domenica 27 gennaio 2013

Da Pechino 2 – Lo sviluppo economico e l'etica, di Claudio Marcelli




Pechino all'alba:luce diffusa da polveri nell'atmosfera
Mi sveglio tutte le mattine immancabilmente verso le 8, non prima. È sicuramente ancora un problema di jetlag e al mattino non riesco a vedere la luce filtrare dalle nubi. Mi è successo solo due giorni fa a Pechino quando per poter prendere l’aereo che mi avrebbe riportato a Hefei, alzandomi alle 6 e 30, ho aperto la finestra dell’albergo all’undicesimo piano e ho visto la luce diffusa dalle particelle in sospensione nell’atmosfera. Pechino in questi giorni è una città dove il livello delle polveri sottili ha veramente raggiunto valori impressionanti. In questi ultimi mesi, il problema dell’inquinamento è in Cina all’ordine del giorno, non solo a Pechino, dove per motivi di salute l’amministrazione sta per varare importanti misure di limitazione del traffico.

La Cina è in un paese con uno sviluppo sociale ed economico estremamente sbilanciato, che soffre troppo spesso delle scelte di amministrazioni deboli o non adeguate ad affrontare la crescita avvenuta nelle principali realtà urbane e in molte grandi aree ormai fortemente urbanizzate del paese. La vecchia generazione è sicuramente inadeguata e la nuova è spesso impreparata di fronte a problemi che metterebbero in difficoltà amministrazioni occidentali in principio molto più competenti ed esperte. Dal punto di vista ambientale molte sono le situazioni a grande rischio, non solo nelle città più grandi come Pechino, dove ormai troppo spesso l’inquinamento raggiunge valori che in occidente sarebbero di gran lunga considerati drammatici, ma anche nelle aree rurali dove si sfiorano spesso disastri legati all’inquinamento delle acque o dell’aria.

Tuttavia il problema dell’inquinamento sta ormai entrando nella coscienza di tutti e la Cina è senza dubbio impegnata con uomini e risorse anche nella direzione di una rivoluzione tecnologica e industriale che pensa e guarda a un futuro in cui l’ambiente è un valore da difendere. In fondo, la straordinaria e quasi incontrollata crescita di questo paese è stata paradossalmente principalmente alimentata dalla domanda di beni di largo consumo che proveniva dall’occidente. Niente a che vedere con una crescita armoniosa e controllata guidata magari da un mercato interno che cresce molto più lentamente. Questo però non sarà più possibile, non solo perché l’occidente non gode più della salute economica di qualche anno fa, e questo diminuisce la domanda di beni prodotti in Cina, ma anche perché l’obiettivo ormai dichiarato di questo paese è di riequilibrare lo sviluppo economico interno.

Un processo di rapida crescita economica non può essere realizzato senza una crescita culturale ed etica della società. Questo dovrebbe essere un valore affermato e alimentato quotidianamente anche in occidente dalle istituzioni preposte.

Mi viene in mente una frase del Prof. Mottana, che parlava del nostro paese alla Cerimonia di chiusura del recente Anno Accademico dell'Accademia Nazionale dei Lincei:
La prevenzione contro i terremoti è per ora impossibile - e l’abbiamo costatato recentemente in Emilia - ma va insistentemente perseguita, a differenza di quella vulcanica, già nota. Nel Novecento i morti per eruzioni sono stati poco più di un centinaio, mentre quelli per cause sismiche circa 120.000. C’è una grande disparità di effetti tra i due disastri, ma il nocciolo del problema non è qui. La natura infierisce sì, ma non più di tanto e non dappertutto nello stesso modo in Italia, certo molto meno che in Indonesia o in Turchia. È piuttosto il nostro paese che non ha fin qui dimostrato di saper coniugare la prevenzione dai rischi naturali con il suo sviluppo, soprattutto urbanistico!”


Penso a questo punto all’Ilva a Taranto e a quello che è successo soltanto ieri nel nostro paese: terremoti e slavine distruggono e continuano a fare vittime, eppure nelle trasmissioni politiche alla TV e alla radio che ascolto, sui giornali e nelle pagine web che leggo, nessuno parla di ambiente. Ancora una volta le parole chiave non sono energia, ambiente, inquinamento, sicurezza del territorio, ma come sempre, al solito, solo destra, sinistra, banche, mazzette, tasse, processi
Forse, un giorno, dopo l’Ilva, i giornali scopriranno che in Italia, la regione più popolosa del paese, la pianura padanoveneta – che alcuni chiamano Padania e vantano come la regione più ricca d'Europa – caratterizzata soprattutto in inverno da un’alta pressione stabile con basse temperature al suolo e scarsa ventilazione, è una regione non solo ideale per la nebbia, ma di fatto una delle zone più inquinate al mondo e sicuramente al primo posto in Europa, grazie alle emissioni prodotte dagli impianti di riscaldamento, alle attività industriali, all’allevamento intensivo e a più di venti milioni di veicoli circolanti. 

domenica 20 gennaio 2013

Parlare di Cina per costruire un' Italia diversa di Claudio Marcelli



Leggo i giornali mentre volo a più di 11.000 metri di quota verso la Cina. Lascio un paese in pieno dibattito elettorale che si avvia preoccupato verso le prossime elezioni. Sto tornando a Hefei per completare il mio periodo di visiting professor alla USTC. Questa università della Chinese Academy of Science è oggi l'università cinese con il più alto livello di high citation papers. Con i suoi circa 7200 undergraduate, più di 8800 graduate e ben più di 6300 Master è la prima università della Cina nel Nature Publication Index del 2011. Per capire la competizione per accedere a questa Istituzione, gli studenti accolti alla USTC sono un numero compreso tra il tre e il cinque per mille degli high-school graduate che applicano ogni anno attraverso un concorso nazionale.

L’interesse cade immediatamente su un articolo di Keith Bradhser in prima pagina sull’International Herald Tribune di oggi 18 gennaio, dal titolo “La Cina pensa che il prossimo boom siano i laureati”. Un paese che in poco più di un decennio è passato dal 7% a quasi il 15% del PIL mondiale, che contribuisce oggi per più di un terzo alla crescita mondiale e che presto sarà la prima economia del mondo, deve far riflettere se decide che il suo prossimo obiettivo è investire sull’istruzione. La decisione di cambiare il sistema di istruzione per renderlo più simile e possibilmente anche migliore di quelli oggi esistenti negli Stati Uniti e in Europa pone delle domande sulle conseguenze che potrà avere nel prossimo futuro non solo in Cina, ma sull’intero pianeta.

L’attuale piano quinquennale Cinese che terminerà nel 2015 è concentrato su sette priorità tra le quali ovviamente troviamo l’energia, la protezione dell’ambiente, le biotecnologie e le tecnologie dell’informazione. Saranno investiti circa due trilioni di Euro (1 trilione di Euro equivale a un milione di miliardi di Euro!) per sostenere le industrie che lavorano in questi settori strategici. Una politica di questo tipo richiede ovviamente investimenti umani adeguati e poiché la Cina oggi diploma in media solo tre studenti su cinque, una percentuale analoga a quella che gli Stati Uniti avevano intorno alla metà degli anni 50 del secolo scorso, si è pianificato di incrementarla fino a raggiungere in meno di un decennio, l’attuale percentuale degli Stati Uniti. La quantità non può essere considerata un parametro di qualità, e a certi livelli molto dipende dalla qualità dei docenti, tuttavia i numeri sono impressionanti. Ora questo immenso paese laurea nei suoi campus universitari e college circa otto milioni di studenti l’anno e intorno alla fine di questo decennio il numero dei laureati cinesi sfiorerà dunque i 200 milioni: un quarto della popolazione europea e più della metà della popolazione degli Stati Uniti!

Mentro penso, continuo a sfogliare i giornali e a pagina 48 del Corriere della Sera trovo il commento di Edoardo Segantini “Non più soltanto la fabbrica del mondo. La Cina prepara il boom dei laureati” probabilmente, anche lui colpito dai numeri pubblicati già qualche giorno fa dal New York Times. La Cina investe quasi 2500 miliardi di dollari nel capitale umano e nel suo sistema di high education basato su circa 2500 università. Certamente queste strutture non sono tutte uguali e nemmeno egualmente competitive, ma tutte sono sicuramente fondamentali per continuare ad alimentare la crescita economica e sociale di questo paese. Se paragoniamo la Cina a un veicolo e l’intelligenza al suo motore, non è difficile ipotizzare che tra pochi anni questo paese avrà un veicolo con “molti cavalli” in grado di spingerlo molto in avanti.
La sfida della “democrazia” dell’istruzione è una gigantesca sfida, forse la più grande mai affrontata dalla Cina, ma la macchina è ormai accesa e presto capiremo se sarà una Formula uno come gli Stati Uniti o il Regno Unito o magari ancora solo una utilitaria. Mi viene in mente ovviamente la Ferrari e il pensiero corre all’Italia, un paese forse uscito dal baratro di una gravissima crisi economica frutto di politiche scellerate, ma oggi alle prese con inevitabili tagli alla spesa pubblica e ovviamente anche all’istruzione. Privatizzare, tagliare, scegliere, chiudere, investire ….. quali saranno le parole d’ordine nel futuro del nostro paese per il sistema dell’istruzione? Oggi possiamo solo dire che la macchina è ferma ai box in attesa di benzina, accesa solo dalla passione di molti educatori che quotidianamente in “frontiera” continuano a insegnare e parlare di cultura ai nostri figli. Noi siamo certamente il paese della Ferrari, dell’alta moda o della pizza, ma soprattutto dell’arte e della cultura. In Italia sono nate le prime università, l’intero pensiero scientifico si fonda sul pensiero Galileiano e ancora oggi il nostro paese continua a produrre eccellenze. I nostri giovani non hanno quasi mai difficoltà a trovare posizioni all’estero ma ancora per quanto tempo sarà così? E’ necessario trovare risorse per alimentare il motore della nostra Ferrari. Pensiamoci andando a votare il 24 e 25 febbraio.

Nella foto Claudio Marcelli

venerdì 18 gennaio 2013

LONDRA:UN' APPARIZIONE SU BOW ROAD


Perché sono rimasta così colpita da questa folla di teste coperte di un velo bianco, ragazzine,  te ne accorgi dalle risate e dai gridi, che stanno uscendo da scuola e sciamano a gruppi, a coppie,  lungo  i larghi marciapiedi di Bow Road?
Loro nella divisa dei colori tradizionali dei collegi, gonna lunga grigia o pantaloni larghi grigi, giacca blu, sono nuove londinesi, ragazze probabilmente nate in questa città che è la loro, sono io la turista, l'estranea ai luoghi. È per questo forse che un sentimento misto di gioiosa sorpresa e di paura mi prende, mentre continuano a uscire a decine e attraversano l'ampio viale, riempiendolo sui  due lati,  come per un'occupazione pacifica.
Rifletto che ho visto più i segni di un'appartenenza islamica serena e orgogliosa qui, nel centro di Londra, che nei miei recenti viaggi a Istanbul. Queste sono bambine,  il velo bianco non è solo, mi dico,  parte della loro divisa è anche il segno di una femminilità ancora quasi infantile. Teenegers significa,  nel loro contesto,  giovani vergini,  con segnali inequivocabili. Minoranze non più,  nella prima metropoli d'Europa.