mercoledì 16 dicembre 2009

Gli animali: una poesia di Lucetta Frisa

Gli animali

 

 

Ama il cane il gatto gli animali

perché il mistero ama

delle creature vive che non parlano

e sanno starci accanto

sapendo solo guardarci legarci

al comune precipizio

di una storia senza storia:

lei ama

i loro grandi universi

ignari della mente rovinosa

degli umani e s’inchina

alla divinità

-irraggiungibile, orgogliosa -

fatta di pelo e piume. 

Nella foto Lucetta Frisa parla a
Marco Ercolani e Piera Mattei in attento ascolto 
(La Spezia, Loggia de' Banchi, dicembre 2008).


lunedì 7 dicembre 2009

Agata ovvero dell'impegno e della libertà


Pandemonio blues è un libro scritto in terza persona e dal punto di vista che nei manuali di tecnica cinematografica si chiamerebbe la soggettiva di Agata. Come nel copione di un film dell'ècole du regard vediamo la protagonista riempire le pagine di un giornale enigmistico, prepararsi la colazione a base di riso integrale e verdure cotte al vapore. Accanto a lei, in silenzio ma in costante comunicazione, l'amico gatto. Un gatto straordinario, fortunata Agata!, che, se si tratta di prendere l'automobile non fa storie e molto serio si sistema sul suo sedile, accanto al posto di guida.

Agata ha delle figlie, se ne accenna di sfuggita, ma sono lontane. Di lei non sappiamo se ha genitori o sorelle. Ha amiche e amici, questo sì, e trascorre le sue giornate preferibilmente tra libri e ritagli di giornali. Si circonda di notizie che giungono dal mondo, e accuratamente le divide sul grande tavolo che è una cara eredità, in buone e cattive notizie. Anche gli scambi con le amiche e gli amici ruotano essenzialmente intorno a un unico argomento: in quali condizioni si trova la società? e la Terra? Anche se Agata accetta di ascoltare un richiamo e parte, tornando nel Marocco nel quale si è costruita una parte essenziale della sua storia personale, lo fa sempre nella prospettiva di essere all'erta e captare segnali.

Di Agata sappiamo infatti, ma sempre incidentalmente, che ha avuto una vita intensa, viaggi e studi. Ora dedica volentieri le sue energie, quando è nella città dove si è trasferita orami da molti anni, a spiare il ritorno del tordo, il suo canto. Ama anche, fuori della stagione estiva, rifugiarsi in una casetta in un paesino dominato da un castello, a leggere, scrivere e meditare. Di quel luogo ci racconta le avventure recenti, il carattere di alcuni selezionati abitanti. Devo notare che tanto il suo interesse, la sua palpitazione, vanno al mondo nel suo complesso, alla sua integrità, altrettanto gli ambienti che descrive sembrerebbero vuoti di persone se non facessero la loro comparsa singoli individui contraddistinti da nome proprio, con i quali Agata ha un rapporto diretto, ma sempre molto riservato. Non può farsi troppo distrarre. Perché Agata, infine, è una sentinella. Ed è chiaro che quel paesino è la sua postazione preferita. Sta attenta a cogliere tutti i segnali che arrivano dal mondo, anche se non ha, o non ancora, un piano preciso per difenderlo e salvarlo. Quanto al suo compito lo assolve col suo vegetarianesimo integrale e tenendo sveglie le sue energie, drizzate le sue antenne.

Ho detto che Agata chiama per nome i suoi amici. Un solo amico, se non sbaglio, ha diritto al nome e cognome: Emilio Villa. Il poeta, spirito grande e originale che aveva la sua casetta anche lui tra i monti dove si trova il rifugio di Agata, Rocca Sindibad, come appunto lui la chiamava scherzosamente. Un nome in cui certo non è difficile riconoscere Rocca Sinibalda, dove l'autrice Toni Maraini ha una minuscola casetta appoggiata ad altre piccole abitazioni, ai piedi del castello. Anche i nomi delle amiche li riconosco, mi riconosco.

Allora Agata è la stessa Toni Maraini?

Sì e no. Direi che è una delle possibili proiezioni della persona che scrive. Una donna, certo, ma che tende alla smaterializzazione. Quasi uno spirito. Basta leggere i suoi menù per capirlo, e proprio il fatto che tali menù o un occasionale spuntino siano descritti minuziosamente, mostra l'intenzione di sottolineare il tratto ascetico del personaggio. Non la Toni madre, quindi (le figlie sono partite) non la figlia ( per quanto il tavolo-scrivania lo immaginiamo come un'eredità paterna), e neppure l'artista, la scrittrice, l'antropologa, come se Agata–Toni godesse finalmente di considerarsi ab-soluta, sciolta da legami forti, troppo forti e importanti, per librarsi tutta sola, nella sua proiezione Agata. Guarda con un sorriso compiaciuto, una lieve ironia che alleggerisce il ponderoso compito, quella donna che da un angolo ancora parzialmente incorrotto del mondo sta in vedetta. Non ha armi per fermare il nemico: chi inquina, chi distrugge la flora e la fauna del mondo. Ha solo la sua mente vigile e dalla sua solitaria postazione assolve a quello che sente come dovere verso l'universo, ma ancora più verso se stessa.

Bel personaggio, esemplare. Questo libro quasi un manuale, o una proposta al mondo.

Piera Mattei

Toni Maraini – Pandemonio Blues– Poiesis editrice 2009

Nella foto : La notte scende su Rocca Sinibalda (p.m.)

 

giovedì 3 dicembre 2009

Poesia ascensionale, poesia etica


Questo libro mi ha fatto entrare in un mondo diverso, sotto un cielo diverso direbbe l'autore, per il quale il possesso di "quaggiù" sembra avere meno importanza del possesso, lassù in alto, del nostro spazio di cielo.

Un mondo di forti contrasti: notti con trenta gradi di caldo (Caballeros) e notti di gelo e coprifuoco (Toque de queda), ingiustizia, usura (Y si no fuera, El tio Ezra tenia razon). Il compito del poeta è, per Jorge Palma, additare tutte le contraddizioni con le quali la vita quotidiana lo confronta, senza per questo adattarsi, anzi disadattato sempre all'ingiustizia, all'infelicità, all'inganno esistenziale (Nada es real).

 

Lo stile di Palma lo trovo attento soprattutto a cogliere le immagini reali, a far esplodere, da quelle, altre immagini che restino, come un repertorio, come lampeggianti miti urbani.

Questa esplosione ha spesso una direzione ascensionale, il poeta guarda in alto, sulle impalcature dove un uomo, piccolo per la distanza, si guadagna la vita quotidianamente sfidando la gravità e la morte(Andamios), dove una ragazza incinta s'arrampica a consegnare il pasto del mezzogiorno, e forse anche mostrare le sue gambe dritte come steli, la sua chioma di rossi capelli. In un'altra poesia è il bambino con le ali che in "quella strada" fa volare in aria il suo legnetto rosso e, in quel suo gioco, crea la magia: ferma, per pochi secondi, il traffico e la morte.

Questi miti palpitanti non temperano la violenza della realtà, che è osservata con occhio lucido. Tuttavia la poesia non conosce odio, questa poesia non lo conosce, sebbene non sia tollerante con quanto vede di negativo (Salarios), e con chiarezza indichi alcune scelte etiche imprescindibili.


Ponteggi
 
Si vedono i volti
non i cuori / molto meno
il cuore scheggiato
di chi usa il martello / del lontano
omino sul ponteggio
(piccole mani / sudore quasi
impercettibile / battito
indemoniato sul bordo del vuoto),
solo nella sua barca vacillante
solo nella sua culla di tavole
                                    e ferro
                nel suo feretro mobile
inquieto come un pendolo
come una cometa estravagante
nei cieli remoti
della città che arde
tra vapori / grida / uccelli
che volano via nella pioggia
tra i colpi di martello
che laggiù in basso risuonano
per la folla
come smorzate note musicali
che cadono dal cielo.

 

Lo zio Ezra aveva ragione

                                                              Con l'usura nessun uomo
                                                         ha una casa di buona pietra

                                                          (E. Pound)


Lo zio Ezra aveva ragione
non si può costruire una casa
con l'usura
e neppure un paese
o una qualunque strada
che conduca alle calde
labbra dell'amore.
Ancor meno con l'usura
si può respirare
e andare vestito leggero
nell'aria.
 
Non si può guardare il cielo
con l'usura
non si possono contemplare
le onde che si rompono
sui frangiflutti
dell'infanzia,
né tremare di gioia
al trillo giallino
d'un uccello,
non si può respirare quest'aria
fredda o toccare la neve
né sedersi in una sera
d'autunno sulla gonna
del tramonto
e raccontare al figlio
che ora il vento
s'è nascosto nella chioma sollevata
di quell'albero
e che le stelle
sono lampade che gli spiriti
accendono in cielo.
 
Con l'usura non si può
respirare,
né scambiarsi carezze,
né sentire nel petto,
proprio sulla pelle,
il palpito dell'alba
così giovane e tiepida
mentre si affaccia dalle finestre
nelle minime pieghe della camera.
 
Lo  zio Ezra aveva ragione
non si può costruire una casa
con l'usura
né un cielo né una bandiera
né occhi che guardano
occhi che nel guardare
vedano di scorcio
benché per pochi istanti
il volto del futuro
in attesa. 

Jorge Palma – Lugar de las utopias – Trilce, Montevideo 2007
cura e traduzione di Piera Mattei