Non molto tempo fa mi sono trovata, come talvolta i personaggi dei miei racconti, in una situazione penosa, di cui non voglio tacere. Su quella pena, per riscattarla, voglio fare perno, punto di forza, fulcro di un'ulteriore riflessione.
Fatti dunque, ma narrati, come nei racconti, senza nomi propri, e la situazione riportata per dati essenziali.
Ero stata invitata a partecipare a una tavola rotonda sul tema "Ancora una volta contro le donne: perché?". Era recente l'uccisione di Giovanna Reggiani e i giornali riportavano in quei giorni la notizia che il rapporto Eures-Ansa sull'andamento degli omicidi volontari registrava un aumento dei cosiddetti "femminicidi" (perché non "donnicidi"?):181 nel 2006, uno ogni due giorni. Pertanto questo era l'interrogativo: cosa scatena l'aggressività maschile contro le donne?
Avevo accettato con la riserva che non di cronaca avrei parlato ma di figure emblematiche, anche se storiche.
Durante lo svolgimento della tavola rotonda (il mio intervento è l'ultimo) mi rendo conto che tutti, dico tutti, hanno schivato il tema. Chi ha parlato delle pari opportunità chi di un suo libro scritto da un paladino dei diritti delle donne, infine uno psicanalista, a conclusione di un discorso vago sulla sua professione termina col dire sornione che altro che invidia del pene, sono gli uomini a provare talvolta l'invidia dell'utero!
Il mio discorso, preparato nei dettagli, sembra in quel contesto del tutto fuori tono: si basa infatti sull'osservazione che "uno"dei motivi che scatena l'aggressività maschile è la volontà delle donne di uscire dal ruolo della riproduzione, vestire anche fuori di metafora abiti maschili, essere alla ricerca della propria umanità, privilegiando l'intelligenza.
Da parte dell'unico rappresentante del sesso maschile alla tavola rotonda la reazione alle mie parole è sgradevolissima, aggressiva, connotata dall'ironia sferzante che certi uomini credono di dover usare di fronte a argomentazioni che, a torto o a ragione, riconoscono come "femministe", dimostrazione immediata per me, sulla mia pelle, dell'assunto del mio discorso.
Ora un articolo scritto da don Enzo Mazzi (manifesto, 16-1-2008) alla vigilia dell'inaugurazione dell'anno accademico alla Sapienza di Roma, e pubblicato sul numero speciale di Micromega uscito in questi giorni, mi riconcilia con quel mio discorso, col femminismo (se così vogliamo chiamarlo) ineludibile di ogni volontà di mutamento. Scrive don Mazzi: "la ridefinizione della relazione uomo-donna come reciprocità, al posto della storica dipendenza gerarchica, fa tutt'uno con la ridefinizione dei rapporti fra classi-popoli-culture dominanti e dominati e con la pacificazione fra umanità e natura, tanto che ormai si parla di "ecofemminismo".
Quel mio discorso riferiva casi di persecuzioni esemplari che le donne hanno subito a causa della loro intelligenza o della loro intraprendenza, e del ruolo fondamentale che una società " per assunto maschile " come la Chiesa ha avuto in questi fatti.
Riporto quindi, di seguito, brani di quel mio discorso.
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