L'enigma delle origini, del tempo. Da chi discendiamo e cosa, infine, diventeremo. L'inconscio ripercorre incessantemente il passato anche remotissimo: il libro si apre sul sogno del protagonista, che si comporta, nel sogno, come un primate, in un ambiente dove la percezione del pericolo, dell' abbondanza, della bellezza, si alternano a ritmo mozzafiato. Il presente invece, al risveglio, mostra il suo volto opulento (Il frigorifero era pieno di roba che correva il rischio di andare a male) tecnologico (pubblicità alla radio-televisiva, cellulari che squillano), noioso e privo d'imprevisti (Erano mesi che non accadeva assolutamente niente). Noia che addormenta e tormenta nell'attesa di "qualcosa", un fatto, una sorpresa, che non arriva o, se si presenta, è già irriconoscibile, scialbo e sfumato. Massimo, il protagonista, agli inizi del libro, appare come un uomo sull'orlo della depressione. Si distrae con le trasgressioni erotiche e amorose dei suoi amici, la cosiddetta combriccola. Sono uomini rimasti fissi ai rituali del branco adolescenziale (urinare contro la quercia che segna il limite del bosco, parlare tra loro di donne), a cui hanno aggiunto il rituale delle grasse mangiate. Le descrizioni dei manicaretti sono eccellenti occasioni di una scrittura compiaciuta, di una divertita esibizione di grande competenza culinaria, tuttavia da sconsigliare a risentite sensibilità vegetariane.
Una serie di episodi raccontati con abilità e divertimento, che ricordano blandamente le "zingarate" dello storico film "Amici miei", dove le donne sono ritratte sempre come creature libere, spesso infedeli, estremamente scanzonate, con una punta di crudeltà e cinismo. Massimo tuttavia, se da un lato si distrae e si diverte con gli amici, dall'altra è preso da un amore esclusivo, "eterno" per Teresa. All'inizio della storia, Teresa è una donna che ormai evita gli incontri erotici con Massimo, anche se non rifiuta viaggi con altri corteggiatori. Lui, nonostante tutto, continua ad amarla e a desiderarla. C'è poi un'altra persona a cui lui è legato profondamente: è un artista di origine contadina, Liborio, uno scultore che affida al bosco le sue creazioni. Agli inizi del racconto Liborio è misteriosamente scomparso.
Il protagonista ritorna, in una serie di flashback, ai tempi in cui ha conosciuto l'amico, agli inizi della storia con Teresa. In questi ricordi la Natura non fa da sfondo, piuttosto campeggia come altra grandiosa protagonista. La natura è il mare da cui avrebbe origine la vita, cioè la donna – come sembra ribadire il mito di Venere – ma è soprattutto il bosco con i suoi misteriosi ripari, con i colori e i profumi, con la sorpresa della sempre svariante bellezza. Nella concezione di Liborio, rivista e confermata da Massimo, la donna è lei stessa la Natura, la donna è divina. L'uomo non è, alle origini, che un essere creato dalla donna, per sottrarsi alla noia. Creato però non a sua immagine e somiglianza, bensì a somiglianza dei rozzi primati che lei, liscia e delicata, doveva vedersi attorno. L'uomo non può che desiderare di tornare a lei, dentro di lei, che in tutto gli è superiore, e i migliori tra gli uomini non possono pensare se non a dare alla donna ciò per cui lei li ha creati: il piacere e una rassicurante protezione. Questa concezione così elevata dell'altro sesso è purtroppo complementare ai misogini vizi della combriccola, all'uso, seguito da Liborio, di allontanare le donne, al termine del pranzo di Ognissanti, per restare tra uomini, in ragionamenti e meditazione.
Gli inizi della storia con Teresa sono rivissuti con sensibilità favolistica. Nel bosco, il protagonista che si è perso, incontra una ragazzina, che, proprio come in una fiaba, vive non lontana da lì, con la nonna. Anche se lei si dice "quasi quindicenne", ha parole e comportamenti infantili, sebbene molto intraprendenti, da rustica Lolita. Massimo sta con palpitante perplessità al gioco, per la coscienza dell'equivocità dell'esperienza vissuta. Si incontrano nuovamente e lei è già sposata, ma questo dettaglio non è d'ostacolo all'inizio del loro "assoluto" amore.
L'ultima parte della storia è la più complessa. Nel testamento, che è stato ritrovato nonostante non sia ritrovato il corpo, Liborio ha lasciato a Massimo in eredità il suo computer. Massimo riesce ad aprirlo e vi trova un messaggio che si riferisce al luogo dove sarebbe possibile costruire l'orologio a vento, di cui insieme avevano fantasticato. L'orologio è lo strumento per la misura del tempo, quel tempo opprimente, che fa spesso rimuginare Massimo sui suoi sessantacinque anni, ogni volta che il corpo si mostra inadeguato o tardo ai sempre giovanili desideri, alla voglia di salire, di appartarsi, di cercare i decisivi incontri portandosi in alto, o lontano dagli altri.
Infatti si metterà in viaggio, meta la Terra del Fuoco. La terra agli antipodi, come la montagna del Purgatorio. Senza che ce ne fossero vere premonizioni ci troviamo in un mondo carico di simboli, in cui mi è parso di leggere i riferimenti al viaggio di purificazione dantesco. Gli elefanti marini che, Massimo scaccia con lancio di sassi, potrebbero personificare, pensa il protagonista, i vizi dell'avarizia e dell'invidia, da cui sempre ha voluto tenersi lontano. Ci sono donne gentili, che lo incoraggiano al viaggio, mediatrici necessarie, come nella Commedia Lucia e Matelda. Infine, sulla vetta di questo monte dalle sette balze, che lo porta fuori dal bosco nel quale non deve ricadere, c'è l'incontro con Teresa. Un incontro essenziale: sedersi accanto e restare, mentre l'amore si esprime con parole e gesti semplici, con tenerezza, in modo definitivo. E scopriamo infine anche il giallo della scomparsa di Liborio: non è morto, viaggia verso nuove avventure, forse non è se non un alterego del protagonista.
Al di là dell' intreccio, questo romanzo è, essenzialmente, un'interrogazione sulle origini e il tempo. Sono trascorsi lunghi anni di una vita alla quale non è mancato quasi nulla di quanto si pensa la renda completa: gli amici, le donne, una rispettabile posizione sociale, un amore "eterno". Nulla è mancato, ovvero Massimo ha fatto di tutto perché quella sola, unica vita, risultasse, a sé e agli amici, invidiabile, perfetta? Ora, al punto in cui si colloca la storia, non è rimasto che ripercorrere il passato, cercando finalmente di comprenderlo, di fissare il tempo e i valori. Allora, insieme all'Amore, la scrittura si presenta come la sola efficace "trasgressione", consolazione e sollievo alla noia, non per nulla in epoche precedenti, durante il legame coniugale, sembrava unico vero motivo di gelosia per una moglie delusa e lontana. Di più, come nel Dolce Stile, Amore e scrittura si confondono, se la donna oggetto dell'Amore è anche protagonista privilegiata della maggior parte delle storie che Massimo ha scritto, e ragione stessa dello scrivere.
Perfetto nei quadri d'ambiente contadino e nelle situazioni conviviali, abile a intrecciare episodi anche molto lontani nel tempo, nel descrivere le contraddizioni nella sostanziale coerenza del suo protagonista, svariando nelle note dell'elegia e della favola, dell'ironia e della satira, della memoria e del mito, della riflessione e dell'onirico, Silvano Anania ci pone, in definitiva, di fronte a un romanzo di ascesa e purificazione. Partiti dalle bolge di una provincia annoiata, ce ne trasporta agli antipodi, in un clima simbolico e rarefatto. Si completa così un viaggio verso la conoscenza, verso il riconoscimento dell'appartenenza al Tutto, verso la vicinanza eterna all'Amore, che è non è stato concesso una volta per tutte, ma, dal primo incontro e poi contro le avversità, fortemente voluto e trattenuto.
Piera Mattei
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