Voglio dedicare questa data dell’8 marzo 2021 a una donna, Elisa Audino, che nel suo libro “Io qui ci vivo”, (Gattomerlino edizioni2021), ha saputo parlare della sua complessa e insieme semplice esperienza di vita con i toni di una poesia vera, dal lessico quotidiano, di grande forza espressiva.
Riporto qui di seguito brani della nota autobiografica e una poesia della raccolta
Sono figlia di un operaio cresciuto in un paese di montagna e ‘sceso a valle’, come molti suoi coetanei all’epoca, per lavorare al boom economico italiano, nel suo caso in una dei tanti cementifici presenti nella provincia cuneese. Mio padre ha vissuto gli anni del sindacalismo da tornitore e da rappresentante sindacale, davanti ai cancelli, ma senza quella consapevolezza presente, l’ho capito dopo, nei capoluoghi. Lo ha pagato, credo, sulla sua pelle e con la sua salute. C’è anche lui nelle mie poesie, da anni prigioniero di una demenza vascolare precoce che ne ha minato del tutto la capacità cognitiva e di movimento. Insieme alla provincia e a un paese di montagna (Io qui ci vivo) in cui ho scelto di andare a vivere, in una vallata diversa dalla sua e con problemi che sempre di più risentono dello spopolamento, di amministrazioni latenti e di un ambiente naturale che troppo spesso viene usato anziché difeso.
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Dal 2000 lavoro in un’azienda tessile che produce in Cina e Bangladesh, prima nelle logistica e dal 2012 in import, mi raffronto con i fornitori quotidianamente, con i loro dipendenti, con colleghe e amiche che abitano sul posto.
Simona Monti, una carissima amica e collega, è morta nel 2016 in un attentato a Dacca. Era incinta, il giorno dopo sarebbe dovuta tornare per sempre a Roma. Ho visto le sue foto a terra, un fornitore bengalese me le ha mandate pensando potesse farmi piacere, probabilmente per condividere con me la sua rabbia per il modo in cui l’avevano ridotta. Uccisa a colpi di machete. Con lei, come oggi con altre presenze lontane, ho vissuto un rapporto quotidiano fatto di immagini, racconti, speranze. La vita degli altri in qualche modo non mi lascia indenne, Simona in particolare è ancora presente in ogni singolo giorno, sebbene spesso mi chieda che diritto abbia di pensarla o di scrivere di lei. Le distanze e le assenze sono uno dei temi ricorrenti, sono le distanze di un mondo globale che vivo sulla mia pelle, con amici che si sono trasferiti a vivere in altri continenti, amici che ormai non si contano più sulle dita di una mano. Non solo amici. Le vivo da un paese di montagna e in qualche modo mi vengono catapultate addosso
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Mio figlio è nato nel 2009. Tornata al lavoro sono stata declassata, cose che accadono. Ho risposto iscrivendomi all’Università un mese prima che nascesse la mia seconda figlia, nel 2012. Mi sono laureata in Comunicazione Interculturale nel 2015, con 110, con una tesi sulle questioni di genere e sulle discriminazioni lavorative legate alla maternità. Per scriverla ho conosciuto la Casa delle donne di Torino, Carla Quaglino, in particolare, ho affrontato un viaggio attraverso il femminismo torinese che mi portato a una consapevolezza che non avevo prima. E poi oltre. Sono stati tre anni intensi, ho sempre lavorato nel frattempo, ma che hanno significato molto per me. Ho ripreso a scrivere subito dopo per alcuni giornali locali, l’ultimo articolo è stato quello su Simona. Dopo non ce l’ho più fatta. Ho scritto subito dopo il mio primo breve romanzo, per circa un anno, impiegandone altri due per riscriverlo. Scrivere è riscrivere, sono d’accordo, dovevo passare sulle mie ceneri e l’ho fatto. In quel libro la figura di Simona è evocata spesso, così come il consumo, le merci, la globalizzazione, il corpo.
Nel 2017 mio figlio è stato ricoverato per un tumore al cervello. Un’esperienza di dolore intenso che ha bloccato ogni cosa, anche la specializzazione in Sociologia che nel frattempo stavo frequentando e per cui avevo già sostenuto alcuni esami e che poi non ho più ripreso. Mio figlio è stato fortunato, ha subito un’operazione di dodici ore e mezzo, ma il tumore era posizionato in un posto meno terribile di altri e i tumori al cervello non creano metastasi. Oggi è sano, sta bene, suona il pianoforte, ha ancora qualche problema di concentrazione. E io ho iniziato a scrivere poesie dopo quell’esperienza.
Le bilance poetiche
Dà spessore
una certa mascolinità allunga
citare la terra,
non credi?
Qualcosa a che fare
con il reiterare se stessi.
Ma dimmi
che c’è di poetico
nel silenzio
quand’è timore del mancato decoro
e odora di quieto vivere
[abbiamo tutti diritto a una tv al plasma
e a un vaso di fiori al cimitero]
nell’essere disarmati
dal fare corpo
Camerata, attenti!
[dalle istituzioni
caritatevoli
sempre]
quand’è notoriamente fuori tema
alzare la mano
affare non inerente al
ringrazia che hai un lavoro
[Grazie!]
Che c’è di poetico
nel caricare bifolchi su un pullman
condurli a una sorgente d’alta quota
stranirli con l’aria pulita
e l’allegra compagnia,
legittimare la sacralità
delle loro aspettative commerciali
[le offerte della domenica
e il Prime, per inciso]
Che c’è di poetico
negli scheletri abusivi di cemento
nelle triadi sindaci-geometri&figli
nel palazzo a cinque piani
che ostruisce la sagoma del Monviso
nei condomini vuoti
nei cottage di cartone progettati a nord
nel vino dell’ipermercato
nell’amico senza patente
che guida con un cartoccio in mano
nell’età in cui era definito brillante
e ora non più
nella madre che passa le giornate
a rincorrerlo in ogni taverna,
in ogni osteria,
nella vecchia che è diventata,
nella tessitura chiusa da anni
e nei camion carichi d‘acqua
all’uscita di scuola.
Nel bacino privato
che produce energia per il fondovalle
nei solchi dei fuoristrada
e nei fucili a colazione,
insieme ai croissants.
Nelle frane.
Nel recintare bambini
in un campo da calcio
ed esserne orgogliosi,
sempre !
[senza mai rinunciare
ad avviarli al bar]
Nell’ospizio in cui è rinchiuso
mio padre
insieme al padre del costruttore
dell’ex-sindaco
dell’operaio
dell’ex-bambino
dell’alcolizzato
del cacciatore.
Hai ragione.
Le strade di questo paese
hanno bisogno
di una bilancia poetica,
ma io non credo
sia mio dovere
alleggerirne la tara.
(Gattomerlino edizioni 2021)