Ho conosciuto da qualche tempo una donna intelligente e coraggiosa e anche, non in ultimo, giustamente ambiziosa. Il suo nome è Louise Read ed è l'editrice Socrates. Forse il requisito dell'intelligenza potrebbe sembrare scontato, imprescindibile, per una categoria che si occupa dell'industria culturale. Purtroppo non è così. Molti degli editori che nascono ogni giorno, vogliono essere più che intelligenti, astuti, e con questa scelta finiscono per tradire la cultura.
A Louise Read piace scovare i suoi libri, e scavare intorno a temi scottanti. Uno dei più recenti è un'indagine sull'uso della tortura nei paesi così detti "civili", o meglio, di punta nella civiltà occidentale. Metodi d'interrogatorio "irresistibili" elaborati purtroppo anche nell'ambito delle università. Ma Socrates pubblica anche libri di più facile lettura, seleziona e acquista diritti di traduzione per romanzi che uniscono, alla piacevolezza della scrittura, critiche indirette e non banali delle società che sottintendono.
Mi riferisco in particolare al libro di Kathleen Ferguson, un'autrice contemporanea irlandese, "Storia di una perpetua", nella traduzione di Roberto Bertoni. La voce narrante è quella di una ragazza, educata in un orfanotrofio. Uscita di lì, per trentatré anni è la perpetua di un prete che protegge e platonicamente ama, quasi come fosse un figlio. Fino a che la demenza del suo "Padre" non la fa ritrovare senza casa e senza lavoro, ma finalmente, per la prima volta, mentalmente e fisicamente libera. E' un libro che parla di un cattolicesimo stantìo, in zona di confine confessionale – il confronto è sempre con la responsabilità individuale della mentalità protestante. Infatti protestante è il padre della perpetua, un uomo passionale che contro la moglie che lo esasperava col suo fanatismo cattolico ha usato la violenza fino a procurarne la morte e paga la sua colpa ormai in un manicomio criminale, lucido tuttavia abbastanza per analizzare le sue colpe e quelle della società in cui vive.
E' di questo personaggio una battuta che mi è sembrata in qualche modo adattarsi a quella che è ancora oggi, ma forse più violenta che mai, la polemica cattolica sulla famiglia. Dice l'uomo:
"Non hanno il coraggio di fare dei figli, perciò tengono sotto controllo i figli degli altri".
Direi, più ampiamente, la fertilità degli altri.
Pensavo al libro della Ferguson ieri, mentre ascoltavo alla radio l'espressione "sterminio di bambini non nati", registrando mentalmente un raro esempio di logica ossimorica. Come si può infatti uccidere, o addirittura sterminare, chi non è nato? E sono sopratutto le donne, queste sterminatrici, le nostre madri e nonne, noi stesse forse?
Volendo essere conseguenti, se l'imperativo morale è quello della riproduzione, dovrebbe valere per tutti. Nessuno dovrebbe pensare più conveniente per sé, addirittura più giusto e più santo, di astenersi dalla vita riproduttiva, per stabilirne poi le leggi valide per gli altri, come anche afferma, nel romanzo, il personaggio di Mr. Keen. Kantianamente insomma la massima delle azioni del singolo dovrebbe poter valere come legge universale.
Nel libro della Ferguson il cattolicesimo è una pesante coperta gettata sulla mente e la sensibilità dell'individuo in formazione, un obbligo che ha motivazioni fuori della responsabilità individuale e risiede nell'obbedienza a un ordine di cose di cui la protagonista conosce, dal di dentro e dettagliatamente come domestica di un prete, tutta la falsità.
Un bel libro, triste, ma anche, con tutta naturalezza, umoristico. Serve a riflettere sulla mentalità "educatrice" cattolica, che pretende di essere, dalle sue gerarchie, la voce stessa di Dio.
Piera Mattei