Indagare, riflettere, scrivere, pensare, sono alcune attività che contraddistinguono gli individui della nostra specie. Essere uomo significa muovere la mente verso queste attività. Chi consegna la sua mente ad altri, tradisce la specie, tradisce il suo destino di uomo, tradisce la ricerca di verità e di bellezza.
Vedevo in questi giorni, restaurato e reintegrato da Giuseppe Bertolucci, il film La Rabbia, realizzato da Pasolini nel 1963 con materiali di cinegiornale, che coprono gli anni cinquanta fino agli inizi degli anni sessanta. Realizzazione ottima, commovente. Giusta la proposizione delle voci di due poeti-intelletuali di oggi, Giuseppe Bertolucci e Valerio Magrelli, come "speakers" per la parte reintegrata-reinventata, in parallelo con Giorgio Bassani e di Renato Guttuso, già a suo tempo scelti come voci fuori campo da Pasolini.
Il mondo è cambiato. La moda, è cambiata, i corpi poi! Neppure i grassi oggi hanno più quell'aspetto compatto e imponente di una volta. I grassi di oggi trasudano tremula infelicità. Anche la bellezza aveva più luminosi diritti, una sua divina eccezionalità. Marilyn Monroe, per quanto creatura e vittima sacrificale del cinema, appare inconfondibile. Il suo sorriso – le labbra semichiuse, gli occhi strizzati – le sue forme, sono la bellezza, non la riproducono in serie, come negli inflazionati corpi di oggi. Spettacolare anche la felicità, che non sembra finzione per la cinepresa, delle folle russe al rientro dell'eroe dello spazio Gagarin, il passo di lui di volata a superare i gradini del palco dove ingoffato nel suo cappottone lo attende per un abbraccio il compagno Kruscev. Immagini di guerra, terribili. Di quelle oggi non ne mancano. Si è introdotta anzi una pigra assuefazione e sembrano ingenui gli appelli alla pace. Chi tenta una risposta all'interrogativo che il poeta, con questo film, propone: Perché la nostra vita è dominata dalla scontentezza, dall'angoscia, dalla paura della guerra, dalla guerra?
Mi ha colpito, ancora, lo spirito profetico, tragico quindi, di Pasolini a proposito della realizzazione della prima televisione in Italia. Ne parla come di una calamità, un pericolo che incombe sulla libera ricerca intellettuale, sull'educazione.
Pensare, umanamente, con la propria testa. Dovremmo fare in modo di renderlo possibile.
Torno quindi al tradimento della specie, a chi si lascia manovrare, coinvolgere in quel tradimento. Certo non considero gli istinti distruttivi e autodistruttivi facilmente eliminabili, ma considero dovere umano non adeguarsi, nutrire il nostro risentimento, la nostra rabbia.
A conferma del tragico presentimento di Pasolini leggo in questi giorni (La Stampa di sabato 13 settembre) che le immagini – quindi anche le ossessive immagini che i programmi televisivi e i notiziari mettono davanti agli occhi di milioni di spettatori – creano nuovi neuroni, nuove cellule cerebrali, associazioni indelebili nel cervello. Uniformare le associazioni mentali, ecco realizzato il sogno di poter mobilitare e manovrare masse con una semplice parola d'ordine, facendo appello ad associazioni mentali preformate, creare artificialmente ciò che sembrerà indiscutibilmente vero, senza costringere nessuno, facendo persino un uso moderato di leggi liberticide.
Come questo accada – questa è la notizia – è ora visibile con i mezzi della tecnologia scientifica, con non invasive indagini dei movimenti cerebrali, ma già lo sapevano i padroni dei mezzi di comunicazione, in particolare quelli che si dedicano alla politica.
La poesia che commenta in quel film le immagini, retorica talvolta ma sempre vera, mi ha portato a rileggere in questi giorni i libri di poesia di Pasolini.
Ha sempre voluto essere innanzitutto un poeta, e anche un Maestro, anche quando stava realizzando un film. Scelgo perciò di chiudere qui citando il messaggio poetico-pedagogico con cui si apre "Il pianto della scavatrice" in "Le ceneri di Gramsci". Messaggio che sento vero rispetto all'amore per le persone, ma anche per le idee:
Solo l'amare, solo il conoscere
conta, non l'aver amato,
non l'aver conosciuto. Dà angoscia
il vivere di un consumato
amore. L'anima non cresce più.
Piera Mattei
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