sabato 6 marzo 2021

Elisa Audino: figlia di un operaio, impiegata in un’industria tessile in un piccolo centro alpino, madre, scrittrice


  


 

Voglio dedicare questa data dell’8 marzo 2021 a una donna, Elisa Audino, che nel suo libro “Io qui ci vivo”, (Gattomerlino edizioni2021), ha saputo parlare della sua complessa e insieme semplice esperienza di vita con i toni di una poesia vera, dal lessico quotidiano, di grande forza espressiva.

Riporto qui di seguito brani della nota autobiografica e una poesia della raccolta

 

 

Sono figlia di un operaio cresciuto in un paese di montagna e ‘sceso a valle’, come molti suoi coetanei all’epoca, per lavorare al boom economico italiano, nel suo caso in una dei tanti cementifici presenti nella provincia cuneese. Mio padre ha vissuto gli anni del sindacalismo da tornitore e da rappresentante sindacale, davanti ai cancelli, ma senza quella consapevolezza presente, l’ho capito dopo, nei capoluoghi. Lo ha pagato, credo, sulla sua pelle e con la sua salute. C’è anche lui nelle mie poesie, da anni prigioniero di una demenza vascolare precoce che ne ha minato del tutto la capacità cognitiva e di movimento. Insieme alla provincia e a un paese di montagna (Io qui ci vivo) in cui ho scelto di andare a vivere, in una vallata diversa dalla sua e con problemi che sempre di più risentono dello spopolamento, di amministrazioni latenti e di un ambiente naturale che troppo spesso viene usato anziché difeso.

[...]

Dal 2000 lavoro in un’azienda tessile che produce in Cina e Bangladesh, prima nelle logistica e dal 2012 in import, mi raffronto con i fornitori quotidianamente, con i loro dipendenti, con colleghe e amiche che abitano sul posto. 

Simona Monti, una carissima amica e collega, è morta nel 2016 in un attentato a Dacca. Era incinta, il giorno dopo sarebbe dovuta tornare per sempre a Roma. Ho visto le sue foto a terra, un fornitore bengalese me le ha mandate pensando potesse farmi piacere, probabilmente per condividere con me la sua rabbia per il modo in cui l’avevano ridotta. Uccisa a colpi di machete. Con lei, come oggi con altre presenze lontane, ho vissuto un rapporto quotidiano fatto di immagini, racconti, speranze. La vita degli altri in qualche modo non mi lascia indenne, Simona in particolare è ancora presente in ogni singolo giorno, sebbene spesso mi chieda che diritto abbia di pensarla o di scrivere di lei. Le distanze e le assenze sono uno dei temi ricorrenti, sono le distanze di un mondo globale che vivo sulla mia pelle, con amici che si sono trasferiti a vivere in altri continenti, amici che ormai non si contano più sulle dita di una mano. Non solo amici. Le vivo da un paese di montagna e in qualche modo mi vengono catapultate addosso

[...]

Mio figlio è nato nel 2009. Tornata al lavoro sono stata declassata, cose che accadono. Ho risposto iscrivendomi all’Università un mese prima che nascesse la mia seconda figlia, nel 2012. Mi sono laureata in Comunicazione Interculturale nel 2015, con 110, con una tesi sulle questioni di genere e sulle discriminazioni lavorative legate alla maternità. Per scriverla ho conosciuto la Casa delle donne di Torino, Carla Quaglino, in particolare, ho affrontato un viaggio attraverso il femminismo torinese che mi portato a una consapevolezza che non avevo prima. E poi oltre. Sono stati tre anni intensi, ho sempre lavorato nel frattempo, ma che hanno significato molto per me. Ho ripreso a scrivere subito dopo per alcuni giornali locali, l’ultimo articolo è stato quello su Simona. Dopo non ce l’ho più fatta. Ho scritto subito dopo il mio primo breve romanzo, per circa un anno, impiegandone altri due per riscriverlo. Scrivere è riscrivere, sono d’accordo, dovevo passare sulle mie ceneri e l’ho fatto. In quel libro la figura di Simona è evocata spesso, così come il consumo, le merci, la globalizzazione, il corpo.

Nel 2017 mio figlio è stato ricoverato per un tumore al cervello. Un’esperienza di dolore intenso che ha bloccato ogni cosa, anche la specializzazione in Sociologia che nel frattempo stavo frequentando e per cui avevo già sostenuto alcuni esami e che poi non ho più ripreso. Mio figlio è stato fortunato, ha subito un’operazione di dodici ore e mezzo, ma il tumore era posizionato in un posto meno terribile di altri e i tumori al cervello non creano metastasi. Oggi è sano, sta bene, suona il pianoforte, ha ancora qualche problema di concentrazione. E io ho iniziato a scrivere poesie dopo quell’esperienza.

 

Le bilance poetiche

 

Dà spessore

una certa mascolinità                          allunga

citare la terra,

non credi?

Qualcosa a che fare

con il reiterare se stessi.

Ma dimmi

che c’è di poetico

nel silenzio

            quand’è timore del mancato decoro

            e odora di quieto vivere

            [abbiamo tutti diritto a una tv al plasma

            e a un vaso di fiori al cimitero]

nell’essere disarmati

            dal fare corpo

            Camerata, attenti!

            [dalle istituzioni

            caritatevoli

            sempre]

quand’è notoriamente fuori tema

alzare la mano

affare non inerente al

ringrazia che hai un lavoro

            [Grazie!]

 

Che c’è di poetico

nel caricare bifolchi su un pullman

condurli a una sorgente d’alta quota

stranirli con l’aria pulita

e l’allegra compagnia,

legittimare la sacralità

delle loro aspettative commerciali

            [le offerte della domenica

            e il Prime, per inciso]

 

Che c’è di poetico

negli scheletri abusivi di cemento

nelle triadi sindaci-geometri&figli

nel palazzo a cinque piani

che ostruisce la sagoma del Monviso

nei condomini vuoti

nei cottage di cartone progettati a nord

nel vino dell’ipermercato

nell’amico senza patente

che guida con un cartoccio in mano

nell’età in cui era definito brillante

e ora non più

nella madre che passa le giornate

a rincorrerlo in ogni taverna,

in ogni osteria,

nella vecchia che è diventata,

nella tessitura chiusa da anni

e nei camion carichi d‘acqua

all’uscita di scuola.

 

Nel bacino privato

che produce energia per il fondovalle

nei solchi dei fuoristrada

e nei fucili a colazione,

insieme ai croissants.

 

Nelle frane.

 

Nel recintare bambini

in un campo da calcio

ed esserne orgogliosi,

sempre            !

            [senza mai rinunciare

            ad avviarli al bar]

 

Nell’ospizio in cui è rinchiuso

mio padre

insieme al padre del costruttore

dell’ex-sindaco

dell’operaio

dell’ex-bambino

dell’alcolizzato

del cacciatore.

 

Hai ragione.

 

Le strade di questo paese

hanno bisogno

di una bilancia poetica,

ma io non credo

sia mio dovere

alleggerirne la tara.

 

(Gattomerlino edizioni 2021)