Nota critica di DONATELLA BISUTTI
La Storia di Mario
è il primo romanzo di Marina Corona, nota finora come poetessa, ed è un libro insolito prima di tutto per la sua
struttura, assolutamente originale.
Si presenta infatti come
un dittico, composto di due pannelli:la storia di un bambino, Mario, e la
storia di una donna, Maria. L’identità
del nome, declinato al maschile e al femminile, meriterà di essere
esplorata.
Questa donna è la madre del bambino, ma questo sarà chiaro
soltanto alla fine del libro.
Tutti e due, il bambino e la donna, hanno, diciamo così, un
rapporto disturbato con la realtà.
La donna lo sa, il
bambino non lo sa.
Questa è appunto la storia di un bambino che si rivela
essere probabilmente affetto da una
sorta di autismo e per questo, a quanto
sembra, non è accettato dalla madre.
Successivamente, nella seconda parte – la seconda storia - si
scopre che questa madre non lo accetta perché non accetta se stessa.
Attraverso una lunga e grave malattia in cui la realtà si
mescola a drammatici estraniamenti e flashback, la madre arriverà infine a
sbloccarsi e ad accettarsi.
Allora, alla fine, accetterà anche il bambino.
Si capisce allora che
il disturbo nel rapporto
con la realtà del bambino è un riflesso, o meglio una conseguenza del
disturbo psichico della madre.
Il libro finisce sulla soglia appena accennata, ma come un’epifania folgorante, di questo
ritrovarsi della madre e del bambino.
Non si sa come si svilupperà il loro rapporto in futuro.
Non si sa se il bambino potrà guarire.
Ma si ha l’indicazione di una strada per il riscatto: quella
dell’amore che si sostituisce al rifiuto.
Nella prefazione al libro Roberto Mussapi vede una disparità di tono fra il 1° e il 2° pannello, quello dell’autoanalisi,
diciamo così, della madre, che trova meno originale.
In affetti a prima
vista la due parti del romanzo
sembrano quasi estranee una all’altra
anche stilisticamente.
La prima è un lungo
racconto lirico, che spesso si avvicina
alla prosa poetica; la seconda usa
tecniche narrative fatte di flashback e di flussi di coscienza.
L’unità sembra data – quasi artificialmente - solo dall’inattesa epifania finale che unisce
due storie che sembrano non appartenersi affatto, dichiarando invece improvvisamente
che si appartengono, che si fondono in una storia unica. Questa sorpresa finale dà al romanzo una
lievissima tinta di giallo psicoanalitico.
Invece vedremo che non è così.
Vorrei prima di tutto parlare della prima parte, quella del bambino, Mario, che dà il titolo al libro.
Cercheremo poi di esplorare anche il significato di questo
titolo del libro.
Questo bambino, Mario,
è un personaggio sorprendente. Direi anche nuovo e forse unico nella
letteratura, almeno per quanto conosco.
Perché fonde due
aspetti a prima vista antitetici: da un
lato il meraviglioso dell’infanzia, l’infanzia vista come sogno, fantasticheria, invenzione di un mondo fiabesco.
Questa prima parte del libro sembra infatti essere una specie di fiaba.
E in questo senso Mario è compagno di
tutta una serie di bambini della letteratura, da Alice alla Dorothy de Il mago di Oz al Charlie de La
Fabbrica del cioccolato.
Ma soprattutto – per il suo rifiuto della realtà - a Peter Pan. Mario stesso parla di Peter Pan.
Mario è un nuovo Peter Pan.
Dall’altra parte Mario è
un bambino malato, che vive fuori dalla realtà non perché vive nella
fantasia dell’infanzia come in una
favola ma perché è affetto da una sorta
di autismo.
Si capisce nella seconda parte che forse questo autismo è solo una mancanza di amore -
l’effetto di un rifiuto.
Mario è un bambino
rifiutato.
Ora, questi due personaggi il bambino Peter Pan e il bambino con un handicap si fondono quasi
incredibilmente ne La Storia di Mario, creando appunto un personaggio nuovo e inedito che sta di continuo sulla linea di
confine fra il mondo del meraviglioso e il mondo della malattia, sfumando i
confini dell’uno e dell’altro.
Perciò Mario è insieme un bambino meraviglioso e
angosciante.
Peter Pan tradizionalmente è recepito, anche grazie ai
cartoni animati, come un personaggio magico: un personaggio fatato e poetico - il bambino che rifiuta di
crescere, il bambino che vuole restare eternamente nell’infanzia, nella magia
dell’infanzia, dove non esiste il dolore.
Mario è invece un Peter
Pan che vive un’infanzia di dolore.
Tuttavia su Peter
Pan ho letto recentemente uno studio molto
interessante dello scrittore svizzero Renato Giovannoli, Il vampiro innominato, in
cui la figura di Peter Pan è analizzata
come una figura inquietante: in realtà Peter Pan è una specie di piccolo psicopompo crudele
che accompagna le anime dei bambini morti. Ha dei tratti che
lo apparentano all’archetipo del vampiro.
Questa interpretazione di Peter Pan ci dà forse una chiave in più per comprendere meglio il personaggio
di Mario.
In realtà io credo che
Mario non esista.
Il vero e unico personaggio del libro, la vera protagonista è in realtà la madre. Il
libro si intitola La storia di Mario
ma in realtà è la storia di una donna, è la storia di Mario in rapporto, in relazione
a questa donna, è la storia di una donna e del
suo Mario – del suo Peter Pan che è anche un piccolo vampiro. Qualcosa
che lei porta incistato dentro se stessa
e che non è riuscita a partorire del tutto. Un bambino nato ma in un certo modo
ancora non nato.
Mario è il Bambino dentro la donna.
Quel bambino di cui parlava il Pascoli: il Fanciullino, un bambino che non esiste nella realtà. Un’immagine archetipica
dell’inconscio della madre. Appunto quell’archetipo del fanciullo, del
fanciullo divino che ciascuno di noi si
porta dentro e senza la quale non possiamo vivere. Se questa immagine non
la riconosciamo come nostra, non l’accettiamo, non l’amiamo, non la conserviamo
con cura dentro di noi, non potremo mai diventare adulti. Resteremo degli
adulti mancati, incompleti, degli adulti malati, degli adulti autistici, cioè
staccati dalla radice profonda della realtà, avulsi dalla vita.
Questa Storia di Mario è in realtà la storia di una donna alla ricerca
di se stessa, del suo bambino interiore: ritrovarlo, poterlo accettare
interamente e così forse guarirlo. E
guarire se stessa in lui.
Questo bambino
interiore è la meraviglia del mondo, la ricchezza del suo immaginario. Il suo
cordone ombelicale lo collega al cosmo e alle sue energie misteriose. Schiude
le porte meravigliose del mondo
analogico. Quelle che ci permettono di uscire dalla nostra stanza-prigione-gabbia e di volare.
Proprio come Peter Pan. Sia pure con i rischi che questo comporta.
La donna non ha
potuto finora amarlo, questo bambino
interiore, e farlo suo perché è lei che non è stata accettata, non è stata
amata. O è stata amata male, è stata oggetto di una violenza, di uno stupro
psicologico. Allora il suo bambino
interiore non ha potuto esprimersi, si è
ammalato e al tempo stesso è diventato
una specie di piccolo vampiro che succhia la vita della madre, da cui lei deve
difendersi cercando di allontanarlo.
Io credo che alla luce
di questa ricerca della donna - che è una ricerca tutta interiore, lungo i
sentieri dell’anima - la seconda parte
del libro acquisti tutta la sua pregnanza e non appaia più quasi una parte secondaria, un espediente
narrativo rispetto all’originalità della prima, ma sviluppi il libro dalle sue premesse e gli dia
il suo vero senso, in un processo narrativo del tutto coerente e del tutto
unitario.
La seconda parte assorbe la prima in una storia unica di cui
la prima parte è la premessa, il
prologo, e se vogliamo anche il tema
musicale che può richiamare l’Offenbach dei Racconti
di Hoffmann, ma si dispiega poi in un crescendo dai forti effetti
drammatici in cui, per proseguire con il
paragone musicale, possiamo ritrovare le
note sensuali di una Sonata di Schumann. Perché al di là dei ritmi sincopati di
una prosa narrativa contemporanea, io trovo filtrata nella sostanza di questo libro quella visione romantica alla Emily Brontë, non sentimentale né sdolcinata, che non teme
di esplorare con i mezzi dell’arte gli abissi più oscuri dell’anima.
Concluderò dicendo
che questo è un libro sul femminile – su un femminile conculcato e martirizzato
– come vediamo purtroppo ogni giorno che ancora accade intorno a noi – un femminile che è stato ferito e umiliato e a cui è stata
portato via per questo il proprio
Bambino interiore. E con dolore, con sofferenza estrema, vivendo le fasi drammatiche di una malattia
psichica, riesce alla fine a recuperarlo, a farlo suo, a stringerlo fra
le sue braccia.
Così Maria riesce
a conquistare l’altra faccia di se
stessa, il Mario, e a esorcizzare il
Maschile castrante, diventando finalmente
una persona libera e capace di
dare quell’amore che non è riuscita a ricevere, che le è stato dato così
male.