Il 20 Febbraio All'Accademia D'Ungheria in Roma, a
conclusione degli eventi dedicati al grande regista Béla Tarr, si proietterà il
film che viene considerato il suo capolavoro, Satantango, della durata di 7 ore
e un quarto. Non andrò a vederlo perché, immagino che nelle intenzioni
dell'autore bisognerebbe vederlo per intero, e non credo che reggerei.
Ma il primo film
importante di Béla Tarr, quello che apriva la celebrazione, l'ho visto e, nonostante
che anche le due ore circa di questo film non siano leggere da sopportare,
tuttavia è stata una visione che si è impressa nella mia mente, con una forza
che è difficile trovare nei film di oggi.
Si tratta di Karhozat, Perdizione, del 1987, in quel bianco
e nero sempre prescelto da Béla Tarr.
Si tratta della storia del desiderio ossessivo per una
donna, una trama quindi molto semplice.
Nel bar dove avvengono tutti gli incontri c'è sempre una
fisarmonica che suona, sempre lo stesso motivo malinconico. Gli uomini giocano
stancamente al biliardo, fissano il vuoto. Il protagonista, un debosciato
parassita, fa in modo che il padrone del bar incarichi di un losco affare il
marito della donna di cui è preso, per poter stare con lei. Ottiene il suo
scopo, ma presto il marito torna, inoltre il protagonista capisce che il
padrone del bar vorrà anche lui la sua parte di favori dalla donna. Quindi,
sola rivalsa, va alla polizia a denunciarli.
Ma ci sono immagini indimenticabili. L'aria è grigia all'esterno e anche negli
interni filtra poca luce, lo sfondo quindi è grigio. Su questo grigio che varia
solo in muri scrostati, in una stretta scala che conduce all'appartamento e
nell'insegna del bar, si profilano i corpi avvolti negli impermeabili, sotto
una pioggia incessante. Camminano noncuranti in un'acqua melmosa, mentre cani
randagi senza volontà d'aggredire si muovono intorno. C'è un personaggio
misterioso, una donna non giovane, dai tratti nobili ma dal sorriso aspro che
compare di tanto in tanto, assediando il protagonista che se ne divincola.
Dalla sua bocca escono considerazioni consigli e massime. Lo mette in guardia
contro "quella donna". É forse l'immagine della coscienza?
C'è, nella scarsa luce all'interno del bar, un lungo primo
piano di Lei, quella che porta alla perdizione, che canta una canzone
tristissima di amori e abbandoni. Ma la scena più straordinaria è quella dove
un'umanità varia, dagli abiti miseri, dai tratti grossolani si muove senza
sosta in circolo in un ballo collettivo. Un lunghissimo piano sequenza. Girare
scene lunghissime con soli piccoli movimenti di macchina è lo stile che
contraddistingue questo regista, che
certo non ha dimenticato la scuola dei grandi maestri russi, con effetto
espressionista di notevole potenza.
Nel 2011, con Il Cavallo di Torino, centrato sullo
scatenamento della follia in Nietzsche alla vista di un cavallo malmentato, Béla
Tarr ha dichiarato di voler concludere definitivamente la sua carriera di
regista.
PIERA MATTEI
PIERA MATTEI