venerdì 2 gennaio 2015

BIANCO DI NEVE, di LUNA – la poesia di Natalia Stepanova di Piera Mattei



 Bianco di neve, di luna. Di contro esplodono colori netti, il rosso soprattutto, rosso di una gonna, di una rosa.
Chiudendo il libro, questa la sensazione visiva che rimane. Rumori attutiti, sguardi, gesti silenziosi. Tristezza, sì tristezza, quasi come neve, spruzzata tutt’intorno, sulla bellezza che lo sguardo selettivamente cattura.
Resto ammirata. Difficilmente mi sono imbattuta in una totale mancanza di retorica e abbellimenti, in un libro dove il cielo e le natura e anche il sentimento religioso sono protagonisti assoluti. Se la verità è la dote assoluta della poesia, qui ascolto una voce tenera e aguzza, tagliente e vera.
Elio Pecora scrive nella prefazione di ritrovare qui modi appresi dalla voce di Amelia Rosselli e dai suoi discordanti accordi. Credo che Natalia Stepanova abbia in comune con Amelia Rosselli quella scelta di fare poesia in una lingua che non è quella in cui il suo primo pensiero e le sue prime esperienze si sono formate, con l’esito di caricare ogni parola, ogni aggettivo, ma anche ogni sguardo di una dose di meraviglia, di reinvenzione, di novità.
Cito, come esempi, alcuni gli incipit, dapprima senza neppure selezionarli, dalla prima alla sesta poesia del libro:

Sarebbe cosa buona concedere/ Al poeta straniero un vocabolo nuovo. / Sarebbe generoso riconoscere/ Al cuore barbaro il sentimento;
*
Mi piacerebbe una poesia breve, / Un componimento che abbia dentro / Un segreto, una grazia da amare;
*
Il misterioso lavoro delle api / Procedeva imperturbabile / di miele selvatico e amaro;
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Ignorare o essere immacolati / Dalla conoscenza onnisciente / Forse è lo stesso che essere /
Immortali o innocenti
*
Il desiderio della neve è in me, / Del sentiero lindo che porta a casa, / Di fanciullezza rimane e stelle grandi
*
Ho steso le coperte di piume / Alla tramontana del vento / Per respirare l’aria di neve.

Una voce dal lessico essenziale, dalla sintassi lineare, con la scelta di frantumarla con la maiuscola a inizio di verso, che, da principio percepita come un ostacolo, finisco per accettare. Senza pretese di manipolazioni o d’avanguardia, quella sintassi si trova originalmente reinterpretata.

Lo sguardo è rivolto al cielo, a cui Stepanova parla o di cui parla con l’ironia riservata agli amici stretti:
Luna non fare la morta, (incipit pag.16); Lassù nel cielo passò un pesce spada / Di vaporose nuvole con una bocca / Da taglio, da apriscatole.(incipit pag.20)
Ma il cielo è anche dimora di angeli, fa pensare all’idea di Dio quasi come un dato di fatto, anche se con quel fatto in polemica: Non credo più / Al Dio degli uomini. 
Nel silenzio parlano a Natalia le statue e i resti della città  dove ha scelto di vivere. Anche nel modo in cui si rapporta alla classicità romana c’è, come per la lingua, l’amore di un’appartenenza scelta, non casuale.  Così è rivissuto il trapasso dalla classicità all’era cristiana: Gli dei che per conto loro furono/ Perfetti senza morte, morirono, / E noi, che raccontammo bugie / Alle ombre portate via dal vento, / Accogliemmo un Dio Nuovo / Con la promessa della salvezza.


Ascolto ben calibrati echi dickinsoniani. Negli ultimi versi della breve poesia che riportiamo per intero, quella degli ultimi versi della poesia 449 “Morii per la bellezza” della grande Emily: E come nascere / Sarà morire / E Tutto quello / Che c’è stato in mezzo / Diverrà il nulla; / Inarrivabile agli occhi / Alle labbra, alle lacrime. Nel concetto di ciclico divenire e morire di “In quel di primavera”, trovo la stessa serena consapevolezza della poesia 813 “Questa polvere immobile fu signori e dame”. E ancora altri echi dickinsoniani nella frequente affaccendata presenza delle api: Sono un’ape e sono una regina, / Sono un’ape gialla come il sole –/ una punta di veleno nel pungiglione[...] Sono un’ape e gioco / Con un fiore d’acacia in terra; / A luglio ha nevicato tenue il fiore/ Sull’asfalto di Roma

Natalia Stepanova – Il sentimento barbaro – La vita felice 2014