Qui di seguito riportiamo l’inizio del racconto “Il fantoccio” e la nota di Piera Mattei che accompagna il volume
IL FANTOCCIO
Il mattino era grigio e freddo quando Maria, nel silenzio della sua stanza, si era trasformata in un fantoccio. Appoggiato sul suo grembo un biglietto riportava la frase: “Su mia richiesta” (era la sua grafia, non c’era dubbio; se esisteva qualcosa per cui Maria non avesse adottato alcuna logica di risparmio, allora questa era la grafia – ciascuna lettera si doveva presentare allo sguardo sufficientemente sontuosa e con uno spazio proprio, adatto alle sue forme). Un evento come questo era, in assoluto, senza precedente alcuno. Precisamente: la sua pelle si era mutata in una garza di pesante tessuto. La trama era spessa, e ricopriva tutto il suo corpo. Lungo i bordi correvano doppie cuciture che fungevano da giunture. Una piuttosto visibile le attraversava il capo, formando un semicerchio da un orecchio all’altro. Dalla testa rotonda pendevano numerosi fili di lana scura. Era, in tutto e per tutto – la testa, il busto, le gambe, e persino tutte le dita – imbottito di paglia. Con questa imbottitura aveva potuto mantenere una puntuale somiglianza con la sua forma originaria, perdendo un poco di volume e acquistando un aspetto appena emaciato che non toglieva nulla alla bellezza del prodotto finale. Il vestito era una camicia da notte che presumibilmente Maria aveva indossato la sera avanti, prima di coricarsi, e a coprirle i piedi c’erano dei bei calzini di filo ricamato. Le labbra si erano ritirate a una treccina rosea che si limitava ad attraversare un breve tratto del suo viso. Le sopracciglia risultavano in nient’altro che due segni sottili appena sfumati.
Nonostante ciò, nella trasformazione Maria non aveva perduto la sua espressione inquieta, concentrata su un oggetto di inspiegabile costituzione. Infine, gli occhi si erano tramutati in due perline di vetro che scintillavano alla minima presenza di luce: nel complesso il fantoccio non mancava di nulla, e l’eleganza del suo aspetto faceva pensare a una mano creatrice di impareggiata abilità. Si trovava seduto su una delle sedie del piccolo soggiorno, di spalle a chi entrava, e rivolto verso una finestra dalla quale la luce densa e uniforme faticava a penetrare. Maria aveva sempre provato un attaccamento per quella finestra; vi ci sedeva di fronte appena sveglia, prima di prepararsi a svolgere i suoi doveri giornalieri.
[...]
IL SOLE DELL’INFANZIA
di Piera Mattei
Una scrittura austera quella di Maria Laura Galviati e, in contrasto con i dati anagrafici, screziata di toni stilistici da prima metà del ventesimo secolo. Nella narrazione poi, una dignità e un riserbo lontani anni luce dal chiacchiericcio dei social-confessionali. Non mancano però lampi d’ironia, anche nella descrizione delle situazioni più estreme, perché nell’altro, quando non sa riconoscere l’umanità in chi gli sta di fronte, come la sua stessa umanità richiederebbe, non c’è mai volontà maligna, ma semplice o volgare inadeguatezza.
Potrebbe sembrare eccessivo connotare questi racconti con l’aggettivo di filosofici? Eppure questa mi sembra la definizione più adeguata mancando in questi accadimenti una stretta attinenza al presente, collocati come sono in un campo di luce che si nega o abbaglia, un sole che si fa desiderare o si lascia catturare in uno zaino da uno scricciolo di ragazzina. Una narrazione che pur tenendo il lettore ben stretto al filo degli eventi, stimola a trovare anche un significato altro, o diversi altri significati.
Qui, certo, accadono fatti strani, spesso enunciati nei primi capoversi del racconto come cause ineluttabili e scatenanti di una concatenazione di eventi a esito infelice, procedimento particolarmente evidente in “Il Fantoccio”:
Il mattino era grigio e freddo quando Maria, nel silenzio della sua stanza, si era trasformata in un fantoccio.
e in “L’attesa”: Franca Petri era tanto sottile da sembrare trasparente. I suoi arti filiformi parevano in grado di muoversi mantenendosi a mezz’aria, silenziosi, quasi immobili. Talvolta credeva di essere in procinto di fluttuare.
Ma accade poi che immediatamente ci venga offerta una lente adatta a un’osservazione meticolosa, così che, alla fine, l’immagine si mostri in un suo particolare nitido realismo, come attraverso i movimenti di una macchina da ripresa.
Da notare in questi racconti anche l’assenza di tematiche o situazioni legate al sesso o alle problematiche dell’identità sessuale, perché anzi la voce narrante potrà essere indifferentemente uomo o donna, e la richiesta d’amore, che pure è implicita in ogni vicenda, sembra precedere o ignorare le pulsioni sessuali. Direi che chi parla è una giovane adulta, (oppure un giovane adulto), con nostalgia struggente della sua immagine infantile. In fondo il seppellimento del fantoccio tra i vecchi giocattoli della soffitta, non può significare il trauma del passaggio, sempre troppo inatteso, troppo repentino, all’aspetto e all’identità di adulto? Quel processo doloroso di trasformazione, quel farsi, per un incontrastabile sviluppo, irriconoscibile al genitore e parallelamente non essere più riconosciuta da lui come oggetto di accudimento e di amore?
In altri racconti questa nostalgia dell’infanzia è ancora meno mediata e allusiva. Nel racconto ”L’attesa” un intero beve capitolo è dedicato a un ricordo rapido e vivo come un flash, nel quale Franca Petri, donna esile, stanca e infelice, richiama alla memoria se stessa bambina: movimenti, odori, colori, il rumore di un paio di forbici che cadono in una cucina inondata da un tiepido sole.
Il sole è in queste pagine presenza o assenza estremamente significativa. Nel vivace racconto “Una partenza inaspettata”, i due elementi, l’immagine infantile di sé e il sole si trovano a convergere. Il doppio infantile come coprotagonista della storia è un personaggio irresistibile e in ogni senso luminoso. Da questo racconto appare chiaro che la fanciullezza è quella immagine che cattura e trattiene il sole, la luce. Solo l’infanzia non la teme e gioca con quella palla incandescente, con il mistero di luce che è alla base della vita.
Questa interpretazione che fin qui ho dato ai racconti, ora me ne accorgo, è solo una delle chiavi nelle quali possono essere letti. La loro ambigua ricchezza, ne sono certa, potrà condurre i lettori a interpretarli e a goderli anche sotto altre e diverse prospettive.
“Accadimenti” di Maria Laura Galviati pag.76, euro 12