sabato 29 novembre 2008

L'abito e il monaco

L'altro ieri, a Milano, dopo il seminario su Antonia Pozzi, mi sono ritrovata con una monaca anziana nell'antibagno della toilette dell'aula conferenze dell'Università Statale. Lei si sistemava la cuffia davanti allo specchio. Mi è venuto fatto di chiedermi a cosa pensano i preti, quelli che indossano gli abiti delle alte gerarchie, quando si guardano allo specchio.

giovedì 27 novembre 2008

Piera Mattei – A proposito dei Dialoghi italo-israeliani

Ai Dialoghi partecipano, in questo fine novembre 2008, scrittori, critici, letterati e traduttori dei due paesi. La letteratura è un universo che rispecchia realtà diverse che conducono "a un'apertura verso più verità date e verso più verità possibili (Ferroni-Lezione d'apertura)".

Niente di più evidente, in una terra di differenze e conflitti che non potranno risolversi se non nel riconoscimento della reciproca alterità e nel rispetto di quanto quell' alterità rappresenta. Tuttavia la particolare situazione della letteratura in Israele diventa emblematica del ruolo della letteratura, sempre, nei confronti dei dogmatismi e delle verità assolute.

Ogni autore "pensante" ( si sarebbe detto in altri tempi "impegnato" ma da molto tempo il termine è caduto in disgrazia), mediante la pubblicazione, si assume la responsabilità di rendere accessibile ad altri il suo pensiero, con l'implicita certezza di enunciare "una" diversa verità, o almeno un senso altrimenti nascosto o celato di quella. S'impegna inoltre a sollecitare, in ogni suo lettore, il consenso su "quel" pensiero che aveva chiesto di essere espresso, quasi lui stesso ne fosse non il creatore ma, l'inventore (in senso etimologico) e il diffusore.
L'assunzione di verità assolute, dogmatiche, è d'ostacolo a questo processo d'invenzione e ricerca, sia che la sua realizzazione avvenga attraverso l'arte che con i metodi della scienza.
Rispetto al Bello e al Vero (alla BellezzaVerità), a livelli diversi, l'adeguamento acritico a modelli imperanti, la delega a chi si assume la responsabilità di interpretare per tutti gli altri la verità – chiese di varia natura – porta al sonno della creatività, della ricerca.
Piera Mattei

martedì 18 novembre 2008

Piera Mattei –A proposito di vita e amore, di libertà e chiesa, della voce di grandi poeti e di quella di poeti intrusi

Vogliamo vivere pienamente umani, liberi da costrizioni che altri uomini, i Potenti, vorrebbero imporre alle nostre menti, con offesa per la libertà e la dignità della vita.

In questi giorni di grandi dibattiti, su quale limite segni il trapasso e cosa richieda la dignità del trapasso, mi hanno raggiunto le parole di Keats e Shelley. I veri poeti hanno voce in proposito.

Questa è la speranza: che anche in tempi lunghissimi, ma subito nella mente e nel cuore di molti, i veri poeti, non gli intrusi spacciatori di insulsa poesia e di falsa pietà, celebrino il loro trionfo.
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I loved–elas! our live is love;
But when we cease to breathe and move
I do suppose love ceases too.
…..

Ahimé, ho amato, la nostra vita è amore.
Ma quando cessa il movimento e il respiro
penserò che cessi anche l'amore.
…..
(P. B. Shelley – Canto per "Tasso")



The church bells toll a melancholy round
[…]
Still, still they toll, and I sould feel a damp,
A chill as from a tomb, did I not know
That they are going like an outburnt lamp;
That 'tis their sighing, wailing ere they go
Into oblivion; that fresh flowers will grow,
And many glories of immortal stamp.

Rintoccano le campane della chiesa una ronda malinconica
[…]
ancora e ancora rintoccano e dovrei sentire un'oppressione
un freddo come esalato da una tomba, se non sapessi
che vanno come una lanterna allo stremo;
che questo è il sospiro, il lamento mentre
scendono nell'oblio; che freschi fiori cresceranno
e ancora glorie di natura immortale.
(J. Keats – Written in disgust of vulgar superstition)

Piera Mattei

mercoledì 5 novembre 2008

2. Piera Mattei – OBAMA: SODDISFAZIONE E AUTOCRITICA

Finalmente possiamo sperare in un'America che realizzi i suoi principi democratici. Già lo svolgimento di queste elezioni sembra darne una prova. Sono andata ripetendo per anni che la politica mondiale poteva cambiare solo se l'America dal suo interno avesse prodotto un cambiamento profondo. Ricordo nel 1991 un lite violentissima con un amico, un noto giornalista che porta l'America nel cuore, a cui questa mia dichiarazione sembrò forse un augurio di rivoluzione civile. Sembra invece che un CHANGE, sia possibile seguendo fedelmente le regole democratiche, anzi attivandole. E mi sento orgogliosa d'averlo atteso quel cambiamento e di vederne oggi le solide premesse.

Infine noi, l' Italia, serva Italia di dolore ostello! Noi, caduti nella recidiva di un governo Berlusconi, noi e la Lega delle piccole rivendicazioni di gravi conseguenze, dei minuscoli paricolarismi che rendono gretta la nostra politica e la nostra cultura, che è stata in altri periodi storici, universale e universalistica. Noi, che oggi festeggiamo l'evento storico di questa elezione, ci sentiamo al confronto umiliati, perché costretti a rendere nel mondo un'immagine meschina e talvolta risibile.
Noi che quando vogliamo ispirarci all'America democratica facciamo cattive traduzioni. "Yes, we can" è: "Sì, noi possiamo farlo" (riempiendo di contenuti quel suffisso pronominale). "Si può fare" che è stata la traduzione prescelta in campagna elettorale dal nostro Partito democratico, è una cattiva traduzione perché introduce una sfumatura bonacciona e accomodante, quella italianità, mi permetto di dire, in cui non mi riconosco, che ci danneggia e che dobbiamo, sì, se vogliamo sopravvivere, veramente CAMBIARE.

1. Piera Mattei – OBAMA E MARTIN LUTHER KING

Alcuni anni fa mi trovai a Miami, durante il Martin Luther King day. Si celebra, dal 1986, tutti gli anni come una festa di tutta la nazione americana, al terzo lunedì di gennaio, in memoria del giorno in cui il leader nero nacque, il 15 gennaio. Certo Miami non è Atalanta, ma rimasi delusa dall'atmosfera: sfilavano i carri con la scritta "I have a dream", le majorettes con la banda, ma non c'era entusiasmo, sembrava la ripetizione di un rituale in cui nessuno credeva più.
Ecco invece la sorpresa di questo nuovo Presidente di colore. Lo ha eletto anche la Florida, lo hanno eletto la grande maggioranza dei cittadini in tutti gli Stati dell'America, e inoltre porta con sé alla Casa Bianca una moglie bella, colta, lei sì discendente degli afroamericani, nata nella Chicago del gelido vento e del jazz.

Oggi Barack Obama, nuovo Presidente degli Stati Uniti, di origine americana e keniota – non proprio quello che s'intende per afroamericano, lui – porta i suoi 47 anni con l'agilità di un atleta con la grazia naturale di un ragazzo. Ha il sorriso e l'atteggiamento di un uomo coraggioso e libero.
Esattamente quarant'anni fa, quando venne ucciso il più grande leader dell'uguaglianza tra bianchi e neri d'America, nessuno pensò allora che fosse stato ucciso un giovane uomo, ma Luther King aveva nel 1968 solo 39 anni essendo nato nel 1929. Il suo viso non ha il fascino che emana Obama, forse perché nel suo sguardo c'è ancora tutta la sofferenza dei discendenti da quegli africani che furono portati in America come schiavi.
Il colore della pelle di Obama non rimanda invece in nessun modo al crudele sfruttamento dell'uomo bianco. Lo stesso nome che si pronuncia proprio com'è scritto, un nome africano che oggi non richiede neppure di essere adattato alla pronuncia anglosassone è un nome da portare con orgoglio, come americano, come Presidente degli Stati Uniti. Questo permette di vedere in Obama il simbolo di un'apertura che non conosce il risentimento, che gli consentirà d'interpretare, come ha promesso, le esigenze di tutti, di portare avanti la concreta realizzazione al di sopra delle parti, dei DIRITTI UMANI, nella sua nazione e di conseguenza nel mondo.