più alta di ricercatori, un patrimonio didattico-scientifico unico a livello internazionale, che comprende tutta la vasta rete dei laboratori della Sapienza con l’Ateneo della Scienza e Tecnologia (Ast) che conta 40 Dipartimenti, i 20 musei tra cui quello di Chimica intitolato a “Primo Levi” e le 11 Biblioteche scientifiche della Città universitaria, il Consiglio nazionale delle Ricerche (Cnr) e la Biblioteca “G. Marconi”, l’Istituto Superiore di Sanità (Iss), la Fondazione Montalcini, l’Istituto Pasteur, l’Accademia Nazionale delle Scienze e tutti i piccoli musei scientifici, anche quelli interni alle scuole come il prezioso laboratorio dove studiò Enrico Fermi nel liceo Albertelli o il Museo della Didattica della scienza allestito all’interno del liceo Visconti, che attendono da anni di essere mappati e inseriti in un progetto complessivo di valorizzazione della loro offerta didattica, anche in chiave turistica” aggiunge la consigliera Grippo, promotrice del Tavolo della Scienza, una rete consultiva informale attiva dal 2007 che raduna una cinquantina tra le principali istituzioni ed esperti del settore.
"La Città della Scienza dovrà anche integrarsi in un quadrante come il Flaminio dove insistono attrattori turistici e culturali di primo piano per la città quali il Maxxi di Zaha Hadid, l'Auditorium e il Ponte della Musica di Renzo Piano, lo Stadio Flaminio e il Villaggio Olimpico - conclude la presidente della commissione Turismo, che ha proposto la creazione di un gruppo di lavoro consultivo ristretto per definire i contenuti scientifici della costituenda struttura - e offrire occasioni di incontro pubblico, magari ospitando ricercatori e incubatori di idee, ponendosi come polo di raccordo tra il mondo scientifico, quello delle reti museali cittadine e quello fondamentale delle scuole e dei laboratori ludo-didattici per ragazzi come Technotown a villa Torlonia, Explora al Flaminio e Formascienza, in modo da coinvolgere e appassionare a questo settore il maggior numero di adulti, bambini e turisti, anche con la creazione di itinerari tecnico-scientifici a cui la Commissione Turismo sta già lavorando”.

domenica 26 gennaio 2014

Donne e musica ai tempi di Carlo Gesualdo da Venosa




Lina Lo Giudice
Carlo Gesualdo e le dame di Ferrara – La stamperia del Principe – Gesualdo 2013

Diversamente da quanto afferma il vecchio adagio, certo non solo l’abito, ma anche l’abito fa il monaco, e quando si tratta di libri proprio l’abito, la copertina, dovrebbe condensarne l’identità. Pertanto sulla copertina di questo libro mi sarebbe piaciuto vedere invertite le dimensioni dei caratteri del nome dell’autrice e del titolo. Ma soprattutto nel titolo vedrei volentieri uniformati i nomi di Carlo Gesualdo e quello delle “dame di Ferrara”.

La figura di Carlo Gesualdo è diventata negli ultimi decenni molto popolare tra i cultori della musica del Cinque–Seicento. Ha contribuito a questa fama il carattere avventuroso della vita del Principe di Venosa, l’uccisione, per vendicare l’adulterio, della moglie e dell’amante di lei, entrambi esponenti di nobilissime famiglie. Quindi la fuga, il secondo matrimonio, il ritorno nel castello di famiglia, a Gesualdo, il perdono del figlio. Ma più conta certamente l’eccezionalità di una passione per la musica che va ben oltre l’attività gentile e galante, complemento necessario al perfetto principe e uomo di corte, e deriva dalla necessaria espressione di una sensibilità originalissima, tormentata, precorritrice di moderne, per quanto ancora lontanissime, dissonanze.

La tesi originale di Lina è che il breve soggiorno di Carlo Gesualdo a Ferrara per il suo secondo matrimonio con la principessa Eleonora d’Este e la familiarità con “il Concerto delle dame” di quella corte abbia potentemente influenzato la seconda parte della produzione gesualdiana.

Lina Lo Giudice ha fatto un notevole lavoro di ricerca che ha reso poi fruibile mediante uno stile assai godibile, dove traspare il piacere e vorrei dire il divertimento di quella ricerca.
Ha coniugato in questo libro due temi centrali al suo impegno intellettuale: la passione per la musica e l’indagine sul ruolo delle donne intellettuali, artiste e politiche, in tempi storici e al presente.

Man mano che si procede nella lettura appare sempre più evidente che la storia di un singolo personaggio, anche se grande e avventurosa personalità e grandissimo e originale musicista, non basta al temperamento dell’autrice. Veniamo a scoprire sempre più una mente che tende all’enciclopedismo, che mentre formula un’ipotesi ne ha presenti i rimandi, e i contorni, gli antecedenti e vuole rendercene partecipi.
Ne esce un affresco che, dai confini non molto estesi della vita di Carlo Gesualdo da Venosa (1566–1613), si allarga a comporre un vasto quadro storico che va risalendo agli inizi dell’età moderna e alla Riforma Protestante.
A conferma dell’impulso e dell’intelligenza enciclopedica dell’autrice, la seconda parte del libro si compone di quattro appendici che corrispondono a quattro dizionari. I primi due sono dei Musicisti contemporanei di Carlo Gesualdo e – parallelamente – delle Musiciste contemporanee al Principe. La terza e la quarta appendice contengono rispettivamente una piccola biografia delle Dame del Concerto di Ferrara e le biografie di alcune donne di potere in Italia tra il ‘500 e il ‘600. Completa l’apparato un glossario dei termini musicali.

Questa visione in cui un’ipotesi sintetica si correda di strumenti analitici, questa intelligenza enciclopedica, che riassume e indica, rende il libro di Lina Lo Giudice uno strumento interessante per comprendere meglio, non tanto e non solo la musica di Carlo Gesualdo, quanto il complesso sviluppo di quella verso una sensibilità considerata moderna, dissonante anziché armoniosa. Più di tutto all’autrice interessa mettere nella giusta luce il generoso ma pressoché ignorato apporto della sensibilità  delle donne alla grandezza dell’Arte.

PIERA MATTEI

domenica 5 gennaio 2014

Carlo Cipparrone – Il poeta è un clandestino – I poeti di Smerilliana – Di Felice edizioni 2013



Innalzare la costruzione, i piedi saldamente piantati a terra
nota critica di Piera Mattei


Se stiamo alla data che riguarda l’occasione per la quale è stato scritto il poemetto nella sezione finale del libro – un incontro con Betocchi a Cosenza, dove il poeta affermato era venuto a tenere una conferenza, nel lontano 1957 – dobbiamo dedurre che il legame di Carlo Cipparrone con la poesia, con la buona poesia, è lungo quasi come la sua intera vita.
Un matrimonio giovanile. E come spesso in quei matrimoni sembra che tutto sia corso via troppo presto, che quanto si desiderava con passione non si sia infine veramente realizzato. Recriminazioni, rimpianti, ma infine accettazione del fatto che il matrimonio non si poteva celebrare che così, nella  fedeltà che non contraddice all’insoddisfazione.

Questa ultima raccolta di Carlo Cipparrone è infatti un libro tematico: l’autore, lo dichiara nella premessa, ha raccolto qui le sue “poesie sulla poesia”, scritte nel corso degli anni.

Lo stile delle poesie antologizzate, occorre sottolinearlo, si è mantenuto sostanzialmente uniforme negli anni, forse con un’accentuazione progressiva dell’ironia e del sarcasmo, che si s’impegna talvolta a ritrarre i peggiori difetti della categoria dei poeti, ma anche, con non minore crudeltà, a infierire contro se stesso, autodenigrandosi, o dichiarandosi pentito di avere accolto alcune false ispirazioni (INVETTIVE contro gli altri e contro se stesso). La poesia non è cogliere un'aerea ispirazione né tenace tecnica scrittoria, poesia è passione, è consapevolezza di appartenere al mondo "di lei" e sentire sulla propria sensibile pelle la contraddizione tra quella certezza e la "sua" tiepida accettazione.

 Il poeta è del tutto consapevole che il bisogno di continuare a fare poesia – per tutta la vita – ha più a che vedere con la sfera personale erotica che non con quella della pubblica utilità:

Non è questione di vita o di morte,
questo è chiaro.
Se lasciassi in bianco
il foglio su cui scrivo
tutto filerebbe lo stesso.
###
Poetare – come comandare –
è meglio di fottere?
###
nonostante la mia matura età
ho ancora voglia di scrivere,
come i giovani di far l’amore...
[...]
Poesia, amore taciuto  
celato agli occhi degli altri
come un vizio, una colpa, un peccato.

Una passione, quella della poesia, che s’impianta come anomalia su una formazione da scuola  tecnica, sulla scelta e/o la necessità di un mestiere di tecnico. Per questo è così importante quell’incontro con Betocchi, quasi un volto nel quale specchiarsi, una conferma che si possa diventare poeti, senza essere poeti di mestiere, anzi esercitando una professione apparentemente lontanissima dalla poesia. Su questa perplessità la risposta di Betocchi è pronta:

Tra coloro che scrivono non siamo
un’eccezione, geometri sono anche
Quasimodo, Lisi, Bargellini – disse,
un po’ compiacendosi – aggiungendo
all’elenco gli ingegneri Gadda,  Sinisgalli
e l’assistente edile Vittorini.

Sono tornata  qui sul già citato poemetto La Comune Strada – Betocchi perché mi sembra veramente una summa dello stile di Cipparrone: una scrittura piana, di grande agilità narrativa, che, tratta dei temi fondamentali della sua poesia e, tra l’altro, comprende tra i suoi versi quello scelto a dare il titolo all’intera raccolta: il poeta è un clandestino.
Il tema delle due anime, quella del poeta e quella del costruttore, che possono fondersi, che di fatto si fondono, ritorna spesso, con esiti assai felici, come ad esempio, nella prima strofa di Senza domani:

Noi operai, artigiani, maestri della parola
dai nomi oscuri o più o meno conosciuti,
seppelliti domani in libri mastri –
cataloghi datati coperti dalla polvere –
rimasti o ricacciati nel limbo dell’anonimato,
condannati a un misero solitario destino.
Noi popolo di manovali muratori capomastri
gruisti ruspisti camionisti badilanti sterratori
geometri architetti ingegneri:
chi una pietra aggiunge e chi la toglie
chi edifica e chi distrugge.

Altra volta dall’arte della costruzione Cipparrone tira assai convincenti metafore, che gli servono a difendere una poesia leggibile, costruttiva, contro disordinati sperimentatori:

Ci sono poeti in bilico
su traballanti ponteggi,
che – parola su parola,
mattone su mattone,
pietra su pietra –
innalzano brandelli di frasi
difficili a leggersi,
muri costruiti a secco,
precari nel reggersi.

Dovunque in questo libro l’arte della costruzione o l’atto opposto e parallelo, l’atto chirurgico della demolizione, sono fonte di poesia forte, originale. Citiamo tra tutte l’atmosfera sospesa, tra gli sguardi dei curiosi, nell’apparente trionfo anarchico dei demolitori, della poesia  I ruspisti. Costruire, gettare fondamenta, riempire lo spazio verso l’alto, e poiein, fare poesia, due attività per le quali, a innalzare l’opera, sono necessarie responsabilità e passione – i piedi saldamente piantati a terra.



Immagine: antiche mura nei pressi di Bordeaux (foto Piera Mattei)


giovedì 2 gennaio 2014

Carlo Bordini “Non è un gioco – Appunti di viaggio sulla poesia in America Latina”, Sossella 2008


Ho terminato da poco di leggere “Non è un gioco – Appunti di viaggio sulla poesia in America Latina”.
Il libretto me lo ha dato proprio Carlo. Ci siamo scambiati dei libretti che hanno a che vedere con l’America Latina e la poesia, lui, un veterano di quei viaggi, io appena reduce dal XII Encuentro de poetas del Mundo latino, in Messico.

L’America Latina presente in questo libro è soprattutto la Colombia, anche se alla condizione della poesia in Argentina si accenna, sempre e comunque per sottolineare il grande vantaggio di quei paesi sull’Italia.

Il libro, volendo –immagino– spiazzare rispetto al titolo,  è un po’ come un gioco, con brevi cronache,  racconti e documenti diversi, montati a incastro. In queste pagine ho trovato, anche – davvero! – tanto entusiasmo. Le leggo solo adesso ma sono state scritte più di cinque anni fa e mi auguro che rispetto alla poesia in America Latina l’autore conservi intatte le sue impressioni di allora.

Le cose narrate coincidono con le mie recenti esperienze per due aspetti.
Anch’io ho sperimentato l’entusiasmo del pubblico della poesia. Studenti e giovani che imparano subito a memoria un verso e te lo ripetono, entusiasti. Gli abbracci, la richiesta di autografi, di foto che li riprendano insieme al “poeta”. La popolarità della poesia. Riconosco i ritmi serrati delle letture, anche questi ho sperimentato: essere presenti, puntuali e in buona forma, come d’obbligo nel mestiere degli attori.

Quanto al ruolo di “civilizzazione e pacificazione della poesia” direi che questa utopia l’ho ritrovata soprattutto nell’impegno di un giovane poeta onduregno, incontrato appunto in Messico nel novembre scorso e che ho subito deciso di tradurre e pubblicare, Rolando Kattan.
Il suo libro, che uscirà tra breve, s’intitola “Animale non identificato” e uscirà per le nostre edizioni Gattomerlino. Rolando con altri giovani amici è impegnato a pubblicare, in ampie tirature e in veste economica, i grandi classici della letteratura, che poi diffonde attraverso letture, e ne fa dono, in spazi pubblici, nei mercati, per le strade. Anche lì, la poesia per tutti. La poesia come leva di riscatto sociale.

Quindi questo immenso continente che è l’America Latina è in ogni sua parte diverso e insieme simile? Una cultura meticcia che nonostante la violenza diffusa nella società salva e pone su un piedistallo la poesia, e addirittura si vorrebbe salvata dalla poesia. Bene. Anche se restano tali le utopie aiutano a vivere.

PIERA MATTEI



Foto: Allievi di una scuola di Aguascalientes fotografano il tabellone con nomi e volti dei poeti dell'Encuentro e poi si fanno fotografare su quello sfondo (foto Piera Mattei)