NOTA CRITICA di PIERA
MATTEI
Tra le
varie proposte che mi giungevano da Antonio Bux, che alcuni di voi conosceranno
come un apostolo, un volontario della poesia sul Web, ho scelto il libro di
Javier Vicedo Alos che Antonio mi disse di aver già tradotto un paio di anni
prima. L’ho scelto perché mi è sembrato che fosse un libro bello, completo, un libro della mente e della sensibilità, così
come li amo. Pertanto ci mettemmo a lavorare a questo progetto.
D’altra
parte, non nego, che in questo modo mi pareva di riuscire a rendere omaggio
anche alla dedizione alla poesia e alla lingua spagnola che Antonio Bux ha dimostrato
negli anni di considerare come suo obiettivo culturale e umano.
Ma torniamo
all’intelligenza vibrante, sensibile,
che è la caratteristica di questo libro. L’autore aveva poco più di venti anni,
se non sbaglio, quando ha scritto le poesie che lo compongono e uno stile già
completo, maturo. Uno stile che in sé è già un’assunzione di responsabilità.
Tema
questo della responsabilità implicito al libro. Responsabilità a non giocare
con le parole, con la poesia, responsabilità
a comprendere quale è la posizione, la condizione delle parole direttamente
nell’esistenza di un uomo. Assunzione di responsabilità come uomo, dunque non
nel senso di una virilità raggiunta, ma come corrispondenza all’essenza stessa
di uomo. L’uomo a differenza degli altri animali, è un animale che comunica con
le parole. Questa è la sua irrinunciabile identità, anche se parlare, usare la parola non cambia nulla
circa il destino dell’individuo e della specie.
Dirà
nella poesia In deseando mundo (pag
44) “Pero ahí es el hombre: en ese riesgo a
serlo”.
Questa poesia è musica –molteplici i riferimenti
alla musica, una dedica al musicista José Pablo Polo– ma è anche riflessione e costruzione. Vedremo che
il libro presenta, nella forma, una circolarità
aperta, come del resto anche nel pensiero che sottintende, per cui ogni
silenzio si fa parola e le parole, circolarmente, cadono nel silenzio.
Quindi,
se ammutolirsi sarebbe la soluzione più giusta, questa soluzione è, allo stesso
tempo, impossibile. Javier Vicedo Alííós usa nei
suoi versi più volte il verbo callarse,
zittirsi, ma si spinge fino a usare ammutolirsi enmudecer. Questa dialettica, questo
dibattersi tra parola e silenzio è vivissima nella prima sezione del libro.
È
espressa chiaramente nella poesia d’inizio che apre sulla fame di parole e
termina col silenzio, anzi appunto con lo zittirsi:
“Que me
calle la misma verdad que persigo”.
Homenaje vertical, poesia bellissima, è tutta su
questa tematica:
“Se aprende a callar con los años[...] Se nace sin palabras/ Y con todas las palabras rotas nos vamos[...]
aunque vivir sea enmudecer”.
Ancora
in Sinceramiento:
“Y callarse sería lo más sabio. / Aunque parecería poco humano/–porque hay que
parecer humano”. Silenzio, nell’intera sfera terrestre in Gramatica:
”Y si la
tierra fuera/ toda ella una copa de silencio”.
Abbiamo
detto della sorpresa di fronte a uno stile completo, senza enfasi, esagerazioni
o cadute in un autore così giovane. Una disperazione composta, uno stile
pacato, vigile. Qui, in questo libro, senza che vi sia alcun riferimento
preciso, si respira un’aria classica –sto parlando sempre della prima sezione– che
mi ha rimandato addirittura a una concezione di natura presocratica, ai quattro
presocratici elementi. La terra come
elemento è certamente implicita, ma più volte è presente il fuoco, in
dialettica con l’acqua e l’aria.
Javier tra parole e silenzio è senz’altro
dalla parte del silenzio e questo suono del silenzio lo si ascolta nelle sue
poesie. I suoi
versi sono tutti circondati di silenzio e nel silenzio salgono e scendono le
parole. Questo salire e scendere è talvolta rappresentato da una scala, ma più
spesso –secondo l’equazione a cui prima facevamo riferimento, cioè uomo uguale
a essere dotato di parole– parole e
corpi levitano nell’aria e ignorano le scale. Non sempre tuttavia la sfida
alle leggi di gravità ha buon esito, se la mano del poeta può scrivere il Tríptico de la caída, scrivere
della sua “soledad de hombre”.
Sonido–
ruido–musica: dove il suono è la
qualità neutra, intermedia che può farsi rumore o musica. La poesia come la
musica ha una parentela più stretta con il silenzio che con il rumore
“La música es un
golpe de silencio”;
“Vibra
alegre la cuerda del silencio”
Se una
corda trema produce suono, ma se questa corda che trema è la corda del
silenzio, quale musica di silenzio produrrà? Tuttavia anche emergere tramite la
parola, lo stesso farsi poeta, comporta dei rischi, è in sé ruidoso “Qué ruidoso ser
uno”
Nella seconda parte torna come protagonista la finestra, che era già nel titolo e
nel doppio esergo. Gli esergo in questo libro sono scelti con grandissima cura,
anzi la poesia che dà il nome alla raccolta è in parte riflessione e rifacimento
della frase, posta in esergo, di Pessoa. C’è solo un altro esergo all’interno
del libro, quel classico “April is the cruellest month” di Eliot, mentre
numerosissime, a indicare anche conoscenze e letture vaste, le dediche di singole
poesie, a poeti argentini come Jelman e Juarroz, –quest’ultimo ispira un Homenaje vertical e forse anche la
numerazione ordinale che compare in tutto il libro. Tomas Segovia, altro autore
dedicatario, può essere considerato spagnolo o messicano ma, come altri autori qui
citati, ha radici che affondano nella cultura europea, soprattutto francese. Poi
poeti e critici spagnoli, un pittore e un musicista, già citato.
Tornando
al tema della finestra, il primo esergo da José Angel Valente si riferisce a
ciò che si vede da una finestra aperta, a una memoria pertanto precisa e
limitata, allo sguardo che a partire da un certo punto di vista, si spinge
fuori.
Il
secondo esergo è da Pessoa e parte da un’affermazione assoluta, di metafisico
pessimismo: c’è solo una finestra chiusa e tutto il mondo fuori. Poi con un
movimento contraddittorio che a Pessoa è naturale, passa a giocare con le
ipotesi, con i modi verbali della possibilità, e con quelli della realtà:
quello che potresti vedere quando la finestra è chiusa non è quanto vedi quando
la finestra si apre.
Ventana è posta in relazione a
cuerpo le due
parole tornano correlate a inizio di poesia e poi a metà della medesima
“un
cuerpo queda quieto, o retrocede,/ y la ventana está ya más cerca”.
La
finestra non è lì perchè si possa guardare al di là, la finestra è una porta nell’aria, ed è lì a proporti di oltrepassarla.
Ma le finestre sono anche altro,
sono i possibili varchi per trapassare da una parte all’altra i corpi come
dirà, più oltre, in Escaleras arriba:
“Quien
dijo que fuera possible [...] saltar por las
ventanas de un cuerpo / sin saber que caeremos un día / a la tierra, lejos de todos los cuerpos?”
In
questa seconda sezione appare anche frequente il concetto di deseo e la sua funzione di creatore di realtà, anche
di realtà fittizie:
“Solo el
deso da nombre a las cosas”.
Ancora al
centro della scena la finestra in Recomienzo,
una poesia ispirata al primo freddo d’autunno, alla volontà, forse anche
metaforica, di accettare infine quel freddo, quel cambiamento di stagione.
Nella terza e nella quarta sezione lo sguardo si apre sul fuori, sulla strada, agli
amici, l’amicizia come illusione come in Amistad
a lo largo dove per due volte si ripete
“Nunca
estuvimos solos” per completare la terza volta “Nunca estuvimos solos come
ahora”.
Ritorna
qui l’impegno a essere uomo, difficilissimo compito se ti riconosci come in Kind of Grey
“un
hombre oscuro que busca quebrar/ la presencia estancada de la tarde, / y que
cansado de ser hombre no sabe cómo”.
Il
concetto di essere uomo torna ancora in A
pesar de todo: “no soy temor ni vacío [... ] acaso hombre, y hombre sólo y siempre”.
E ancora,
nella poesia che dà il nome al libro: “Mirando nadas se costruye un hombre”.
Il libro
termina con una quinta sezione che comprende una sola poesia, dove si chiude il
cerchio. Ma si chiude o rimane aperto? Il segno grafico finale è
un’interpunzione, i due punti, che compare solo qui, in tutto il libro. “Se
fueron todas las palabras // Alguien debe
firmar este silencio” Ma quella firma resta?