Forse non c'è occasione più adatta che quella di un soggiorno di media durata, sei mesi, per sapersi guardare intorno con occhi vivaci, facendo confronti. E' la situazione ideale. Può significare contrarre alcune abitudini, ma senza che spuntino radici, senza che si trasformino in una sorta di necessità che impedisce di ricordare quando i gesti, i panorami, le parole intorno, erano diverse. Significa tenere sempre presente la distanza che separa dal ritorno, e cercare di fare tesoro di esperienze nuove da riutilizzare una volta tornati.
Filippo La Porta, reduce da un soggiorno, di sei mesi appunto, a New York, ha pubblicato questo agile libro "civile". Mettendo per una volta da parte l'analisi dei titoli e dei linguaggi, ha voluto portare a casa qualcosa di utile e provare a rinnovare, anche scanzonatamente ma fermamente, la coscienza di un'identità.
Dal di fuori si nota meglio: sembra che davvero i tempi siano maturi per uscire dal vezzo dell'autodenigrazione e riconoscere, quello che tutti al di fuori ci riconoscono, una sostanziale unità nei difetti, e nei pregi anche, fortunatamente. Forse di nuovo, come altre volte in tempi confusi o difficili, voci originali senza scadere nella predica e nella retorica, sapranno dirlo. La proposta di Filippo La Porta così la riassumiamo: l'importanza, forse la necessità, di un mito positivo che, con la guida di Primo Levi e dei Simpson, individua nell’"amore per la bellezza". Certo c'è bello e bello. La Divina Commedia non è una Lamborghini, la moda e il design non sono la cura e la genialità nel ridisegnare il paesaggio. E tuttavia il nostro amore per la bellezza, "resta pur sempre un'influente, suggestiva narrazione, non importa quanto ancora empiricamente fondata, diffusa nel mondo." Dipende solo da noi non disprezzare la nostra eredità, non dissiparla nella costruzione di parchi giochi per turisti di tutto il mondo.
Questo libro, semplice, agile, lo consiglio particolarmente ai giovani e giovanissimi. Non costerebbe loro un'eccessiva fatica leggerlo e forse alzerebbe loro il morale, ne trarrebbero spunti per letture e conversazioni. Potrebbero scalfire l'inclinazione a scimmiottare, a scimmiottarsi, sempre in maschera, sempre annoiati, a imporsi di fare quello che la società globale spietatamente suggerisce.
I più impegnati, perché ancora ce ne sono, avrebbero la conferma di non essere soli.
Quelli che quando viaggiano si sentono rimproverare un'identità in cui non si riconoscono, avrebbero qualche strumento in più per non inabissarsi nella vergogna.
Piera Mattei
Nessun commento:
Posta un commento