venerdì 19 settembre 2008

5. Piera Mattei– MILOS FORMAN, GOYA's GHOSTS

A proposito di libertà – o di libero arbitrio, se si usa la terminologia dei filosofi e dei teologi – mi è tornato in mente il film di Milos Forman, Goya's Ghosts uscito in Italia nel 2006 col titolo l'"Ultimo Inquisitore". Alla bella Ines è stata estorta con la tortura l'affermazione che un certo suo comportamento fosse originato dalla sua segreta identità "marrana". Il padre della ragazza invita a cena il prete che predica con grande capacità oratoria i metodi che ogni buon cristiano deve usare per smascherare, dai minimi gesti, l'ebreo nascosto. Al padre che gli fa presente come sua figlia, del tutto ignara delle sue lontane origini giudee, poteva confessare qualsiasi cosa per sottrarsi all'insopportabile dolore, il prete ribadisce con teologica sicurezza che anche sotto il condizionamento della tortura (la corda) agiva tuttavia in Ines il libero arbitrio. Il padre allora fa appendere il frate al lampadario della sala, e gli dimostra sulla sua viva carne che le condizioni diminuiscono fino a ridorre a zero la libertà di dire o non dire quello che gli altri vogliono sentire da te.
Film bellissimo, interpretazioni straordinarie, miseria e violenza della storia, delle idee, delle religioni, degli uomini.
Piera Mattei

4.Piera Mattei-Una questione di tortura Alfred W. Mc Coy Edizioni Socrates

In proposito proprio domani, sabato venti settembre, alle 17,30, alla Casa delle Letterature verrà presentato dalle edizioni Socrates "Una questione di tortura" di Alfred W. McCoy, un libro inchiesta dello storico americano sulle forme di tortura "studiate" e applicate negli ultimi cinquant'anni. Questi metodi di tortura, scrive, sono stati affinati con l'apporto più o meno consapevole delle maggiori università americane e canadesi. Dopo l'11 settembre 2001 la tortura psicologica come "deprivazione sensoriale" e "dolore autoinflitto" è diventata l'arma principale della CIA nella guerra al terrorismo.
Quindi lo studio dei meccanismi psicologici e cerebrali è fondamentale. Serve sia a chi vuole condizionare fino a eliminare nell'altro ogni libertà di scegliere, sia a chi riconosce il metodo e, con tutti i mezzi a sua disposizione, cerca di contrastarlo.

3. Piera Mattei-Dov'è la libertà?

L'occasione mi porta a ribadire un concetto che forse attiene più alla filosofia etica che al commento estemporaneo di film e articoli sullo studio dei meccanismi cerebrali. Dov'è la libertà? chiede Annino. Già in molti se lo sono chiesto nei secoli. In molti hanno affermato che la libertà umana è sempre "in condizione". E' dovere umano far sì che questi condizionamenti siano meno costrittivi possibile, è quella che si chiama ricerca di libertà sul piano personale, sociale e politico. Libertà e condizionamenti vanno insieme. Libertà è ricerca, realizzazione sempre mobile della propria umanità, nasce dalla conoscenza, insieme alla dolorosa responsabilità che quella porta con sé. Dai tempi dell'Eden?
Per difendere la libertà, bisogna essere coscienti dei meccanismi anche occulti di persuasione, che non sono certo un'invenzione di oggi. La scienza ci dà certezza di quanto già sapevamo. Oggi sono cambiati i metodi. Ci sono modi di condizionare compiacendo, le menti degli uomini.
Oggi non siamo ai tempi dell'Inquisizione. I condizionamenti raramente sono violenti, raramente sono cruenti. Raramente? mi chiedo tuttavia.
Piera Mattei

2.Cristina Annino, scrittrice e amica.

Ospito qui una breve nota critica di Cristina Annino al mio commento a "La rabbia" di Pasolini:

Che il presentimento di Pasolini si sia trasformato in certezza è innegabile, come è accaduto con tanti altri suoi timori. Che la televisione- padre- nostro ci propini per lo più squallore, è indubitabile. D'accordo anche con l'informazione scientifica che il bombardamento di notizie possa creare, in chi le assorbe, nuovi neuroni, ecc. Ma spero che ciò sia limitato a fatti di costume, non specificatamente ideologici. Se fosse vera questa ipotesi, l'allarme sarebbe pari a una guerra fredda tra due "menti". Nel senso che:1° , toglierebbe coscienza all'individuo, non solo conoscenza che, al più, può essere distorta. 2°, negherebbe speranza sull'individuo.
Si dovrebbe credere allora alla realtà di un essere umano talmente passivo che se si sostituisse un tipo di informazione con un altro di pari intensità ma contrario, egli reagirebbe allo stesso modo. In entrambi i casi, in un modo cioè programmato. Rimanendo quale unica scelta chi premerà il bottone di comando. Allora, addio libertà!
Per quanto mi riguarda, preferisco leggere nelle parole di Pasolini un effettivo rischio, confermato poi dagli anni che stiamo vivendo, tenendo però presente che oggi usufruiamo di più canali informativi rispetto agli anni 50 o 60 e che se anche si assiste a un indiscutibile livellamento comportamentale in senso lato, non si può nascondere la verticalità di un pensiero fortunatamente ancora presente. Togliere questa fiducia mi sembrerebbe un pericoloso meccanismo di inconscia volontà di sostituzione, ma non l' eliminazione del problema.

Cristina Annino

lunedì 15 settembre 2008

1. Piera Mattei-La Rabbia di Pasolini e la nostra rabbia

Indagare, riflettere, scrivere, pensare, sono alcune attività che contraddistinguono gli individui della nostra specie. Essere uomo significa muovere la mente verso queste attività. Chi consegna la sua mente ad altri, tradisce la specie, tradisce il suo destino di uomo, tradisce la ricerca di verità e di bellezza.

Vedevo in questi giorni, restaurato e reintegrato da Giuseppe Bertolucci, il film La Rabbia, realizzato da Pasolini nel 1963 con materiali di cinegiornale, che coprono gli anni cinquanta fino agli inizi degli anni sessanta. Realizzazione ottima, commovente. Giusta la proposizione delle voci di due poeti-intelletuali di oggi, Giuseppe Bertolucci e Valerio Magrelli, come "speakers" per la parte reintegrata-reinventata, in parallelo con Giorgio Bassani e di Renato Guttuso, già a suo tempo scelti come voci fuori campo da Pasolini.

Il mondo è cambiato. La moda, è cambiata, i corpi poi! Neppure i grassi oggi hanno più quell'aspetto compatto e imponente di una volta. I grassi di oggi trasudano tremula infelicità. Anche la bellezza aveva più luminosi diritti, una sua divina eccezionalità. Marilyn Monroe, per quanto creatura e vittima sacrificale del cinema, appare inconfondibile. Il suo sorriso – le labbra semichiuse, gli occhi strizzati – le sue forme, sono la bellezza, non la riproducono in serie, come negli inflazionati corpi di oggi. Spettacolare anche la felicità, che non sembra finzione per la cinepresa, delle folle russe al rientro dell'eroe dello spazio Gagarin, il passo di lui di volata a superare i gradini del palco dove ingoffato nel suo cappottone lo attende per un abbraccio il compagno Kruscev. Immagini di guerra, terribili. Di quelle oggi non ne mancano. Si è introdotta anzi una pigra assuefazione e sembrano ingenui gli appelli alla pace. Chi tenta una risposta all'interrogativo che il poeta, con questo film, propone: Perché la nostra vita è dominata dalla scontentezza, dall'angoscia, dalla paura della guerra, dalla guerra?
Mi ha colpito, ancora, lo spirito profetico, tragico quindi, di Pasolini a proposito della realizzazione della prima televisione in Italia. Ne parla come di una calamità, un pericolo che incombe sulla libera ricerca intellettuale, sull'educazione.

Pensare, umanamente, con la propria testa. Dovremmo fare in modo di renderlo possibile.
Torno quindi al tradimento della specie, a chi si lascia manovrare, coinvolgere in quel tradimento. Certo non considero gli istinti distruttivi e autodistruttivi facilmente eliminabili, ma considero dovere umano non adeguarsi, nutrire il nostro risentimento, la nostra rabbia.
A conferma del tragico presentimento di Pasolini leggo in questi giorni (La Stampa di sabato 13 settembre) che le immagini – quindi anche le ossessive immagini che i programmi televisivi e i notiziari mettono davanti agli occhi di milioni di spettatori – creano nuovi neuroni, nuove cellule cerebrali, associazioni indelebili nel cervello. Uniformare le associazioni mentali, ecco realizzato il sogno di poter mobilitare e manovrare masse con una semplice parola d'ordine, facendo appello ad associazioni mentali preformate, creare artificialmente ciò che sembrerà indiscutibilmente vero, senza costringere nessuno, facendo persino un uso moderato di leggi liberticide.
Come questo accada – questa è la notizia – è ora visibile con i mezzi della tecnologia scientifica, con non invasive indagini dei movimenti cerebrali, ma già lo sapevano i padroni dei mezzi di comunicazione, in particolare quelli che si dedicano alla politica.

La poesia che commenta in quel film le immagini, retorica talvolta ma sempre vera, mi ha portato a rileggere in questi giorni i libri di poesia di Pasolini.
Ha sempre voluto essere innanzitutto un poeta, e anche un Maestro, anche quando stava realizzando un film. Scelgo perciò di chiudere qui citando il messaggio poetico-pedagogico con cui si apre "Il pianto della scavatrice" in "Le ceneri di Gramsci". Messaggio che sento vero rispetto all'amore per le persone, ma anche per le idee:

Solo l'amare, solo il conoscere
conta, non l'aver amato,
non l'aver conosciuto. Dà angoscia

il vivere di un consumato
amore. L'anima non cresce più.

Piera Mattei