Maria Gabriella Canfarelli che è nata e vive a Catania, ha pubblicato diverse raccolte di poesie e collabora assiduamente come critico a importanti riviste di poesia, tra le quali "pagine".
Queste sette poesie inedite tornano sul tema della fisicità e del dolore, modulato dalla consapevolezza che nel parlare del male e del dolore occorre tenere ben affilato lo strumento dell'ironia e dell'autoironia.
Il mare non suscita una contemplazione estetica ma una diagnosi o meglio una percezione, di quanto lutto e distruzione muova nella sua livida massa.
Come poeta e come donna lei s'avvia di buon mattino verso il luogo di lavoro, verso il dovere amaro, mentre il corpo avverte insufficiente il riposo notturno, anzi trattiene nel suo tessuto l'incubo della notte.
Le ossa i vasi sanguigni: questa poesia, nella sua forma breve, nel suo lessico sonoro, è in continua auscultazione della vita che l'attraversa, delle pause, dei trasalimenti, dei mutamenti. E cerca una pace distante, prova ancora una volta a darsi i consigli per vivere bene.
(piera mattei)
sbarchi
carta strappata,
mare grosso e maggio
piumato alla cima dell’onda
che spiaggia, si sfascia,
ritira le dita
e a terra lascia poco
fiato a rendere:
corde sfibrate, bottiglie
senza tappo né mappa
d’isola del tesoro,
panni di schiuma e sale
tanta livida acqua
che insieme tutti
liberati sbarca
da un’altra
a questa inumidita sponda.
all’osso che conserva
vado per questo
tempo e per
quest’ora
stranita penso
al primo itinerario
del mattino
al riposo turbato
da un punto all’altro
del corpo
dove l’umido è entrato
passando dalla carne
indolenzita all’osso
che conserva del dolore
un ricordo perfetto,
dove la mano corre.
corpo domestico
nella casa
dimorano gli umori,
solstizio
guasto e pulviscolo.
La memoria ossidata,
il silenzio cresciuto
negli occhi. Vene
stracolme sbattono,
scricchiola l’ossatura.
Ci sarebbe da
prendere a cuore,
lucidare un
antico amuleto
da mettere al muro
o alla porta, se
veglia o dorme
in un dolore tattile
l’immagine del cielo
rosicchiato,
rosso cupo di ruggine.
scena e sipario
potesse
alleggerirsi del peso
non resterebbe
a stringersi le braccia
e l’istante che spiccica
parole in fronte
scritte cancellate
se incontra una riga
di freddo per finire
l’estate
e pienaluna
che ha fretta di
cambiare (e può
sparire)
dopo l’occhiata
dei visitatori.
veduta interna
la prossima
distanza è questa notte
di polpa sgranata
e indoviniamo intrighi
e male in pancia
senza un esame autoptico
che dimostri l’insidia
ingoiata, pronta
a scattare di lama
il giorno che saremo distratti
come le volte accade,
d’un tratto, di vedere dai rami
del corpo fiorire altre ferite,
altro sangue a perdere.
consigli per vivere bene
suggerisci
una sana equidistanza
tra residui compensi,
risultati asfittici
fin troppo stretti, anche
per la mia taglia calibrata.
Definisci la somma
vitale d’esperienza
in prima persona,
testimonia sanezza di mente
portando pronto all’uso
il timbro ironico,
come un coltello in tasca
che faccia più sanguigna la battuta.
imperfetto
per anni
il sonno le fioriva
l’occhio, a tutto chiaro
aperto sulla fronte
a vedersi la faccia
sognata. Adesso scende
senza un punto fisso
su cui restare in piedi
portando a mente nomi
addormentati, cose che
a ripensarci fanno male:
il bene diluito ogni mattina
sotto il coro stonato dell’acqua
come una voce andata fuori tempo,
come un canto imperfetto
in una chiesa.