mercoledì 13 ottobre 2010

Ricevo a Boston da Biagio Propato per Giulia Perroni




Giulia Perroni Lo scoiattolo e l’ermellino Edizioni Del Leone 2009


UN POEMA INFINITO E SEMPRE AL SUO INIZIO


“ Inizierò non da qui, ma da lontano,
inizierò dalla fine, che è anche l’inizio.
Il mondo era il mondo. E questo significava
tutto ciò che volete in questo mondo.”

Come la poetessa russa Bella Achmadùlina, comincia la sua poesia “ In memoria di Boris Pasternack”, iniziando dalla fine, cosi anche noi inizieremo con una lettura “ A rebours”, dell’opera precipua di Giulia Perroni. Viaggio Totale, senza fine, che investe tutto l’esperibile dai sensi e va oltre, denudandosi del suo carico, simile al leggero e pesante rimbaudiano battello, per cercare il porto, la meta, un Ararat sulle cui cime posare la chiglia per contemplare i rigurgiti dei marosi, ormai lontani, dopo il diluvio, dopo la divina catartica tempesta. L’arca su cui naviga la poetessa non teme scogli, bufere, s’inerpica sino alle altezze e scende sino agli abissi, lasciandosi trascinare senza opporre resistenza, anzi, cercando di accogliere ogni cosa in sé, in un mistico afflato tantrico, in un abbraccio berniniano. A volte, il timoniere abbandona per un lasso il suo timone e guarda il legno cavo scorrere tra le correnti, verso un dove ignoto, tutto da vedere.

“ Guarderò la polvere nei tuoi occhi
per vedervi chiara la vita
e come l’estasi del viaggio
possa frantumare l’attesa
e come non siamo portati a comprendere
che il mistero è una vita più grande
quando in punta di piedi
per l’iniziativa del maestro
si raccapriccia il sondaggio
delle nuvole basse
della corona.”


Agile come uno scoiattolo e innocente e puro come un ermellino, il pensiero smette di pensare e ritorna alle origini, al Giardino, mai perduto interamente, per poi ripartire, in una sorta di viatico interminabile, che reca in sé il germe dell’eterno divenire, sia pur affondando, naufragando, morendo ogni giorno, ogni istante, ma risorgendo sempre.
Quando parliamo della novità, e ci lamentiamo per la sua assenza, dovremmo invece estinguere la pigrizia che ci costringe a non vedere ciò che accade dentro e intorno, per accorgerci subito che tutto è sempre in moto, nuovo.

Novità aggiunge al vecchio preesistente, questa opera potente, onnicomprensiva di Giulia Perroni, che cerca in modo strenuo la bellezza… e la trova.


“Solo la bellezza eguaglia i campi di viole
quando le punte si affidano ai miraggi
e come una domanda il paradiso si allarga
nel deserto che neanche il questurino
riesce a dimenticare.”


Che cerca in modo instancabile Poesia… e la trova, ma deve continuamente ricercare, per ritrovare.


“ La poesia
è una proposta di sangue
sotto al gelso abitudinario,
per sette corone
ha devastato l’istante
e le ho detto resisti
anima della luna.”



Il flusso di coscienza è irrefrenabile, spinge ogni natura dell’autrice a completarsi nella totalità e si ferma solo per riprendere fiato, abbeverandosi alle fonti primigenie, da dove l’umano è scaturito, discende.
Inizio è fine coincidono, come in un ciclo entropico, hegeliano, eliotiano. Sembra che il frutto proibito, anche se staccato, mangiato e digerito, non sia stato mai veramente colto, sembra non vi sia bisogno di un’Apokatàstasis panthon, poiché l’innocenza originaria permane, e se il male imperversa , funesto, elefantiaco e devastante, è solo per una tantrica assenza di bene, per una agostiniana “Privatio boni.”

“Se l’origine è l’Eden
da quel giardino non ci siamo mai mossi
tutto ciò che di vero e di bello
spasima e canta
è frutto della sua ombra deliziosa e da quell’ombra il fianco non s’è scucito
guarda con stupore il male
e dice questo certo non mi appartiene
il lupo malvagio non mi prenderà.

L’agilità e la velocità dello Scoiattolo, simbolo dell’esperienza, come la Tigre, per William Blake ne “ I canti dell’esperienza”, fa compiere a Giulia Perroni un andare a ritroso, per riportarla al Giardino incontaminato, dove ritrova l’ermellino, con la sua mitezza, con la sua innata purezza, simbolo dell’innocenza, come l’Agnello per William Blake, ne “ I canti dell’innocenza”, come se nulla nel mondo fosse avvenuto, cambiato. L’Eva primèva si ricongiunge al suo ambiente e continua a generare frutti di umanità. Si legge, nella prima poesia biblica, per voce di Enàsh, Adamo, in Genesi 2, versetto 23 :


“ Questa è finalmente osso delle
mie ossa
E’ carne della mia carne.
Questa sarà chiamata Donna,
perché dall’ uomo questa è stata tratta.”


Giulia Perroni ribalta totalmente questa visione maschiocentrica, invertendo i ruoli, e la prerogativa di chi è fonte generatrice di vita, con questi versi gnomici, apodittici, che non lasciano spazi a confutazioni, tale è la decisione e la certezza, l’energia intensa con cui sono stati pensati, pronunciati, cantati, danzati, dipinti, scolpiti, incisi, e scritti.

“ E l’inizio fu donna
fu maestrale
dalla donna si genera la donna
dall’uomo non può sorgere nessuno
nemmeno la tempesta.



Il libro, diviso in undici movimenti, è un affresco in continuo sviluppo, differente, a volte, per stilemi, tematiche, lessico e visioni combinatorie, dai cinque o sei precedenti volumi, che aggiunge e sottrae, sovrappone rimembranze, nel suo farsi opera totale, che vuole non essere mai Hortus Conclus, Conventio ad excludentur, ma un Segno sempre aperto agli altri. Luoghi, persone, personaggi, antenati, fiori, piante, odori e colori isolani, storia e fiaba, si intrecciano in un connubio indissolubile, in cui tutto è sempre sospeso e sotteso da un Rùach invisibile, che continua ad alitare: permanente, immanente, trascendente, immantinente, imminente.
La hishshàh, La DONNA edenica, Generatrice e Conservatrice della Specie, assume un ruolo portante, riproponendo una lettura della storia, al femminile, facendo tutto dalla sua creatività discendere”, mentre “la teologia è maschio”, è il continuo ritornello connettivo che vuole denunciare l’ingiustizia e lo squilibrio dei ruoli nella storia.

L’autrice de “ Lo scoiattolo e l’ermellino”, si ribella a tutto ciò, dal profondo della sua consapevolezza, cerca di ripristinare la verità, contro la realtà schiacciante e opprimente, che vede la supremazia dell’uomo-maschio sui simili, sugli elementi e sulle cose.
Non è una ribellione femminista, ma una rivolta dell’anima contro l’Animus, dello Ying contro lo Yang, tesa a stabilire equilibri, armonie, eludendo alla fine, e superando la dicotomia dei sessi con una gnosi ossimorica, con lo Spirito, che non ha sesso, ma solo ali per volare e dissolvere le diatribe e le opposizioni consumate perennemente negli oscuri, fangosi e puzzolenti ipogei della storia personale e sociale.
“Lo scoiattolo e l’Ermellino", è il frutto e il compimento del primo volume “ La libertà negata”.
L’iniziazione alla poesia, il meticoloso apprendistato, l’auscultazione continua, hanno forgiato l’esperienza di Giulia Perroni facendole acquistare conoscenza e sapienza. Ella, come Rut ha saputo rinunciare ai suoi idoli, ai suoi meticci, come Naomi, ha saputo accogliere l’altro e continuando a spigolare nei campi di grano di Boaz, ha conosciuto le virtù della donna. Ha urlato il suo amore, taciuto il suo odio, seguendo l’ispirazione di Saffo, delle sorelle Bronte, di Emily Dickinson, di Jane Austen, di Virginia Woolf, di Marceline Desbordes Valmore, di Giorgina Rossetti, di K. Mansfield Beauchamp, di Edith Sitwell, di Anna Achmàtova, di Irina Cvetaeva, di Cristina Campo, di Atonia Pozzi, di Amelia Rosselli, di Marcia Theophilo, Lucianna Argentino e tante tante altre singolari nobili voci, che continuano a sussurrare in questo piccolo Rione dell’universo, che è la terra, il loro esserci state, il loro esserci.
Ma chi può veramente dire che tutto è compiuto? Il Gran Poema di Giulia, incede, sa che deve arrotolare con sé tutto ciò che ancora gli è ancòra ignoto , affinché ogni cosa ritorni al punto iniziale, come il salmone che affronta rapide controcorrente e morsi di orsi, per ritrovare il luogo di nascita: deporre le uova. Perire. Quindi il Viaggio. In altro. Eterno. Continuare…

“ Il ripetersi muta
il rito dell’acque ha una pace
di sovrumano silenzio
il piede d’alabastro
una meta per il ritorno
l’inizio folgorante del sempre.

Mi inoltro
il cammino è lucido di anemoni
la sospensione dura come un ricordo
ho più fiaccole al grido
che non questa sera struggente:
nel viola depongo le rose
vesti allucinate per il ritorno.

Avrò paura d’essermi avventurata lì dove l’acqua muta?
Il gorgoglio cammina fino a notte nel misurato senno
ma chi amando il silenzio si sarà fatta oscura
avrà rose a settembre? “

Biagio Propato