lunedì 4 aprile 2011

Vincenzo Ananìa: l'agonia della Terra


Nella foto da destra: Vincenzo Anania, Piera Mattei, Norman Mozzato
Vincenzo Ananìa è personalità di rilievo nell'ambito della poesia italiana. Di origini siciliane e pugliesi vive da molti anni a Roma dove dirige e pubblica dal 1991 il quadrimestrale di poesia internazionale "pagine", da lui fondato.
Ha pubblicato quattro raccolte di poesie: Nell'arco (Crocetti 1992), Le ali di Darwin (Loggia de' Lanzi 1999), Noi (Zone 2003), Biblioteca (Zone 2007).

Una nuova raccolta è pronta per la pubblicazione. Ne diamo l'annuncio presentando alcune poesie dall'ultima raccolta. La nostra scelta verte su una tematica che sentiamo molto congeniale a questo poeta: quella dell'amore per le origini della vita speculare al dolore per l'agonia della Terra.

Salgono in superficie i pesci
dal mare che mi fluttua dentro,
hanno le bocche aperte
come a dire, e soffi
mi sembra di sentire
gorgoglii, bisbigli,
germogli di canti.
I suoni che da tanto
speravo di afferrare?
prove dei primissimi poeti,
un padre-pesce magari
o madre-mare, i sospiri
dei loro amori, o invocazioni
dai fondali al sole?
***



Da una finestra assolata
scopro il pallore della Terra esanime
e i tanti al capezzale a rianimarla
soffiarle in bocca dragare le vene,
e aghi nei capezzoli, nel ventre,
sanguisughe sul cuore,
bisturi e trivelle
a svellere radici, chiome.
Nelle incubatrici,
con un po' di batticuore,
le superstiti uova.
***



La testa ha sollevato
dal piatto:– che ora è? –
vòlto alla sala vuota
ai resti del banchetto
putrefatti, sazio,
sazio finalmente,
scomparsi gli alberi
gli uccelli, le colline
intorno – che giorno,
quale anno? –
***



Di schianto si aprirà
la memoria e in bell'ordine,
su un tavolo di fòrmica
o di amianto, le buone cose
in fretta divorate:
fiumi, bestie, foreste,
l'idea di una lucciola,
d'angelo.

Qualcuno salderà
la crepa, lucida
crosta la coprirà.
E in quella, come vera,
un'erba smemorata,
incommestibile.
***


Il Potere su noi,
in tutta la sua forza.
Vivere bisogna, amico
che dai fendenti ti ripari
con le mani, comunque
vivere – anche di occhiate,
sussurri, cenni.
O né vivere né morire:
fermi, appena schiusi,
lembi di uno squarcio.

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