lunedì 24 febbraio 2014

Arioso e lieve come un’ostia calma – Una lettura di “I compianti” di Maria Pia Quintavalla – di Piera Mattei





 “China” e “I compianti”. Mettiamoli a fronte questi due libri, perché così sono nati: il primo con volontà di soluzione di un rapporto intenso e burrascoso con la madre, la sua padronanza, la sua fisicità, la sua apparenza. Il secondo come più sereno risarcimento al padre, genitore a cui è dovuto il finale accudimento – e il ricordo, soprattutto.
Il padre è anche la storia. Non la storia personale, la costruzione di una individualità, ma la storia che attraversano i popoli, con le guerre, quelle ritualizzate accensioni di crudeltà di massa, quando agli individui è ordinato di commettere e di patire quello che in normali condizioni non commetterebbero e non sopporterebbero mai.
Il libro si arricchisce, sbilanciandosi quasi per la forza del documento, di racconti del campo di concentramento tedesco, dove, tra tanta fame e tanto squallore, trionfa la volontà di essere umani, civili, (italiani!) con la costruzione di un presepe a Natale e soprattutto con l’avventuroso allestimento di un “Rigoletto”, replicato per ben due volte.
Nel libro dedicato a China le due donne (la madre nella pienezza giovanile, la figlia adolescente ribelle) si fronteggiavano dal fronte e dal retro di copertina, in foto che potrebbero racchiudere, in un’immagine, l’essenza atemporale della loro personalità. Qui, in “I compianti”, sulla copertina, ad additare una condizione ineliminabile, il compianto sul morto, di chi resta, madre o figlio che sia.
Non è secondario però che Maria Pia abbia scelto un soggetto che nella sua Emilia conosce una grande diffusione sia nell’arte popolare che nella pittura e nella statuaria di grandi artisti. Perché, lo abbiamo detto, qui la cornice storico-artistica, è molto importante e il luogo  dove si è costruito “il nido”, fondamentale.  Foto diverse illustrano perciò scorci e immagini della natia Parma, ma ancora più interessante è la foto dei genitori che garbatamente sottobraccio guardano nell’obbiettivo, dove l’esuberanza della presenza e del sorriso di lei contrasta con un atteggiamento quasi dimesso e timido, una magrezza, che non esiterei a definire postbellica, nel corpo di lui, appagato da quella vicinanza.
Quindi erano così i genitori, quando erano giovani. E non è irrilevante la presenza di queste foto, non nasce solo da una quasi-passione documentaria, perché infatti ogni fine acquista il suo senso da quello che è stato l’inizio e viceversa.
Ma la poesia qui nasce soprattutto contemplando la fine, il corpo morto del padre, da detergere e vegliare, con sacra pietas:
Odorava di buono e versi
agonizzanti al largo,
ma le gambe erano ben tornite
il pene che non avevo mai veduto
riposava allungato,
la mano artistica segreta
poggiava al petto;
dormendo a lui vicino nella casa
per tre notti, in positura angelica
il gesto della pietas

O nasce, la poesia, nel ritrovarli, i genitori, anche dopo la morte e il probabile disfacimento, l’una accanto all’altro. E si affaccia allora quell’interrogativo:
Poi, cos’è il paradiso?
Un succedersi a riparare colpe,
un evolversi sciogliendosi in stagioni
(dove non eravamo stati).

Al buio li trovai, nella liquidità,
lei senza lune e insegne,
lui, il capo reclinato. Lei senza fiori
ma sorrideva angelica –
una dalia rossa le portai, unita
al puffo del crisantemo.
Meno legato al tema del corpo morto, ma invece al vuoto, al desiderio ancora di avere e vedere chi non c’è più, è il poemetto Come potere trattenerti, che contiene forse i versi più belli dell’intero libro:
.....
Padre che non sei mai partito affatto,
ma viandante ci sorridi additando
in un gesto più segreto il riso
o uno scongiuro,
della bianca camicia spezzi un giorno
arioso e lieve come un’ostia calma
che sa di carta e pane, che fa luce,
poi ci accenni che vivere e deambulare
sono la stessa cosa

Dedicato al padre e al suo compianto, il libro contiene tuttavia poesie ispirate ad altre tematiche. Tutte, con grande coerenza, mantengono il loro perno intorno alla famiglia, la città, gli affetti. Anche la lingua non conosce scarti: è insieme semplice e sapiente, adatta, direi quasi, a fare evaporare da queste pagine un profumo di domestici incensi, la naturale religiosità del ciclo vitale.

Maria Pia Quintavalla – Compianti – Effigie 2013