lunedì 25 ottobre 2021

Ray Benzal Martinez per John Keats traduzione italiana di Piera Mattei










Si conclude in questi ultimi mesi del 2021 il secondo centenario della morte di John Keats. Ho pensando di celebrarlo con la traduzione in italiano di una bella poesia spagnola tratta dal volume "Septimontium - Un canto a Roma" di Ray Benzal Martinez, che mi giunge appunto, molto gradito, dalla Spagna.

 La poesia si apre con un esergo tratto dalla poesia scritta da Shelley in morte di Keats.  Quindi chi parla qui è lo stesso poeta romantico giunto a Roma nella speranza di guarigione. 

Nell'ultima strofa  Ray Benzal Martinez torna a firmare la poesia in prima persona, ritraendosi come turista che lentamente s'immerge  in quella cornice consacrata alla poesia e al ricordo.






                                       

 

                                                                                       Cerca riparo all’ombra della tomba.

                                                                            Perché temere di diventare ciò che Adonais è già?

                                                                                                                                           (P. B. Shelley)

Novembre.

Scendo alla stazione, 

nel bagagliaio pochi indumenti

 e una cartella piena di fogli,

 A volte fatico a comprendere

                                            – Dipende se lo whisky della sera 

                                            era forte o allungato

 

 Che caldo! il mio vestito di tweed

 è diventato pesante.

                                        sono lontani la brezza sul ponte del ferry

                                        e la vista di pastori sui fianchi

                                        di sterile muschio a Mull.

 

 Dicono i medici che il clima mediterraneo

 mi aiuterà

                                    Che crudele ironia: io volevo diventare medico!

                                    È passato il milleottocento diciannove...

                                    annus mirabilis.

 

Le ruote sul fango trasportano la mia nuova casa,

Come si muove rapidamente la gente!   

                                                                     Mi manca l’usignolo,

                                                                    quelle sere perdute sotto il prugno!

 

E sono qui. La mia camera un letto

 un tavolo, un bacile con  acqua avanzata

sopra uno sgabello zoppo.

 

Dalla mia finestra desidero uscire all’aria

 a giocare con i ragazzini sulla piazza, 

legare l’asino, e ridere,

ridere mentre la fontana mi bagna.

 

 Dalla mia finestra, punto di fuga

 dei miei crostini con acciughe,

 sto sanguinando... I fish and chips

non sono arrivati a Roma.

                                Mi hanno negato persino l’oppio!

                               Vorrei più tempo.... Sono 

                               un riflesso si queste colonne.

 

 Dalla mia finestra,

 oh, Fanny, sei tu il mio ricordo, 

 dalla mia finestra!  

                                   Oggi sarà l’ultimo giorno. Vivo

                                   in prestito,  libro postumo 

                            prima della pubblicazione

                           (doveva essere dicembre).

 

 E piove,

E la mia vita si assimila all’acqua

sulla quale voglio che resti il mio nome,

e andarmene così,

come se dormissi ancora

dentro queste statue.

 

 Con la mia giacca aperta,

scendo a piccoli salti la scalinata

(fotogramma di Gregory Peck che tengo di fronte al letto).

Compro un gelato da Giolitti, 

mi siedo sulla barcaccia.

Guardo indietro 

Piazza di Spagna 

                               ventisei 

 

 

 da Ray Benzal Martinez “Septimontium – Un canto a Roma”– Circulo rojo 2020

 






martedì 19 ottobre 2021

Milena Vukotic all'Off/Off teatro di Roma di Piera Mattei





A ridare animazione a una strada monumentale, altera e solitaria, ha riaperto il 12 ottobre su Via Giulia, a Roma, il teatro Off/Off, dopo la lunga obbligata chiusura. Riapre con “Milena ovvero Émilie Du Châtelet”, testo di Francesco Casaretti, regia di Maurizio Nichetti. 

 

Ma quello che più conta nello spettacolo è l’interpretazione di Milena Vukotic. Lei rimane sola sul palco quasi spoglio per più di un’ora a recitare un monologo, che è un ritratto della libertina e amante di Voltaire, originale matematica e traduttrice dei Principia di Newton dal testo originale latino.  Ma in parte quel ritratto sembra essere anche il delicatamente ironico autoritratto della stessa Milena.


 Milena: autoironia, intelligenza, leggerezza. Questa ultima dote si travasa dalla fisicità agile dell’intera persona allo sguardo e al sorriso che illumina un volto irregolare e  grazioso.

 Sembra divertirsi e aderire al personaggio, anche intellettualmente. Non puoi fare a meno, mentre la guardi esibirsi sulla scena, di pensare che gli anni non hanno molto pesato su quel corpo e su quello spirito. 

Si ricorderanno altre grandi attrici che hanno calcato le scene fin oltre i novant’anni, la Borbone e Franca Valeri tra le più grandi. Tuttavia loro “resistevano” sulla scena, geniali, costanti, “nonostante” gli anni. Diverso mi sembra il caso di Milena Vukotic che dopo aver accettato, per lunghi anni della sua carriera di attrice, di essere utilizzata per interpretare, sebbene spesso con grandi registi, ruoli secondari, quasi piccoli cammei, o addirittura ruoli di caratterista, di aver raggiunto la popolarità nel ruolo grottesco della Pina, moglie del Fantozzi di Paolo Villaggio,  esplode in tutta la sua naturale grazia, ben oltre la soglia dei suoi ottanta anni rivelando la sua  più vera natura, prima come deliziosa ballerina, nel programma “Ballando con le stelle” e ora con questo personaggio intelligente, libero e autoironico.

 Più di ogni altra immagine sulla scena mi è rimasto impresso il gesto con il quale, rispondendo alle numerose chiamate della sala gremita, lei sorridendo con misurata soddisfazione, s’inchina al pubblico alla maniera delle ballerine classiche, come ancora fosse la Milena, di allora,  di quando, giovanissima, la sua professione era la danza.  

Leggo infine, compiaciuta, che il 18 ottobre, alla festa del Cinema di Roma Milena Vukotic ha ricevuto un altro importante riconoscimento, il premio alla carriera dal WiCA Women in Cinema Award come “signora del cinema, del teatro e della televisione che in virtù del garbo, la gentilezza e l’umanità che la contraddistinguono è da sempre un esempio illuminante di donna e di artista”.

sabato 16 ottobre 2021

Francesca Vitale al Cimitero acattolico di Roma di Piera Mattei




Il giorno 16 ottobre il cielo di Roma era della sua bellezza più commovente e io, sentendomi percorsa di quella strana felicità che le condizioni atmosferiche regalano, entravo nel luogo di pace e pacata bellezza che è il Cimitero acattolico.

Lì, certo sono entrata più volte a rendere omaggio ai grandi che vi sono sepolti, ma stavolta l’omaggio era rivolto a un’artista, Francesca Vitale che, ancora una volta assecondando la sua passione per i cimiteri, aveva allestito, in quella che era stata la camera mortuaria una sua originale mostra: Jubox Klein1961, istallazione di tecnica mista a base fotografica su due piani spaziali

Sulle pareti decalcomanie e collage digitali impressi su alluminio, frammenti di immagini del San Michele a Venezia, dove sono sepolti anche Brodskij e Pound , e immagini del cimitero acattolico di Roma. Sul pavimento invece una istallazione che evoca  la triade contemplativa di Klein, il blu, l’oro e il rosa carminio. L’istallazione vuole infatti anche pagare un tributo di ammirazione e di affinità a Yves Klein, precursore della Body art. 

Ecco inoltre: noto le mani tinte di blu di Francesca (body art, appunto). E poi, da notare,  la data del 1961 che compare nel titolo della mostra, è l’anno in cui  Klein donò al monastero di Santa Rita da Cascia il suo EX voto – composto con l’oro che non era finito nella Senna, di quello ricavato dalle sue note venditi di Vuoto – ma anche quello della nascita della nostra artista.



 

 Francesca l’avevo conosciuta alcuni anni fa, agli inizi dell’attività del nostro Spazio Gattomerlino in Borgo Vittorio 95.  Per un certo periodo aveva frequentato i nostri incontri e infine, nell’ottobre 2017, aveva partecipato in prima persona alle attività con una mostra, Il Sogno di Zazie , che immergeva lo spettatore in una quantità di immagini e suoni, dove le presenze meno immateriali erano presenze feline, sagome nere o bianche di gatti dagli occhi fosforescenti. 

 Alcuni di quei bellissimi gatti sono tornati qui, nella mostra al cimitero acattolico e mi dicono che i gatti in carne e ossa del giardino, durante l’allestimento della mostra, quando non notavano presenze umane intorno alla cappella, entravano furtivamente, come per voler capire di che cosa mai fossero fatti quei loro simili.

 


 Della mostra, ma anche di gatti, mi sono poi intrattenuta a parlare con Amanda Thursfield, direttore del Cimitero, una donna dall’aspetto luminoso, non solo per la complessione chiara dei lineamenti. La cosa più bella che le sento dire è, a proposito del cielo di Roma – blu assoluto tra il verde intenso di cipressi e pini – che entrambe siamo attratte a contemplare: “Quando studiavo in Inghilterra i pittori del Novecento, pensavo che i loro  colori fossero esagerati, ma no, Roma ha dei colori inimmaginabili, di un’intensità unica!”.

 

Turisti silenziosi si aggirano, si fermano davanti all’apparizione della Piramide. 

Bella e interessante la mostra,  un tonico per l’anima questa ottobrata romana. 

lunedì 11 ottobre 2021

A proposito di "Krankenaus" di Luigi Carotenuto di Irène Duboeuf




 

Dopo aver pubblicato L'amico di famiglia e Vi porto via presso la casa editrice Prova d'Autore - due raccolte tra derisione e umorismo disincantato che ci confrontavano con l'assurdità di un mondo dove tutto è futilità, inganno e fugacità - e Taccuino olandese, una prosa poetica e onirica uscita nella rivista internazionale di poesia italiana Gradiva, il poeta Luigi Carotenuto ci propone una nuova raccolta dal titolo in tedesco che confonde i riferimenti appenal’abbiamo in mano. 

Per quanto riguarda l'epigrafe, essa evoca l'architettura della Russia di Pietro il Grande. Qual è, quali sono i luoghi del poema? Non lo sappiamo, e non importa: si capisce presto che l’unico luogo è l'ospedale e che tutti gli ospedali si rassomigliano. Per l’autore, peraltro musicista, predominano i suoni. Così Krankenhaus, oltre ad essere un titolo di canzone[1], è innanzitutto un significante che, pronunciato ad alta voce, evoca l’incrinatura, lo spezzamento, la rottura. Ed è proprio il tema di questa raccolta che inizia con l'immagine di un osso fratturato e prosegue con la rottura di una vita che se ne va.

Unità di soggetto, la morte, e unità di tono per queste poesie scritte in temporalità parallele: un tempo che anticipa la morte del padre come per addomesticarla di più, ed un altro che si ricorda, «continui spostamenti dello psichismo che si abbandona al vuoto o lo colma con ciò che resta: la memoria» scrive il poeta Leonardo Barbera nella prefazione. Due temporalità che sulla carta finiscono col diventare una: tutti i versi sono scritti al presente (il presente della narrazione e il presente reale) perché l'ospedale «satura il tempo», tutto si concentra sul presente, nell'attesa dell'ineluttabile. Il presente è anche l’abolizione del tempo, la possibilità di dire l’immutabile al cuore del cambiamento stesso. 

 

Non sono capace di devozione.

Se vuoi, però, posso trovarti

i difetti migliori, quei pregi

presentabili che non destano invidia. 

 

È con una tenera ironia che egli affronta l'indicibile, l'ignoto, la morte e confessa con umiltà la sua impotenza di fronte alla vecchiaia e alla sofferenza: 

 

Non posso darti lezioni su come si soffre

garbatamente sul filo del mondo,

questa è roba di equilibristi,

barcollo da sempre. Cosa posso offrirti?

 

Luigi Carotenuto rimane fedele al suo stile: nessuna disperazione in questo vissuto che, anche se intimo, risuona in ognuno di noi. Perché, perfino nel mezzo della gravità, il poeta non perde mai di vista il bambino che sta in lui. Per sopportare l'insopportabile, ricorre al gioco. La parola stessa è presente in molti versi del poeta che fin dall'infanzia ha “imparato a giocare col fuoco/ ai piedi del vulcano/ rischiando ogni giorno il destino di Empedocle”[2]

«Due cose vuole l’uomo autentico: il pericolo e il gioco, perciò vuole la donna, come il giocattolo più pericoloso»[3], diceva Nietzsche. Il poeta, lui, «barcolla» tra Eros e Thanatos «Sento il desiderio, la muta/ corsa dei colori», «Voglio nutrirmi di tutto il visibile» scrive in mezzo alla violenza del dolore, all’angoscia di fronte all'assenza, alla perdita prossima, una sofferenza che egli esprime nel rivivere i giochi dell’infanzia, come se, finita la partita, tutto potesse tornare come prima. «Derealizzazione» transitoria creando un'illusione di realtà che si può appropriare e padroneggiare, il gioco non è altro che uno «scherzo»:

 

La tua assenza è uno scherzo

di cattivo gusto. 

Se giochiamo a nascondino, 

mi arrendo, ho smesso di contare da un pezzo. 

Hai vinto tu.

 

Più avanti, è un gioco di carte a cui allude il poeta:

 

Cambiare gioco stravolge tutto.  

Vuoi gettare il mazzo così?

 

altrove, sono videogiochi nei bar dove, per «riprodurre» il passato, basterebbe mettere un gettone nella macchina:

 

Andavo in cucina con l'idea di trovarti operoso

e restavo deluso come un bimbo senza più gettoni. 

 

Il distanziamento ironico e il gioco fittizio permettono di alleggerire la vita, ma «bisogna ammettere che il gioco è sempre in grado di trasformarsi in qualcosa di spaventoso»[4]. Non importa, il poeta sa bene che «bisogna giocare per diventare serio»[5] ma anche che «Nell’uomo autentico si nasconde un bambino che vuole giocare».[6]

 

 Le ventinove poesie brevi e incisive, sono numerate, come per darle un posto preciso in un tempo che si disfa. A volte si incontra un aforisma formato da un solo verso, la poesia più lunga non supera i dieci versi, ed è proprio da questa densità distillata con leggerezza nel bianco delle pagine (bianco che evoca tanto le mura dell'ospedale quanto il silenzio dell'assenza, della morte, del dolore) che nascono l'intensità e la profondità della scrittura di Carotenuto, poeta dalle immagini forti che sa rendere concreto l'impalpabile, introducendo materialità anche all'interno dell'immateriale: 

Ho messo scarpe adatte/a reggere l’urto dell'assenza.

 Un dolore vibrante che risuona nelle assonanze e allitterazioni e che la traduzione arricchisce di rime interiori: «L'ospedale [...] applica suture/satura i colori» - « L’hôpital […] applique les sutures/sature les couleurs.» 

Con poche parole il lettore capisce che la morte del padre potrebbe provocare la morte simbolica del figlio che era il suo doppio, il suo riflesso:

Sono forse io quel puntino in fondo allo specchio?

Un punto, cioè quasi nulla. Una vita improvvisamente ridotta all'incarnazione di un'ombra. Ma se la morte del padre è inevitabile, viene da pensare che quella del poeta potrebbe essere salvata dalla scrittura. Georges Perros scriveva, in Papiers collés: "Poesia. Un uomo sta morendo. MORENTE. Lo trasportiamo alla clinica. Lo salviamo. La poesia è l'operazione". Una morte allegorica, passaggio obbligato per rinascere e iniziare un lento cammino verso il suo vero Io.

Da questa nuova raccolta tratteniamo immagini concrete (si potrebbe quasi parlare d’ iperrealismo) nelle quali gli oggetti usuali interferiscono e colpiscono in pieno i pensieri e le emozioni, poesie nelle quali si alternano l'«Io» e il «Tu» per un dialogo in forma di lunga lettera poetica, omaggio del poeta al padre, omaggio alle sue radici, Catania, città di cui gli ultimi versi ci nascondono la bellezza sepolta. Catania, metafora d’un giardino segreto…

 

Krankenhaus è stato pubblicato quest'anno in versione francese presso la casa editrice Il Cigno (Parigi) accompagnato da altre poesie dell'autore con il titolo “Krankenhaus suivi de Carnet hollandais et autres inédits”.

 

Irène Duboeuf

 

 

 

 

 

Quatre poèmes extraits de Krankenhaus, Gattomerlino 2020 / Krankenhaus suivi de Carnet hollandais et autres inédits

traduction de l’italien: Irène Dubœuf

 

 

 

9

Lo sportello lo apro a forza stamane.

La radio canta una messa atea di fame e miserie.

Mi sembra allora che sia vero, mentre accendo il climatizzatore

e s’inceppa, che si può anche morire

se perfino gli elettrodomestici

a volte si guastano.

 

9

La portière, je l’ouvre avec peine ce matin.
L’autoradio chante une messe athée sur la faim et la misère.
Il me semble alors que c’est vrai,

tandis que j’allume le climatiseur et qu’il se bloque, 

que l’on puisse aussi mourir 
si même les appareils électroniques

tombent en panne.

 

17

Ogni giorno siamo sempre più creativi

nell’inventarci miracoli, nel trovare scuse

per tirare avanti, nel fingerci interi.

 

17

Chaque jour, nous sommes de plus en plus créatifs

dans notre invention de miracles, l’élaboration d’excuses

pour aller de l’avant, faire semblant d’être entiers.

 

 

25

Raccogliamo la solitudine per strada.

Ripulita, rivestita, la portiamo in società: bestiolina

inoffensiva che attacca l’uomo raramente.

 

25

Nous recueillons la solitude dans la rue.

Nettoyée, habillée, nous l’emmenons en société : petite bête

inoffensive qui rarement attaque l’homme.

 

 

29

Mi domando il senso di tanto brulicare di persone

in piazza, di facce assenti a due passi da Catania Vecchia.

La bellezza può darsi l’abbiano tutta sepolta,

nascosta per bene.

29

Je me demande ce que signifie tout ce monde grouillant

sur la place, ces visages absents à deux pas de la vieille Catane.

La beauté, il se peut qu’on l’ait complétement enterrée,

soigneusement cachée.

 

Luigi Carotenuto, Krankenhaus

 



 

Gattomerlino 2020, 42 pages, 10 euros

 

 

Après avoir publié L’ami de la famille et Je vous emmène aux éditions Prova d’autore, – deux recueils entre dérision et humour désenchanté qui nous confrontaient à l’absurdité d’un monde où tout est futilité, leurre et fugacité – et Taccuino olandese, une prose poétique onirique parue dans la revue internationale de poésie italienne Gradiva, le poète Luigi Carotenuto nous propose un nouveau recueil dont le titre en allemand brouille les repères dès sa prise en main. L’épigraphe, quant à elle, évoque l’architecture de la Russie de Pierre-le-Grand.  Quel est, quels sont le(s) lieu(x) du poème ? On l’ignore, et peu importe : très vite on comprend que le lieu unique est l’hôpital et que tous les hôpitaux se ressemblent. Ce qui prédomine chez l’auteur, par ailleurs musicien, ce sont les sons. Ainsi Krankenhaus est plus que le titre d’une chanson[7], c’est avant tout un signifiant qui, prononcé à voix haute, évoque la fêlure, la brisure, la rupture. Et c’est bien de cela dont il s’agit dans ce recueil qui s’ouvre sur l’image d’un os fracturé et se poursuit par la brisure d’une vie qui s’en va. 

 

Unité du sujet, la mort, et unité de ton pour ces poèmes écrits dans des temporalités parallèles : un temps qui anticipe la mort du père comme pour mieux l’apprivoiser, un autre qui se souvient « déplacements continus du psychisme qui s’abandonne au vide ou le comble avec ce qui reste : la mémoire » écrit le poète Leonardo Barbera dans la préface. Deux temporalités qui sur le papier finissent par se confondre : tous les vers sont écrits au présent (présent de narration et présent réel) car l’hôpital « sature le temps », tout se concentre sur le présent, dans l’attente de l’inéluctable. Le présent, c’est aussi l’abolition du temps, la possibilité de dire l’immuable au cœur même du changement.

 

Je suis incapable de dévotion.

Cependant, si tu veux, je peux trouver

tes défauts les meilleurs, ces qualités

présentables qui n’ont rien d’enviable

 

C’est avec une tendre ironie que le poète fait face à l’indicible, à l’inconnu, à la mort et qu’il avoue avec humilité son impuissance face à la vieillesse et la souffrance :

 

Je ne peux te donner de leçons sur la façon de souffrir

avec grâce sur le fil du monde

c’est une affaire d’équilibriste

je titube depuis toujours. Que puis-je t’offrir ?

 

Luigi Carotenuto reste fidèle à son style : aucune désespérance dans ce vécu qui, bien qu’intime, résonne en chacun de nous. Au cœur de la gravité il ne perd jamais de vue l’enfant qui est en lui. Pour supporter l’insupportable, il a recours au jeu. Le mot lui-même est présent dans de nombreux vers chez ce poète qui dès l’enfance a « appris à jouer avec le feu/ au pied du volcan/ risquant chaque jour le destin d’Empédocle »[8].

 

 « L’homme véritable veut deux choses : le danger et le jeu. C’est pourquoi il veut la femme, le jouet le plus dangereux » [9]» disait Nietzche. Le poète, lui, « titube » entre Éros et Thanatos « Je sens le désir, / la muette course des couleurs », « Je veux me nourrir de tout le visible » écrit-il au milieu de la violence de la douleur, de l’angoisse face à l’absence, à la perte prochaine, une souffrance qu’il exprime en revivant les jeux de son enfance, comme si, la partie achevée, tout pouvait à nouveau redevenir comme avant.  « Déréalisation » transitoire créant une illusion de réalité que l’on peut s’approprier et maîtriser, le jeu n’est rien d’autre qu’un « scherzo », c’est-à-dire une plaisanterie : 

Ton absence est une plaisanterie

de mauvais goût. Si nous jouons à cache-cache, 

je me rends, j’ai fini de compter depuis longtemps. 

C’est toi qui a gagné.

 

Plus loin, c’est à un jeu de cartes que le poète fait allusion : 

Changer de jeu bouleverse tout.

C’est ainsi que tu veux abandonner la partie ? 

 

 et, ailleurs, c’est aux jeux-vidéo des bars où pour « rejouer » le passé, il suffirait de mettre un jeton dans la machine : 

J’oubliais, distrait, que tu étais parti.

J’allais à la cuisine dans l’idée de te trouver affairé

et j’étais déçu comme un enfant 

qui n’a plus de jetons. 

 

Distanciation ironique et jeu fictionnel permettent d’alléger la vie, mais « il faut admettre que le jeu est toujours à même de se muer en quelque chose d’effrayant »[10]. Qu’importe, le poète sait bien qu’« il faut jouer pour devenir sérieux »[11] mais aussi que « Dans tout homme véritable se cache un enfant : un enfant qui veut jouer.[12] » 

Les vingt-neuf poèmes, brefs et incisifs, sont numérotés, comme pour leur donner une place précise dans un temps qui se défait. On rencontre parfois un aphorisme formé d’un seul vers, le plus long poème ne dépasse pas dix vers, et c’est précisément de cette densité distillée avec légèreté dans le blanc des pages (blancheur qui évoque autant les murs de l’hôpital que le silence de l’absence, de la mort, de la douleur) que naissent l’intensité et la profondeur de l’écriture de Carotenuto, poète aux images fortes qui sait rendre concret l’impalpable en introduisant de la matérialité au sein même de l’immatériel : 

 

J’ai mis des chaussures appropriées

pour supporter le choc de l’absence.

 

 Une douleur vibrante qui résonne dans les assonances et allitérations lesquelles s’enrichissent, dans la traduction, de rimes intérieures : « L’hôpital […] applique les sutures/sature les couleurs, le temps. » 

 

En peu de mots le lecteur comprend que la mort du père risque d’entraîner la mort symbolique de ce fils qui était son double, son reflet : 

 

Peut-être est-ce moi ce petit point au fond du miroir ? 

 

 Un point, autrement dit presque rien. Une vie soudain réduite à l’incarnation d’une ombreMais si la mort du père est inévitable, on se prend à penser que celle du poète peut être sauvée par l’écriture. Georges Perros n’écrivait-il pas, dans Papiers collés : « Poème. Un homme est mourant. MOURANT. On le transporte à la clinique. On le sauve. Le poème, c’est l’opération ». Mort symbolique donc, passage obligé pour renaître et entamer un lent cheminement vers son moi véritable. 

  

On retient de ce nouveau recueil des images concrètes (on pourrait presque parler d’hyperréalisme) dans lesquels les objets usuels interfèrent et frappent de plein fouet pensées et émotions, des poèmes dans lesquels alternent le « Je » et le « Tu » pour un dialogue qui prend la forme d’une longue lettre poétique, hommage du poète à son père, hommage à ses racines, Catane, ville dont les derniers vers nous cachent la beauté ensevelie. Catane, métaphore d’un jardin secret…

 

À noter que Krankenhaus est paru cette année en version française aux éditions du Cygne accompagné d’autres poèmes de l’auteur sous le titre Krankenhaus suivi de Carnet hollandais et autres inédits.

 

Irène Dubœuf

 

 

 

 

Quatre poèmes extraits de Krankenhaus, Gattomerlino 2020 / Krankenhaus suivi de Carnet hollandais et autres inédits

traduction de l’italien: Irène Dubœuf

 

 

9

Lo sportello lo apro a forza stamane.

La radio canta una messa atea di fame e miserie.

Mi sembra allora che sia vero, mentre accendo il climatizzatore

e s’inceppa, che si può anche morire

se perfino gli elettrodomestici

a volte si guastano.

 

9

La portière, je l’ouvre avec peine ce matin.
L’autoradio chante une messe athée sur la faim et la misère.
Il me semble alors que c’est vrai,

tandis que j’allume le climatiseur et qu’il se bloque, 

que l’on puisse aussi mourir 
si même les appareils électroniques

tombent en panne.

 

17

Ogni giorno siamo sempre più creativi

nell’inventarci miracoli, nel trovare scuse

per tirare avanti, nel fingerci interi.

 

17

Chaque jour, nous sommes de plus en plus créatifs

dans notre invention de miracles, l’élaboration d’excuses

pour aller de l’avant, faire semblant d’être entiers.

 

 

25

Raccogliamo la solitudine per strada.

Ripulita, rivestita, la portiamo in società: bestiolina

inoffensiva che attacca l’uomo raramente.

 

25

Nous recueillons la solitude dans la rue.

Nettoyée, habillée, nous l’emmenons en société : petite bête

inoffensive qui rarement attaque l’homme.

 

 

29

Mi domando il senso di tanto brulicare di persone

in piazza, di facce assenti a due passi da Catania Vecchia.

La bellezza può darsi l’abbiano tutta sepolta,

nascosta per bene.

29

Je me demande ce que signifie tout ce monde grouillant

sur la place, ces visages absents à deux pas de la vieille Catane.

La beauté, il se peut qu’on l’ait complétement enterrée,

soigneusement cachée.



[1] Jazzkantine 1998

[2] Poesia pubblicata su Facebook il 17 settembre 2019

[3] Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra.

 

[4] Winnicott, 1975

[5] Aristotele

[6] Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra

 

[7] Jazzkantine 1998

 

[8] Poème inédit paru sur Facebook le 17 septembre 2019.

[9] Friedrich Nietzsche, Ainsi parlait Zarathoustra.

[10] Winnicott, 1975

[11] Aristote

[12] Friedrich Nietzsche, Ainsi parlait Zarathoustra