Dopo le storiche collane del secolo scorso di Scheiwiller (Poeti
stranieri tradotti da poeti italiani), delle Edizioni della Meridiana, di
Lerici (Poeti europei a tradurre i prestigiosi nomi di Angelo Maria Ripellino,
Joyce Lussu, Roberto Sanesi e Renato Poggioli) e l’attività di pubblicazione di
poesia straniera di Garzanti, Mondadori ed Einaudi, oggi lo spazio
editorialmente dedicato alla traduzione si è notevolmente ridotto – ma
parallelamente si è ridotto, se non scomparso, anche lo spazio dedicato alla
poesia. Crocetti e Marcos y Marcos rappresentano coraggiose eccezioni, come la
qui presente Gattomerlino di Piera Mattei che tenacemente continua a realizzare
un importante lavoro di diffusione nel nostro paese di autori stranieri
contemporanei.
Piera generosamente ci offre questi gioielli nelle sapienti
traduzioni di poeti e linguisti italiani, Fiorenza Mormile, Anna Robustelli,
Claudia Scandura, Antonio Bux per citarne alcuni, in qualche caso
traducendo lei stessa come avviene, appunto, in questo Documenti di viaggio di
Kronbergs, poeta attivo da più di quarant’anni con dodici raccolte di
poesia ed instancabile traduttore, ricordiamo almeno la sua traduzione dallo
svedese del premio Nobel per la letteratura, Thomas Tranströmer.
Non sono una conoscitrice e un’esperta di poesia straniera
contemporanea, solo una lettrice di poesia soprattutto italiana – in questi
ultimi due anni anche di più – data la quantità di libri che concorrono al
premio nazionale intitolato ad Elio Pagliarani, leggo, quindi, questo Documenti
di viaggio cercando di confrontare le poesie di Juris con le tendenze della
poesia contemporanea italiana.
Una prima osservazione: in questi versi non troviamo gli schemi
della tradizione, il controllo del ritmo attraverso l’architettura del metro ai
quali si avvicina – in ricerca consapevole o meno - molta parte della poesia
italiana degli ultimi venti anni e nemmeno il ricorso alla citazione letteraria
– poesia che si fa con la poesia in costruzione e decostruzione
dell’ingombrante eredità dei padri.
Non troviamo nemmeno la pervasiva effusività linguistica che
adopera il repertorio degli stilemi amorosi in una voluta antipolitica della
poesia e nemmeno la corporeità di uno spartito che attende di essere eseguito
per voce.
Tutto ciò è estraneo alla poesia di Juris della quale tento di
cercare interne ricorrenze così come ci si presentano nella traduzione di
Piera.
È “un giorno particolarmente immobile” quello di Juris dove i
passanti trascorrono fra le stagioni in un catalogo naturale di nomi che
dipingono immagini, dove “la dittatura dei sogni” senza costrizioni marca il
tempo della politica e della storia in un viaggio documentato dai percorsi
personali e pubblici.
È il tempo interno che governa l’andamento del mondo, un tempo che
vince sugli accadimenti e li interpreta poiché “una sera quando lasciai la mia
stanza/ quella mi seguì/ nessun veto poteva portarvi scompiglio/ nessun sole
rischiararla/ nessuna pioggia inondarla”
Il tempo seguita ad essere immobile (“a causa mia il tempo restava
immobile”) in una nozione che ci rimanda alla definizione qualitativa di Kairos
e a quella agostiniana di " distensio animi " il distendersi
dell'anima che dà la misura del tempo, agli eventi “numinosi” di Jung.
La poesia, dunque, narra gli avvenimenti che accadono
“sincronicamente” e ci rende la loro luce improvvisa, la sacralità del loro
momento immobile all’interno della coscienza: “Notte è un quieto suono di
pianoforte/ con la tendenza a premonizioni di sonorità profonde/ nei bassi
suonati dalla sinistra/ che facilmente vincono/ le vacillanti terzine della
destra” giacché “ il tempo/ fuggendo via/ e rimanendo immobile/ come musica/
come note sullo spartito”
Le apparizioni lungo il viaggio immobile dell’io sono limpidi
oggetti naturali, la lumaca affronta il sentiero dell’autunno , la morte
appare come un grande pomodoro rosso (“ la notte è blu-scuro/ ma proprio sopra
la corda dell’orizzonte/ c’è un grande pomodoro rosso”), il paesaggio è una
geografia intima che scoppia nella visione ( “Sotto il pontile vedo/ nell’acqua
il cielo/ sento il fruscio d’ali/ sento la mia geografia”), il poeta diventa
una scura notte d’estate che attrae il giorno, la mezzanotte è mezzanotte
dell’anima (“ notti d’estate/ scure come giorni d’inverno/ e io divento come
loro […] la notte sta attraendo il giorno/ l’orologio segna le tre:/ mezzanotte
dell’anima”)
In questa nozione del tempo gioca forse, come acutamente
sottolinea Piera Mattei nella postfazione a Documenti, l’identità di confine di
Juris, il suo essere “nato in Svezia da genitori lettoni, profughi”,
un’attitudine allo spaesamento e alla erranza che solo la radice del proprio
tempo interiore può contribuire a comporre.
E, nella immobile erranza del viaggio, cosa ci dicono, infine, i
versi di Juris? Cosa ricorre incessantemente e libera con leggerezza e
freschezza il nostro sentire? Juris affresca ciò che in questi anni tormentati
e cupi abbiamo omesso di guardare, in una lenta sparizione dalla nostra
coscienza letteraria e umana di quella che, per utilizzare la definizione di
Ennio Cavalli, è la “cosa poetica” : “Perché la chiamo cosa poetica? Perché
come “cosa” è tutta da definire. E poi per evitare il peso, il ricatto, il
pennacchio della P maiuscola. Non sarà la fissità della Poesia con la maiuscola
a spuntarla. È troppo impettita e sicura di sé, per fidarsi delle cose
raccolte per strada.
Juris Kronbergs, per dirla
con Cavalli, raccoglie "fasci di vibrazioni" le ricombina "con
ambiguità e sfrontatezza. Trasforma in poche mosse la cosa poeica in poesia.
Non tutti ne sono capaci. Non tutti possono essere poeti, neanche se puntano i
piedi".
Nella foto di Dino Ignani:
Durante la presentazione di Documenti di Viaggio a Gattomerlino Spazio il Trio Improvviso ringrazia il pubblico