ANTIMONIO Flavia Cidonio e i suoi poetici veleni-rimedi
Flavia Cidonio, della quale riporto qui sopra una foto che la ritrae – forse troppo immobile, troppo frontale, un po' in formato tessera di riconoscimento, quanto basta però per permetterci di fissare lo sguardo su un volto interessante – è una delle voci più giovani tra i poeti che Gattomerlino ha pubblicato. Una voce, che esordisce alla poesia, ma che, tra le molte proposte che ci giungono, mi ha colpito per la sua determinazione. Una sicurezza che Flavia mostra, non nel presentarsi – perché infatti dopo essersi proposta sembra quasi ritrarsi – ma proprio nei caratteri certi della sua scrittura.
Per questo ho voluto accompagnare questa sua prima pubblicazione,"Antimonio". con una mia nota critica.
La raccolta di poesie di Flavia Cidonio, è uscita proprio nel mezzo dell'estate e ora, nell'ultimo scorcio d'estate ho deciso di pubblicare qui quella nota che, in forma di postfazione, ne accompagna e ne giustifica la scelta.
Salda contraddizione e chiara coscienza di un’alterità
impossibile
nelle poesie di Flavia Cidonio
di Piera Mattei
Ho incontrato Flavia Cidonio
una sola volta di persona, prima di decidere di pubblicare questo libro.
Mi sono trovata davanti una
ragazza alta e magra, tutta chiusa in un abito di cotone lungo a coprire i
tacchi alti delle scarpe. Non abbiamo parlato molto. Ho avuto di questa ragazza
l’impressione di una persona piuttosto riservata e silenziosa.
Eppure nelle poesie che avevo
letto avevo ascoltato, e ascolto, una voce riconoscibile e insieme un
autoritratto coinvolgente. Una voce che parla di sofferenza ma non piange, che
esprime intima e profonda contraddizione ma non per questo esita, o si
smarrisce.
La figura retorica che più si adatta alla
scrittura di Flavia Cidonio è quella dell’ossimoro, perché gesti, sentimenti e
parole, appena enunciati sono
immediatamente modificati, se non negati, tramite una torsione o
alterazione di senso.
Leggiamo, per esemplificare,
ad apertura della raccolta:
Al risveglio
ho sempre cura
di mettere gentilmente in fuga
i fantasmi notturni
dove la torsione del
significato del verbo adatto a un campo
di battaglia(mettere in fuga) avviene
tramite un avverbio che si riferisce alla civile convivenza (gentilmente). Ma già sopra, ho cura indicava una modalità discreta,
un’attitudine pacatamente accogliente verso quegli incubi, verso quel tormento occasionale.
Continuando ordinatamente a
leggere, nella seconda poesia sono un concetto, un’immagine, quella della cornice che deve restare dritta, a
essere modificati dall’aggettivo tremula
La parola che mi somiglia
è imperfetta
è cornice tremula
per un quadro sempre più
fermo, più dritto
Il primo soggetto e, forse,
il tema principale di questa raccolta, potrebbe essere quindi una sofferenza
insieme accolta e respinta, ripugnante ma necessaria e ineludibile, perché la
difficoltà sta nel trovare quale sia il dentro e quale il fuori, nel comprendere
chi infligga dolore e chi o cosa quel dolore lo patisca:
come una rosa su di noi
poggiata distrattamente
dimentichiamo
il sapore delle nostre spine
Ecco di nuovo un avverbio - distrattamente - al quale è affidata una
posizione essenziale a elaborare il senso. Questo comportamento, il gesto
distratto, lo assimilo al tratto gentile della poesia precedente, con il quale si
mettono in fuga i fantasmi della notte.
Distrazione, gentilezza: la
persona che esprime il suo io in queste poesie ama riferire a sé movimenti
minimi, educati. Questo non contraddice alla crudeltà esercitata e subita, se,
oltre alle già citate spine, armi, tagli, lame, incisioni nette e affronto
belluino, si manifestano in queste pagine.
Tuttavia, come siamo lontani
dalla retorica del dolore, restiamo comunque lontani anche dalla retorica della
crudeltà, grazie alla leggerezza, all’agilità delle immagini, alla quale già
abbiamo fatto riferimento:
Per mirare bene
ho bisogno dell’attimo di distrazione
distogliere
la presa degli occhi
sulla preda,
come i gatti prima di compiere l’ultimo balzo.
Ho sottolineato forme
ossimoriche, ma uscendo dalle categorie della retorica, dovremmo più generalmente parlare di salda
contraddizione, chiara coscienza di un’alterità impossibile, dove per Tu e per
Io sono valide e attuali le stesse strategie:
La forma di dimenticanza
La forma di dimenticanza
che preferisco
è nominarti
spesso
che immediatamente richiama, nell’apparente
opposizione:
mi specchio
e so riconoscermi
solo se ben nascosta
I tempi di questa poesia
sono, di preferenza, la notte, o il mattino, al risveglio, nel chiuso di una
stanza, ma compaiono anche le strade e i vicoli da percorrere, di giorno e
comunque nei giorni. E ancora, una sala d’attesa, un corridoio dritto e impersonale. Le poesie di Flavia Cidonio, per quanto scavino nella psiche, sono ambientate nel mondo. Ci
sono stanze, c’è un cortile, c’è la linea gialla che definisce il limite
invalicabile lungo i binari della metropolitana. C’è l’atto di togliersi le
calze, ci sono le file di bottoni con le loro naturali irregolarità, c’è il
grande magazzino dove tutto ciò che
cerchi di cambiare / è fuori produzione. Siamo nella vita reale.
E non siamo solo chiamati a
essere testimoni di una dolorosa difficoltà di e-sistere, di essere persona definita e certa,
se talvolta veniamo anche gratificati e
colpiti dalla dolcezza di alcune metafore riprese dal mondo dell’accudimento
amoroso e giocoso nei giochi infantili:
Scappa, allora
prima che mi volti
e suggelli ogni promessa
come piccoli baci
sui gaffi dei bambini
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